domenica 8 maggio 2016

Marinobus

Negli ultimi anni , da migrante in quel di Milano e dintorni, per tornare nella avita Puglia altosalentina, scelgo come mezzo di trasporto, l'autobus. C'e' la MarinoBus, storica compagnia di autobus di Altamura che dalla stazione di Lambrate, viaggiando sull'autostrada adriatica , mi lascia alla stazione di servizio Erg di Rosa Marina, nella marina di Ostuni. E qualcuno fra "vecchi" genitori o amici fedeli e immarcescibili, mi raccatta per strada come un autostoppista kerouachiano portandomi in auto ad Ostuni. Oltre che essere un mezzo molto economico per viaggiare, piu' dei treni di Trenitalia , che sembrano essersi montati la testa e per due giornali che danno gratis da leggere e qualche decina di chilometri in piu' di velocita' fanno pagare piu' che gli aerei, e' anche  piu' pratico che andare in aereo, per me, che dovrei prendere un autobus per andare da Milano a Bergamo, ad Orio al Serio, prendere l' aereo e scendere a Brindisi, che non e' proprio ad un'incollatura di francobollo da Ostuni e presenta la fastidiosa incombenza di dover scomodare i miei ottantenni genitori per venirmi a prendere...e le ultime volte che l'avevo fatto mio padre era stato una settimana a studiarsi il meccanismo per non pagare il biglietto di ingresso nell'aeroporto, con l'auto, giocando sulla rapidita' di entrata e di uscita , che quando si va avanti con gli anni si diventa parsimoniosi, come forma di immunizzazione preventiva da possibili malrovesci della salute che dovessero implicare un improvviso dispendio di risorse .
Ma a parte tutto  adoro viaggiare in autobus, perche' io essenzialmente come scrittore nasco karouachiano e credo che la mia scrittura essenzialmente emotiva e di getto derivi dall'ammirazione che ho avuto per Jack Kerouac, il quale, mi sono fatto persuaso, avesse sviluppato quella sua particolare forma di scrittura jazzata e ritmata, in apnea, senza quasi respirare, come centometri olimpici protratti all'infinito fino a spaccare il cuore, viaggiando su autostradali o in autostop , nonche' su vecchi treni merci. Non tanto nell'allenamento a riempire taccuini ad ogni pie' sospinto nelle pause in attesa del passaggio. Quando proprio nella formazione dei pensieri che gli nascevano in mente , in movimento. Nelle notti sugli autostradali sulle infinite strade d'America, o saltando su improbabili treni merci, dove conosceva girovaghi di ogni tipo, di cui per tutta la vita ha cercato di carpirne i segreti. Uno su tutti, il segreto della liberta'.Sotto questo profilo Kerouac e' un altro dei miei maestri, se non altro sul piano dello sviluppo della tecnica di scrittura, della ricerca di una musicalita' della parola che coniughi significato a ritmo.

E dunque la notte sugli autobus della Marino e' sempre ricca di spunti. Non dormendo e pensando, o pensando in dormiveglia, o pensando fra  microsonni improvvisi, potrebbe essersi sviluppata in me una forma di letteratura, credo. Come accadde per Kerouac. E certo poi, nel caso dello scrittore franco-canadese, qualcuno ha avuto l'intuizione di capirlo e divulgarlo. Ma per me ci penso io, con la mia letteratura autoprodotta senza il doping delle sirene editoriali o dei guadagni facili. Le letteratura per me e' essenzialmente divulgazione emozionale. Chi ne fa commercio resta a lungo andare inevitabilmente sepolto nel ruolo di operaio della parola. D'accordo, operaio specializzato ben pagato, ma pur sempre operaio, ma mai e poi mai bardo della letteratura. Bisogna amare veramente qualcosa per metterci dei soldi di tasca propria e farsi stampare dei libri perche' vengano letti per ricavarci appena da ricolmare le spese e andare avanti. Oppure essere enormemente presuntuosi. Ma quando senti che i tuoi lettori attendono qualche tuo altro lavoro, questi dubbi di autoreferenzialita', cessano. E sorge la parola da dire ad ogni costo, perche' e' come quando sgorga l'acqua di un torrente...nessuna roccia la puo' trattenere, essa tracima.

E dunque eravamo al viaggio in autostradale...Incominciando dall'autobus che prendo quasi sotto casa a Corsico, per arrivare a Lambrate. Il 325, quasi sempre pieno di stranieri che vanno in giro con le loro cuffiette da iphone con le quali ascoltano litanie arabe, notiziari egizi in streaming, o guardano video pornografici , lanciando occhiate in tralice per assicurarsi di non essere  sgamati da occhi giudicanti. Oppure ragazzini con zainetti firmati e parlata slang sboccata con irripetibili frasi omofobe,razziste e misognine che hanno ascoltato a casa dai loro padri figli del berlusconismo da bordello anni '50 vomitato dalla macchina del tempo ai giorni nostri.
A volte salgono ragazze latine, peruviane, perlopiu', capelli sottilissimi da indios, rossetti marcati, terga basse seni prospicienti da appenderci la borsa da calcio, tanto stanno su ancora, nonostante l'alimentazione non piu' andina al 100%, alimentari multietnici permettendo, o ragazze esteuropa, ex unione sovietica, di qualcuna delle repubbliche nate dallo smembramento di quel Frankeinstein sovietico di cui tutte loro , mariti e fidanzati inclusi, hanno nostalgia quasi piangessero la morte di un vecchio zio sempre presente nei momenti di bisogno con pacche su schiena e qualche risparmio mai lesinato.

A Romolo prendo la metropolitana, mi immergo nell'antro di quest'ade postmoderna  della circolazione cittadina, nel fiume umano, nel torrente dei corpi che ciaspolano lungo i corridoi infiniti e i tunnel e fanno la fila dal giornalaio o edicola che sia che ormai vende quasi piu' biglietti della metro che giornali  , passo i tornelli ascoltando ritornelli, uffa che stress questa vita , magari era meglio che mene stavo nella Pampa a coltivar terreni o in Bielorussia a riscuoter crediti per mafiosi ex falcemartello.
Una volta nel treno della metro , seduti ai lati, una miriade di ragazzi e ragazze d'ognidove masturbano i propri smartphone con una dovizia onanistica che non non credo abbiano mai messo in quei quarti d'ora di felicita' manuali personali di autoerotismo reale, mentre un signore anziano legge un libro con l'espressione della sfinge egizia e con la stessa aria vestigiale. Fino alla stazione di Lambrate mi ci vorra' una mezz'oretta. Nel frattempo ad ogni fermata entrano appartenenti a varie tribu' cittadine , chicanos con musica latina che fuoriesce dagli smartphone , a palla,  e camminate da rappers coloured,  un trio di transessuali brasiliani che sorridono come se avessero una caipirinha in mano e fossero in spiaggia, quattro skaters armati di skateboard probabilmente diretti in stazione Centrale sul cui piazzale antistante si cimentano in evoluzioni stimolate da videoclips di Mtv o visti su Youtube, alcune arabe che indossano l'hijab, il velo che copre il capo lasciando scoperto il viso e che a me ispirano piu' sesso di qualsiasi cubista tettealvento da discoteca e, last but not least, due fotomodelle, una bionda scandinava e un'altra latinamericana, credo, filiformi e nonostante cio' splendide, che entrando nel treno , restando al centro in bella mostra, si baciano davanti a tutti , neanche fossero al Gay Pride. E' il bello di Milano, credo io, il bello della citta', che tutti ospita, tutti fagocita e tutto tollera, in nome dei soldi pero', che lavano tutto, persino le coscienze , i credo religiosi e politici e lascia la gente come Salvini nel dimenticatoio della storia. Perche' non me ne vogliano gli abitanti della provincia, ma la storia, le mode, le rivoluzioni, persino le restaurazioni, partono tutte dalla citta', e , ad essa tornano, non certo dai tavoli da biliardo di Cassano Magnago.

Una volta a Lambrate imbocco una serie di tapis roulant, con il mio trolley pieno dell'essenziale, viaggiatore leggero quale io sono, poche mutande , calze e t/shirt, le immancabili scarpe da jogging, uno spazzolino da denti, una saponetta all'olio d'oliva, qualche libro, e un taccuino per improvvisazioni poetiche da vergare con una penna a spirito che mi consente di scrivere persino disteso, quando non sia una matita. La stazione di Lambrate e' un terminale della metro ma anche la fermate di treni  per ogni dove, in alternativa alla piu' gettonata Centrale. Quasi sempre esco in piazza Bottini, appena fuori dal falansterio di Lambrate, giusto alle spalle. E spesso sono in anticipo, tanto da concedermi qualche trancio di pizza dal mitico Pizza Mundial, enorme vetrina di pizze al trancio sempre affollatissima di viaggiatori che si preparano a partire e vogliono consumare , subito o per dopo, qualcuna di quei saporiti tranci a prezzi ultrastracciati: un trancio e una minerale da mezzo un euro e settanta e sei servito. Di solito li nei pressi stazionano punkabbestia che con quei pochi spiccioli che rimediano riescono a nutrire se stessi e i propri cani dai pedigree quasi nobiliari ch'essi trattano meglio di se stessi...ad una prima occhiata di primo achito. Come sempre ho il problema della ricarica dello smartphone e mi risolvo di andare in un bar tavola calda  tornando verso il corpo della stazione li davanti. Li trovo dei neri a torso nudo che solitamente fanno breakdance per rimediar qualche spicciolo in pausa riposante, che hanno gia' a loro volta occupato ogni presa possibile, che questa dell'energia alle batteria degli smartphone sembra l'ultima frontiera dello scocco selvaggio..e non a caso in stazione le prese sono tutte otturate ad arte. Prosieguo all'interno dei tunnel che mi portano dalla parte opposta della stazione, che e' poi l'ingresso principale , e mi siedo qualche istante, come sempre in largo anticipo, ad osservare la gente, che , ancora una volta a mio avviso e' il piu' bello spettacolo del mondo e non si paga il biglietto...Heminghway del resto aveva le arene dove si toreava e la gente vedeva morire tori e uomini, Bulowski aveva l'ippodromo dove cedeva morire l'anima della gente rinsecchita dopo che era rimasta all'asciutto di quattrini, io ho le stazioni , i centri commerciali giocoforza[in uno ci lavoro], gli autogrill .Ognuno trae ispirazione dai luoghi in cui gli umani si affollano manifestando odio per i propri simili e nonostante cio' non potendo far a meno d'essi.
Vado verso i bagni e all'ingresso un'africana filiforme in minigonna leopardata mi sorride lasciando intendere che non le dispiacerebbe tirar su qualche decina di euro appartandoci qualche momento in bagno. Io declino l'invito richiudendomi in bagno e all'uscita noto che e' scomparsa nell'altro bagno a fianco dove qualcuno non era stato del mio stesso avviso. Non sono un moralista ma convengo che bisogna essere davvero economicamente disperati per scegliere l'attesa di un treno che ti portera' in una casa probabilmente diroccata di provincia come momento per tirar su due soldi, tutto sommato scambiandoli con qualcosa che somiglia al sesso e non elemosinando.
Mi dirigo ai via Predil , piazzale a latere della facciata d'ingresso di Lambrate. Ci sono gia' un po' di persone in attesa, con i loro trolley, le loro valigie, quasi del tutto vuote e pronte per tornare con le cuciture che quasi esplodono, gravide di preziosi prodotti alimentari, che oltre che irripetibili sapori lontani, danno qualche ristoro persino al portafogli di chi abita la citta' al triplo dei costi. Via Predil e' uno slargo che si apre davanti ad un muro alto, immenso, in cima al quale si vedono passare gli enormi bruchi metallici dei treni, sul quale e' disegnato un graffito ambientalista risalente agli anni ottanta, archeologico, si potrebbe dire e non ancora del tutto scolorito, che raffigura delle enormi biciclette che si fanno largo in mezzo a migliaia di  minuscole macchine del traffico automobilistico metropolitano milanese. Qualcosa che avrebbe fatto sorridere i soliti rassegnati di sempre, la maggior parte di noi, che gli avrebbe fatto pensare, non succedera' mai, i potenti vincono sempre, gli interessi dei fabbricanti d'auto e dei petrolieri sono imbattibili e questi qui che disegnano graffiti sono solo dei sognatori che perdono tempo. Eppure oggi Milano ha un'area a traffico limitato che ha ridotto l'inquinamento e la piu' grande rete di piste ciclabili d'Europa. Segno che chi ha lottato e chi ha insistito e continua a battersi per certi valori, perche' li sente fortemente e in quelle idee fortemente ci crede, prima o poi ha qualche chance di riuscita.
Disegnate sull'asfalto di via Predil ci sono dei riquadri che delimitano le fermate  degli autobus che ci porteranno in giro per l'Italia. Due ragazze mi chiedono se prendo spesso li autobus della Marino. In realta' vogliono sapere se a bordo dei mezzi c'e' la possibilita' di ricaricare le batterie degli smartphone. La dipendenza tecnologica e' la droga del ventunesimo secolo. Per fortuna nella tasca laterale del mio trolley ho un libro da leggere durante la notte. E spegnero' lo smartphone cosi non consumo la batteria. Quindi rispondo che non lo so e che non mi pongo il problema e che magari potevano anche loro spegnere gli smart e leggere qualcosa. Mi guardano come uno pterodattilo e invece di chiedersi da che mondo vengo mi catalogano come vecchio dall'aspetto misteriosamente giovanile.

Mano mano che passa il tempo giungono gli autobus, con il display che indica le citta' d'arrivo. Il mio finisce a Maglie. Una ragazza con una pettorina fosforescente si occupa di dare informazioni e di dirigere la gente verso gli autobus di competenza. E' una ragazza mora e fuma allegramente dandosi un gran da fare con una pazienza incredibile, di fronte a quel marasma di gente che corre con trolley e zaini e valigie, temendo di non riuscire a salire sull'autobus prima della partenza. Ma nonostante tutto il casino si riesce sempre a dare la valigia agli autisti che la sistemano nel bagaglio e a salire sull'autobus. Gli autisti degli autobus hanno fisici da sedentari: chi porta occhiali, chi la pancia debordante da gastritici panini quotidiani, chi capelli lunghi, chi corti, alcuni senza capelli...si danno un gran da fare nel caricare i bagagli indossando dei guanti da fatica. Ognuno di loro ha dei riti per combattere lo stress. Chi fuma una sigaretta, chi un sigaro che poi lascia che si spenga per riaccenderlo subito dopo, chi mangia una stecca di cioccolata, chi beve un succo di frutta, chi una bottiglietta d'acqua, chi porta una cuffia ad uno dei due orecchi per ascoltare musica o radio lasciando l'altro orecchio per farsi comunicare i luoghi di discesa dei passeggeri, di modo da mettere i bagagli nel bagagliaio in perfetto ordine cronologico di fermata. Ogni tanto qualche valigia pesante lascia mormorare qualche autista che c'e' un limite di peso. Ma non vengono presi provvedimenti, al massimo qualche "chitemmurt" mormorato col sorriso fra i denti.

E poi quando stanno per calare le ombre della sera, verso le otto e mezza, l'autobus a due piani, il gigantesco mezzo meccanico, comincia a muoversi, a fare manovra e si insinua per le vie di Milano, diretto in tangenziale. mentre il muro con i graffito ambientalista si allontana e le biciclette sembrano a grandezza reale e le macchine sotto macchinine di giochi d'infanzia.
Ci infiliamo in tangenziale e le luci all'interno dell'abitacolo sono accese, fuori pedoni e auto si intrecciano nella tipica frenesia cittadina, ogni tanto ai semafori c'e' qualche motorino riverso per terra, il conducente per terra, investito, tenuto fermo dagli astanti in attesa dei soccorsi, degli ambulanzieri volontari. Poi ci infiliamo in tangenziale. Subito parte la caccia alle fonti d'energia per attaccare i videofonini e sembra che di recente gli autobus siano dotati di uscite usb. Cio' consente ai giovani delle new generation di attaccare i loro pc portatili e di collegarsi con la tv in streaming, mentre io, Nico Cordola, il dinosauro, tira fuori dallo zainetto degli effetti personali che porto sempre con me, un libro, generalmente un romanzo, un giallo, un opera di narrativa e comincio a leggiucchiare. Gli autisti nel frattempo si organizzano per la nottata. Generalmente due sedili dietro al conducente restano vuoti per permettere agli autisti, che sono due, di darsi il cambio alla guida e di riposarsi cercando di dormicchiare, il restante tempo. Gli autobus sono a due piani e i posti al piano superiore davanti, con la visione in Hd , potremmo dire, dell'autostrada davanti, sono molto ambiti. Anche perche' hanno uno spazio sul quale allungare i piedi e stare piu' comodi. Ogni tanto anche a me e' successo di beccarne qualcuno, di quei posti e il viaggio e' stato rilassante, specie quando piove e vedi gli scrosci dell'acqua frangersi proprio davanti a te, lasciando scorrere la poesia del viaggio mentre tu te ne stai nel caldo utero autostradale e fuori piove e fa freddo. Gli autisti, come detto, sono di varie specie, persone particolari, comunque, perche' il loro lavoro lo e'. Ne ricordo uno che chiacchierava con il collega mentre guidava , fissato con il Movimento Cinquestelle, che avrebbe risolto i problemi dell'Italia dopo anni e mandato tutti a casa,  un altro che fumava con il finestrino aperto[ che non sarebbe consentito] e anche nelle pause, in quei tre o quattro quarti d'ora di notte, quando ci si ferma per mangiare qualcosa, sgranchirsi o dare acqua ai merli. Nelle soste notturne, nei piu' sperduti Autogrill, generalmente dopo Parma, la prima, intorno a Termoli una delle ultime. Soste brevi di un quarto d'ora in cui gli autisti pagano con tessere personali qualche panino, dei succhi di frutta, acqua, che consumano rapidamente per avere il tempo di una fumata che rilassa e prepara a restar svegli concentrati. Gli autogrill di notte sono generalmente deserti, per cui quando arriva un Autobus si ripopolano improvvisamente e il povero malcapitato impiegato , spesso solo, in due e' tutto grasso che cola, si ritrova a fare cassa, preparar capuccini e fare benzina  e per di piu' senza possedere il dono della bilocazione di Forgionesca memoria. E' la politica delle multinazionali, che mira al risparmio del costo del lavoro e lascia soli, in balia persino di possibili rapine e comunque di esaurimenti nervosi e stress correlati da iperlavoro,  ultracinquantenni dai capelli grigi, che appartengono alla generazione che paga le pensioni a chi ha lavorato meno di vent'anni. Andranno in pensione a settant'anni, se ce la faranno a sopravvivere al logorio costante di una vita di siffatta qualita'.
Durante le ore centrali del viaggio l'interno del bus e' buio, con luci bluette notturne e qualche lucina accesa da chi legge, poche invero, insieme al luccichio impressionante degli smartphone costantemente in azione, attraverso i quali ognuno chatta, guarda la tv, partite, ascolta video musicali, in attesa che le ore del sonno prendano il sopravvento e , se c'e' poca gente, attenti a trovarsi un posto con due sedili per potersi stendere piu' comodi. Attraversiamo tutta l'Italia , su un'autostada di viadotti, trafficata da Tir e da altri autobus, da auto che escono dalle discoteche dell'Emilia, delle Marche o dell'Abruzzo, persino di Termoli, ora in cui di solito ci si ferma da un autogrill Sarni li in zona, e ci si contente la fila ai cappuccini con la gioventu' del luogo a caccia di cornetti ammazza serata. Mentre sono in fila sfoglio qualcuno di quei libri in vendita e mi capita spesso di sfogliare un testo curioso di un certo Padre Zago sull'Aloe e sulle sue virtu' miracolose, che penso di aver oramai imparato a memoria. Di solito in una notte finisco un romanzo, perche' sei li e devi attendere e l'attesa ti fa pensare e pensare non sempre e' salutare, perche' pensare vuol dire futuro, vuol dire pianificare, vuol dire programmare, tutte parole che per la mia generazione sono sonore parolacce. Abituati come siamo a vivere alla giornata, ad aprire gli occhi, respirare, mettere i piedi in terra e partire per la mattina del lavoro, per chi ha la fortuna di avercelo, aspetti questi che pervadono ormai tutte le latitudini, in questo clima di globalizzazione dello stress , requisito indispensabile al controllo del personale, indipendentemente ormai, dalla produttivita' effettiva, dal momento che ormai basta quotarsi in borsa per guadagnare persino senza produrre niente.
L'ultima fermata e' all'alba, poco prima di Fasano e vedo il mare adriatico e gli stagni del parco delle Dune Costiere e uccelli marini in volo che gareggiano sullo sfondo con le siluoettes delle increspature delle onde e rondini a primavera o cormorani d'inverno, mentre le creste di macchia verde che spunta balotellianamente sulle dune sabbiose, mi accoglie ondeggiando nella brezza dell'alba come mille mani che salutano.


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