martedì 12 dicembre 2017

L'estate del 2017, parte tre

Una sera con Antonietta Turchese decidiamo di andare al Giuggià. E' un locale incastonato nelle campagne fra Ostuni e Martina Franca. Antonietta mi dà appuntamento a viale Pola, storico corso dei negozi della Città Bianca, da sempre, al Bar Kennedy, antico Bar che di gestione in gestione ha sempre conservato un ottimo profilo umano e professionale. Antonietta Turchese fa la fisioterapista all'Ospedale , una bella donna, ben messa, milf d'antan con belle forme nei punti giusti, capelli a caschetto, appariscente quanto schiva e riservata, quanto a corteggiamenti ricevuti e respinti recisamente. Vive per il figlio, che studia a Bari. E' single. E' stata sposata con un calciatore. Una volta mi ha raccontato che quando vivevano insieme lui le dedicava tutti gol che segnava (era un attaccante) e le lanciava i fiori in tribuna. Poi è successo quello che succede a tutti gli uomini che si sentono eroi greci solo perché un mucchio di decerebrati li acclamano tutte le domeniche come divi. E a tutti gli uomini che pensano che avere un pene ne comporti un uso più allargato del dovuto. Ma Antonietta Turchese non era tipa da lasciargliela passare liscia. E così eccola qui, ragazza madre, superimpegnata sul lavoro, che vive per il figlio e per la bellezza che può concederle la vita. Perché la vita è bella, dice lei e in attesa di un nuovo amore non c'è bisogno di far palestra fra le lenzuola. Non ha molto senso. Secondo lei. Secondo me invece sì. E questo è motivo di polemica fra noi. Senza che c sia un interesse personale. Io so essere amico di una donna. Anzi , una vera amicizia con una donna non implica il sesso, mai.
Ogni cosa è motivo di polemica fra noi, per altro siamo amici ma discutiamo molto.
E i nostri incontri sono per la maggior parte letali per lei. In un ceto senso. Una volta dopo che avevamo mangiato una pizza in un posto in periferia ad Ostuni, mentre ci allontanavamo dal posto è inciampata ed è caduta di faccia in terra. Rompendosi numerosi denti. E' rimasta seduta al tavolo aspettando che io finissi la mia pizza come se niente fosse. Che si fosse rotta i denti l'ho saputo tempo dopo. Poi un'altra cosa. Quando usciamo insieme a mangiare o in un bar o pub o quant'altro, lei chiede sempre qualcosa che non hanno. O il Ginseng al Guaranà o tisane allo zenzero. Lei è un'igienista alimentare e consuma un mucchio di centrifugati...quando fa finta di fare delle diete. Per il resto cucina divinamente per sé e per il figlio. Odia gli "all you can eat", fuma sigarette sottili pensando che faccia meno male e a parte tutte queste cose è una persona in gamba. I suoi amici li sceglie fra i suoi ex pazienti e non bada alla loro estrazione sociale, politica o criminale...perché li conosce tutti in una fase di evidente e coatta fragilità. E quando guariscono si dimentica di questo aspetto. Comunque sono sottigliezze ironiche , queste mie, che per uno che non deve vivere in una provincia meridionale possono sembrare deprecabili, ma che per chi sa di cosa sto parlando sono in effetti piuttosto normali.
Insomma ci incontriamo davanti al Bar Kennedy con un gruppo di altri amici con cui siamo diretti al Giuggià. Mentre si siede in macchina, al termine della sfumacchiata rituale alla sua sigarettina sottile, sotto quel caschetto di capelli neri mediterranei, con quel suo sorriso intenso ma anche amarognolo, che tanto fa impazzire i begli uomini di mezz'età (ma non solo) e le labbra carnose prominenti da matrona greca o turca o perchenò romana nel senso dell'antico impero, mi sta relazionando sui nostri compagni di viaggio: Franco Aladino ha avuto un incidente stradale e soffre di una zoppia perenne, sua moglie, Angela, ha avuto due volte un tumore al seno...amano divertirsi. Se ne fregano di tutto, ormai. Escono quasi tutte le sere e vanno a ballare, scherzano, ridono, bevono e ballano. La vita è breve e loro ne sono testimonianza, niente piangersi addosso, è tutto tempo perso.
Ma non lo fa con malizia pettegola, ma quasi portandoli come esempio. Come se provasse una certa ammirazione per il loro lasciarsi andare, forse perché magari vorrebbe farlo anche lei, se non si sentisse iperesponsabilizzata per suo figlio.
Scherzo con lei, la sfotto, perché suo figlio ha conosciuto una studentessa Turca e lei è preoccupata. Io dico perché è turca, fate tanto le progressiste, voi mamme, dico, poi basta che vostro figlio bazzichi una ragazza straniera e vi allarmate...che ne puoi sapere, magari è figlia di un petroliere.
 Lei si arrabbia. Dice che non è per questo, è che deve stare attento. Perché, dico, lo farà arruolare nell'Isis? Si arrabbia ancora di più. Lo capisce, credo , che la sto sfottendo, che scherzo , ma è più forte di lei, lei è il giubbotto antiproiettili del figlio, la sua corazza da samurai.
Ah, ho capito, faccio, incorreggibile. Hai paura che tuo figlio così giovane se ne vada dall'Italia. Ma sai, è un destino generazionale, ormai. Io me ne sono andato dalla Puglia a Milano, oggi non basta più. Milano è la Puglia d'Europa, quanto a possibilità attuali. Lei mi guarda male. E' un gioco che facciamo, credo. Lei finge di prendermi sul serio e io fingo di dire le cose sul serio.
Intanto siamo sulla strada per Martina Franca, nel buio serale estivo e intorno ulivi, case bianche, vigneti, muri a secco ma anche ormai  ville senza nessuno criterio di stile contestuale.
Arrivati a destinazione entriamo in un tratturo per la verità asfaltato e ci infiliamo in un parcheggio in terra battuta che si apre in mezzo agli ulivi. Facciamo un po' di anticamera all'ingresso di questo fortino con piscina, piante mediterranee e palco per spettacoli davanti a uno spiazzo/pista da ballo e poi finalmente entriamo. Ci sediamo sotto un ampio ombrellone molto stile Ikea , in circolo, su delle sedie in vimini, in attesa che sui nostri vitrei tavolini atterrino paracadutati da camerieri rigorosamente abbronzati di stagione un bel po' di cocktails muniti di ombrellini multicolori. Intanto le sedie intorno si popolano di altra gente, uomini e donne di mezz'età, mezzi sposati, accoppiati, assemblati sulla base delle convenzioni sociali della provincia, attenti con il bilancino a soppesare ruoli, funzioni e stipendi, timorosi di tracimare nel trash , dovesse una parrucchiera sottobracciarsi ad uno stimato avvocato professionista o , semmai, una farmacista, ad un malcapitato bidello (superdotato ma sfoggiante la dote solo in privato), per non eccitare l'aerobica irrefrenabile delle lingue terrificanti di zitelle ragnateliche o coppie benassortite (secondo loro), fa niente se di donne signore casalinghe nullafacenti mantenute da benestanti mariti (epperò cornatenenti e contente)...
Il proprietario del luogo, uno spilungone con i capelli lunghi e lievente aeroportizzato sul cocuzzolo cranico, si aggira leggiadro fra i tavoli, salutando con convenevoli tutti gli intervenuti astanti, che ostentano spumanti e champagnini, fumando , alcuni, specie le donne ( cui i medici hanno detto di indulgere tanto non devono badare all'erezione-la loro-)...E al centro il tavolo del boss locale, del ricco del paesotto, dell'industrialotto del luogo che osserva godurioso e plaudente il risultato della rivoluzione copernicana del maschio alfa che si impone non più per la forza fisica, ma per il pelo sullo stomaco quando si tratta di licenziar operai o trattar con sottoposti. Goffredo Dabbene, con i bargigli sottogolari da urogallo di paese, si pavoneggia sorseggiando il suo champagnino e beandosi dell'essere il Re della foresta dei cervelli pietrificati...sicuro del proprio potere economico studia la situazione sotto gli occhi di una anziana e annoiata moglie robusta abituata a simili spettacoli da tempo; Goffredo Dabbene studia le bellezze locali e sta già pensando a come e quando invitarle nella sua dependance segreta che tutti conoscono ma fanno finta di non conoscere ( e  lui lo sa). E naturalmente tutto ciò fa di lui un "dritto", uno che ce l'ha fatta, e per di più senza le phisique du role, tantopiùabile quindi. Lungi da chiunque l'idea che essere intelligenti, colti, brillanti , con un gran senso dell'umorismo conti qualcosa. E' perfettamente accettato, nella provincia italica meridionale, che i soldi comprano tutto. E qualcuno ancora si chiede perché dei giovani che hanno avuto la malauguranza di studiare e capirne qualcosa in più dei loro rassegnati padri, ad un certo punto, levano le tende? Questa è la mafia: la mafia è una mentalità...
Ho detto un mucchio di volte queste cose ad Antonietta Turchese. Lei sa che ho ragione ma non può darmi ragione. Perché darmi ragione significherebbe sconfessare il fatto che , vivendo in altitalia, ad un certo punto, se ne sia tornata all'ovile.
E mentre il proprietario del Giuggià, tale Pietro Mangusto, annuncia l'evento della serata, il concertone di Fernando , che ha cantato con Vicente Amigo (ma che molti intorno giurano abbia cantato appena  con il cantante folk locale Vincenzo D'Amico), un sacco di gente comincia a scatenarsi in pista. Bella la musica latina, le matrone mediterranee ancheggianti, sorridenti, protesiche, bacini ampi, seni contenuti a stento da reggiseni rinforzati da impalcature di rigattieri cinesi  in una sarabanda di esibizioni individuali che , diventando collettive, diventano nessuna esibizione (chi non lo capisce si faccia curare), mentre dai tavoli occhi di donne che si accompagnano a uomini di comodo cercano di capire se rubare sguardi con i lampi dei loro sottecchi, come di pesci slamati controsole alla controra pomeridiana nell'adriatico d'agosto, sia appagante quanto svuotare la credit card dell'uomo pagante del momento-per una donna lo sguardo può valere un assegno di rassicurazione-
Anch'io ballo e osservo tutta questa umanità, e io con loro, io in mezzo a loro, non sono diverso da loro, né loro diversi da me, non li detesto, non li amo, sono stereotipi, eppure ognuno capace di pensieri di un'originalità imprevedibile...se solo riuscissi a carpire il flusso dei loro pensieri, così diversi, ne sono sicuro, così non propriamente banali, se solo riuscissi a fotografare le pagine dei loro libri interiori, mentre interpretano i loro ruoli sociali, come richiede il costume locale, che , alla fine, riesce a farti diventare un banale stereotipo, anche se sei unico e irripetibile....

venerdì 17 novembre 2017

L'estate del 2017, parte due

La sera successiva con la crew compresa di mia madre, mio padre, detto il boss, scherzosamente e il Brother  e mia cognata e Ludmilla la Terribile, decidiamo di andare a Sisto, misconosciuta frazione fra Cisternino e Locorotondo , agglomerato di case di campagna che sorge in mezzo agli ulivi nelle frescura della Valle d'Itria. Ci inerpichiamo in auto fra strade buie , intorno  tutto scuro e rigorosamente privo di illuminazione. Una volta arrivati nel corso principale di Sisto, ai lati un paio di rinomate Bracerie , dove , specie d'inverno, si possono assaggiare carni di macellazione locali di una prelibatezza incredibile-mi ricordo di una volta che con mio fratello e l'avvocato Vix, mio eterno amico d'infanzia, mangiammo in una di queste bracerie in compagnia di famiglie di obesi locali che come tapiri, ippopotami o elefanti in pasturazione, le sedie scricchiolanti, sgretolavano a colpi di mascelle cosce d'abbacchi e bovidi diffusi, che a un certo punto il Brother disse, qui dentro oltre che il buttafuori mi sa che c'hanno anche il buttadentro, che è uno che sta all'ingresso e fa entrare questa gente a pressione a pedate, tanto sono grassi, per questi qui il cibo è una droga-qualche bar di cui uno con un Karaoke già in azione,e lungo i muri a secco ben incastonati, file di macchine. Lasciamo le famiglie vicino all'ingresso della piazzetta dove si svolge la festa di Sisto , alias La sagra della Polpetta e della Braciola-da noi in Puglia la braciola è l'involtino di carne al sugo-e proseguiamo con due macchine, il Brother la sua io quella degli "olders"(meglio edulcorare, "vecchi" in fondo mi prende male). Dopo aver parcheggiato nella campagna inoltrata e fatto un bel pezzo a piedi , io e il Brother entriamo nella piazza di Sisto (che non so come si chiami ma credo che dire la piazza di Sisto sia sufficiente in barba a qualsivoglia navigatore)...E ci troviamo di fronte alla seguente scena: baracche intorno con file piuttosto nutrite di nutrie umane, un po' di gente in carne a caccia di carne-qui del colesterolo se ne catafottono, lo chiedono di rinforzo agli involtini-, in fondo più in là un palco dove più tardi si esibiranno, secondo un manifesto visto di sfuggita i Terraros e Marco Ligabue e fra il palco e le baracche una spianata di tavoli già belli e pronti sui quali consumare il fiero pasto a base di grassi saturi.
Dopo aver fatto la fila per rifornirci, ci sistemiamo in piedi davanti a questi enormi tavolate in un atmosfera di convivialità calda , accogliente, solidale. Le polpette e le braciole sono serviti in pignatine di terracotta che sono comprese nel prezzo e che a termine ci potremo portare a casa. Il Boss gode con gli occhi e con la bocca e con la pancia e con il viso dall'espressività incredibilmente salentina old style e anche Donna Germana mostra di gradire, con i suoi occhi verdi sempre rotati e pronti a cogliere il linguaggio dei volti con le implicazioni letterarie del caso. Ludmilla la Terribile spazzola tutto e anch'io non mi faccio pregare (anche perché non sono un religioso). Dopo aver gozzovigliato a lungo e sorseggiato in plastici bicchieri di platica del buon rosso Negramaro, ci sistemiamo su delle sedie di fortuna , plasticose sedie da fiera o da evento campestre o da sagra di paese . Le cerchiamo per gli Olders e per noi, per me almeno, faccio che sto in piedi. Si avvicina il fatidico inizio dell'atteso concerto. L'odore della carne cotta sul momento e del sugo di pomodoro intriso della medesima carne riempie l'aria in modo irresistibile, che non so come mai non si presentino all'appello centinaia di cani del cui randagismo queste terre sono affette, nonostante lo sfruttamento continuo dei cani d'ogni specie a guardia di poderi e a paneacqua (seppure)  e gioiellino di catenazza al collo.
Poi parte il concerto con Marco Ligabue , che si presenta con un chitarrista biondo occhiazzurri e capelli sciolti al vento, mentre lui è bassino tarchiato e moro, orecchino lato sopracciglio e sorriso hollywoodiano...un ottimo animale da palcoscenico. Suona le sue musiche e attendo i suoi due pezzi forti (lo avevo visto con il Brother e family a Imola al Parco delle Acque un anno prima) , e cioè il racconto della sua partecipazione ad un concerto in Sardegna , dovendo fare da gruppo d'apertura di Caparezza e la menata che lui è Marco Ligabue e che non deve niente di quello che è e fa al più noto fratello ( epperò è inevitabile escusatio non petita accusatio manifesta) . Il racconto su come ha incantato le folle in Sardegna dopo lo scetticismo iniziale si riempie di nuovi aneddoti, rispetto al concerto del Parco delle acque-beh del resto c'è anche , e va bene così,  del gran teatro, su un palco anche se sei lì per cantare- e via così fino ai Terraros.....
Che  esordiscono con le pizziche e le tarantelle e le tarantate, che sembrano giochi di parole ma sono distinte e distinguibili fra loro, con testi in barese-ma qui siamo già a cavallo, come accenti, fra Salento e Terradibari e l'uso degli strumenti tradizionali tipici, come tammorre e tamburelli e violino e chitarra e ciaramelle , con il cantante leader ( c'è sempre un leader in un gruppo, un portavoce, via) macilento, pizzo mefistofelico, capelli lunghi e sciolti e divisa teatrale d'ordinanza da corvo da palcoscenico, nera e bombetta o simil in testa (tale Dominique Antonacci).
Gran bel repertorio e abbellito dalle evoluzioni sopra e sotto il palco di due ballerine di pizzica biancovestite con foulard rossi ( a proposito, vengono lanciati foulard rossi per "pizzicate" fra il pubblico omaggio- anche se siamo ad agosto ehehehe).
Il pubblico sembra impazzito e tutti subito a ballare le pizziche, compreso il Brother e consorte che si muovono sinuosi e perfetti, nell'interpretare la mascolinità e la femminilità della natura androgina della vera pizzica, mentre ragazze , soprattutto , e qualche timido ragazzo , si lanciano ad avvinghiarsi, sfiorarsi, guardarsi, alitarsi addosso, come animali in preda ad eccitazione...e le ragazze specialmente, con i loro afrori forti, contadini, pelli che sudano i cibi asprigni di queste terre, che trasudano i vini sapidi ( le ragazze di queste parti bevono il vino come vignaiuoli). Le mie narici sono come impazzite, perché sono olfattivo, sono segugico, sono un animale preistorico, un cacciatore di odori, di profumi, un interpretatore d'aliti, come deve essere un antropologo che deduce dal campo , a ritroso, come in un processo di reversione ipnotica, partendo da come odoriamo, dai nostri zigomi, dal taglio degli occhi, a ritroso, fino ai nostri avi della notte dei tempi, di cui ancora conserviamo qualcosa, che viene fuori mentre danziamo e , nietzschianamente, partorita dal caos interiore....





martedì 5 settembre 2017

L'estate del 2017, parte uno

L'estate del 2017 per me si è concretata in uno spazio di due settimane, la prima quindicina di agosto, trascorse in quel di Ostuni, mio luogo natio, di radici e affetti.


Ero partito con l'invocazione telefonica a mia madre, prima di partire, di fare le polpette, genius loci gastronomico pugliese per antonomasia e , in definitiva, pietanza che caratterizza chi le prepara. Non troverete una sola nonna o mamma o figlia o chef che le faccia uguali alle altre. Ognuno ci mette qualcosa di suo. In definitiva fare le polpette è come fare l'amore, non troverete uno che lo faccia uguale a qualcun altro. E puoi persino fare cilecca...succede quando si bruciano le polpette.


Ho viaggiato con l'autobus della Marino , come di consueto. Pioveva, il che era abbastanza raro  e , che dico, da ricordare, in un'estate-questa cosa sì,  è stata particolare- fra le più calde che io ricordi. Temperature tropicali e umidità marziane. Attraverso il diluvio sull'autobus bipiano colmo di bipedi, verso poco dopo Lodi, città a me nota per aver dato  il nome ad un piazzale e ad un corso di Milano. E questo senza che s'offenda nessuno, non m'è ancora scappato di andarci.


In autobus si dorme poco, e le lucine da lettura non le usa nessuno, nel timore di disturbare gli altri...ehm, gli smartphones degli altri...tutti a guardare tv e film sfruttando la connessione wi-fi gratuita fornita dalla Marino Viaggi. Mi rassegno e cerco di rilassarmi, mettendomi in posizione yogica del loto. Mi osservano in modo un po' strano, più che altro perché riesco ad incrociare le gambe nonostante la mia complessione da plantigrado.
Poco dopo spiove e tutti si tranquillizzano , anche perché sotto quell'acquazzone l'autobus non aveva minimamente accennato a diminuire la propria andatura. E tutti si erano per un po' tenuti ai sedili simili a molti passeggeri durante decollo o partenza di un aereo.


Le soste notturne sono sempre benvenute. In un quarto d'ora si cerca di sgranchirsi e di sgranocchiare qualcosa. E si finisce sempre per svuotarsi il portafoglio con alimenti inutili e calorici e costosi, prerogativa questa di tutti gli autogrill. Dove puntualmente ci si ferma. E poi , dato il periodo, fine luglio inizi di agosto, persino per andare in bagno c'è la fila come al botteghino di uno stabilimento balneare ligure-riminese.


Chi sa perché ma, delle soste con la Marino, mi ricordo sempre quelle nei pressi di Termoli. Lì, verso le 4 di mattina, il bar è affollato dagli amanti dei cornetti ammazzanotte. Ragazzi dagli accenti alla Di Pietro chiacchierano e fumano, mentre consumano i cornetti dell'autogrill i cui impiegati servono con i sorrisi a mezz'asta dettati dal sacrificio di dover lavorare mentre gli altri gozzovigliano. Sono uniche , le ragazze molisane, piuttosto in carne , alcune , parecchio bianche di carnagione , le smilze.
I libri che vendono agli autogrill mi fanno gioire di non essere uno scrittore di successo. Sono destinati alla lettura estemporanea dei primi capitoli, fra una capatina su facebook e l'altra, dello smartphone di chi se li è comprati sull'impulso del momento. Io di tutti una volta mi sono comprato quello sulle virtù dell'Aloe di Padre Romano Zago, un frate italiano che vivendo in Brasile s'è inventata una sorta di panacea di tutti mali a base di Aloe vera. Non so, magari funziona molto meglio di certi farmaci iperpubblicizzati.


L'alba di solito non la vedo mai, è il mio momento di dormire della grossa. Non lo so, è stato sempre così, quando viaggio in autobus o in treno.
Ma alle prime luci del sole, dopo aver lasciato qualcuno a Monopoli e poi a Fasano, sulla sinistra, scorgo il Parco Regionale delle Dune Costiere. E sullo sfondo il mare della costa ostunese, dai colori cangianti, mixati dal filtro di quelle ciglia di cime di macchia mediterranea penetrate dal primo sole che spunta dietro le murge dal lato opposto della strada.




Alla stazione Erg di Rosa Marina, vengo scaricato. Mentre aspetto che venga a prendermi in auto mio fratello, detto il maresciallo, perché, punto, è questo che fa, il maresciallo dei Carabinieri, entro nel bar, abbandonando i bagagli incustoditi sul piazzale antistante. Nel bar c'è odore di cornetti e caffè e sul banco a destra, di fronte al banco del bar, ci sono i giornali. Voglia di comprarmi "Il quotidiano" per leggermi le ultime sulla campagna acquisti del Lecce. La squadra per cui tutti noi in famiglia tifiamo e che dopo i fasti delle massime serie calcistiche si dibatte nelle secche della Lega Pro, la vecchia serie C, finita lì per vicende legate al calcio scommesse. Ma l'estate è leggerezza. Non importa se anche nel calcio è tutto un trucco, partite truccate, promozioni annunciate, arbitri venduti, dirigenti scorretti...quintessenze del malcostume italico di sempre dove ci si ritiene imprenditori edili là dove si è palazzinari e manager dove invece si è apprendisti stregoni appena usciti da una soap opera sudamericana.


Mio fratello arriva poco dopo e si trova già comprati Il quotidiano e la Gazzetta dello Sport, che di leggerezza abbiamo da fare il pieno. Sperando di non tracimare nell'aria fritta, dopo cotanto Renzismo e Grillismo. Apolide di sinistra, mi sento, secondo una ben nota definizione che mio padre ha dato a se stesso, riguardo a posizionamento politico. Chapeau, il Boss non ne sbaglia una, di definizioni, da incidere nel marmo.


-Ciao, Professò, mi chiama così affettuosamente, un po' alla prendiperculo (ma bonario) , mio fratello, per via di certe mie prerogative intellettualoidi, come questa pretesa di scrivere libri, come stai? , completa.
-Sono stato meglio, ma anche peggio, direi che sto democristianamente bene...
Saliamo in macchina e arriviamo sulla strada 379 fino allo svincolo per Ostuni(a destra si va a Villanova Mare). Saliamo verso la città bianca, su questo serpentone, questa anaconda di asfalto squamoso (ormai nemmeno elettorale), in mezzo agli ulivi secolari che con i loro tronchi sembrano discutere fra loro e commentare il nuovo arrivo "milanese"...mentre con il Brother si chiacchiera del più e del meno, di salute, di sport, con immancabile critica estetica alla mia ormai cronica pancetta(che essendo stato io un atleta in molti  non sono più abituati e vedere).


Una volta superata Ostuni, che con quel presepe palestinese di case bianche affastellate le une sulle altre trasmette sempre una sensazione nostalgica di bellezza senza tempo, ci avviamo sulla strada per Cisternino, dove  i miei vecchi villeggiano d'estate, in una dimora avita, annegata nell'ombra di pini che hanno più o meno la mia età....visto che sono stato io a piantarli (ricevuti in regalo dal buon Peppe P. che aveva il papà, buonanima, forestale).




L'arrivo è sempre bello, da figliol prodigo, accolto sempre dall'abbraccio dei "vecchi". Bisogna avere rispetto per chi ti  ha dato i natali, nutrito e pasciuto, e magari non sei venuto come speravano, ma questa è la storia di sempre di ogni tempo e luogo e una madre e un padre ti ameranno comunque. Ma le eccezioni non mancano e io sono fortunato (vedi il film Gran Torino).


Faccio colazione, tutti ossessivamente attenti alla mia dieta(ma ha senso in vacanza?). Colazione leggera con fette biscottate e marmellata d'arance fatta da mammà. Una squisitezza.


Poi si va a mare...


Al Pilone, ma dall'interno del villaggio. Lasciamo la macchina fuori in un parcheggio e percorriamo una delle arterie che tagliando il villaggio di villette a schiera che dà sul mare...


Andando in spiaggia incontriamo vecchi amici e le solite storie del perché non porti con te la fidanzata...e le solite risposte del perché è così che ci piace vivere, non convivendo, vedendosi due tre volte alla settimana ognuno con i propri spazi, forse, e dico forse, magari dura di più...
le convezioni sociali sono una stratificazione e anche chi pensa di esserne immune ne è intriso sino al collo, ma tant'è...


Spiaggia di sabbia, e siamo io , il Brother , sua moglie, avvenente sicula mediterranea e mia nipote Ludmilla, che non perde occasione per conteggiare le multe di cinque euro ad ogni parolaccia detta da me: sono appena arrivato e siamo a 340 euro...Minchia! Ah, scusate, 345.


Il mare è spettacolare e io mi immergo nell'acqua per il mio primo bagno di stagione. Nuoto fino alle boe e una volta lì, mi aggancio a una e faccio qualche esercizio di apnea...dal che mi accorgo che devo riprendere yoga, che ho i polmoni rinsecchiti e che resisto solo pochi secondi. Ora c'ho poco più di 50 anni non dico che devo resistere come un pescatore di perle o un tricheco sino a modificarmi geneticamente, ne diventare in pochi minuti uno yogin capace di entrare in catalessi per giorni e giorni. Ma si può fare di più...Ed è uno dei miei buoni propositi: esercizi di apnea tutti i giorni in cui si va a mare...


Mentre esco dall'acqua vecchi amici mi salutano , mi stringono la mano e ricordano gli antichi trascorsi calcistici, quando ero magro come un fuscello( aridaie!). Una volta la pancia era simbolo di benessere e abbondanza, oggi con le nuove tendenze salutiste è sinonimo di cattive condizioni generali e tutti si consolano che il passare del tempo non ti sta risparmiando, mentre loro giocano ancora al pallone (beati loro). E infatti c'è Tonino I .che mi saluta con affetto e restiamo per un po' all'acqua bassa , con il mio Brother che della mia generation non ne sa molto, ad ascoltare incuriosito....


In piedi nell'acqua bassa di poco oltre il bagnasciuga, Tonino sta in piedi ben piantato con i suoi quasi due metri di statura, la pelata ben rasata, gli occhiali da sole e un cappello alla Carlo Verdone marito pignolo di MAGDA  in partenza per le vacanze estive.
Davanti a lui, di schiena al sole e alle ville del villaggio Pilone, ennesima spianata di cemento sparsa a pochi metri dal mare e come sempre impattante sul piano ambientale-ma sono rimasto uno dei pochi a indignarmi, l'indignazione continua alla fine diventa silenzio per orecchie acufeniche-a braccia conserte io  mio fratello lo ascoltiamo. E sì perché Tonino come molti salentini delle generazioni nate negli anni sessanta, ha un certo gusto per la narrazione orale .E per la teatralizzazione della stessa , con mimiche facciali e corporee, d'accompagnamento, che meriterebbero di essere filmate e incluse in un dvd sul "Teatro naturale dei meridionali".
-Con tuo fratello, Fabrì, dice rivolto al maresciallo, abbiamo giocato al pallone in un epoca in cui le panche degli spogliatoi  erano intrisi di un forte odore di olio canforato, recita con quel suo tipico accento ostunese unico al mondo, inconfondibile, come quasi tutti i dialetti salentini molto tipici e caratteristici , tutti diversi gli uni dagli altri, come ebbe modo di constatare con meraviglia il glottologo tedesco Gehrald Rohlfs nella stesura di quell'opera straordinaria nota come "Vocabolario dei dialetti salentini".
-Quell'anno giocammo un campionato allievi regionali. Si giocava su campi in terra battuta o coperti di sansa, la sostanza di risulta degli oleifici...oppure, come nel caso del campo del Torchiarolo, su campi pieni di camomilla, riprende a dire restando in quella posizione da anziano che si è appena alzato dalla sua sedia di corda , interrompendo la sua siesta per spiegare o raccontare uno stralcio di vita vissuta, un tassello del puzzle di una storia fra le storie che alla fine compongono il grande affresco della STORIA,  a lettere maiuscole.
-Ricordo una storica partita con gli allievi del Lecce, fu memorabile, fa...
Mio fratello ascolta assorto e interessato, parliamo di una generazione a lui antecedente, che ha avuto nel calcio la sua formazione guerriera finalizzata ad affrontare la vita. I cinesi hanno il Kung Fu, gli indiani lo Yoga, i thailandesi il Muay Thai, noi abbiamo avuto il calcio...ma non un calcio patinato da copertina traslucida bisettimanale, un calcio rustico, campestre, rupestre, un calcio fatto di spogliatoi senza cuscini e tè caldo, un calcio fatto di docce fredde, un calcio fatto di vegetallumina e olio canforato, di pacche sulla spalla e persino di sigarette fumate nell'intervallo, fra un tempo e l'altro, si stesse vincendo o meno, poco importava.
-Giocammo su un campo in erba...per la prima volta nella nostra vita, fa, e digrigna i denti sorridendo ironico con quella sua espressione sardonica, sogghignante, il capo ondeggiante ad accompagnare enfaticamente le parole del racconto....
-E chi aveva giocato, mai, fino ad allora, su un campo in erba? Era la prima volta, ma non slo per me, per tutti noi. Ricordo che l'allenatore era il mitico "Fagiolino", indimenticabile, direi...me lo ricordo persino come giocatore, bassino, giocava dietro in difesa e aveva un bel calcio, un bel piede...beh, insomma, a farla breve(premessa inutile e beffarda in un racconto che si preannuncia torrenziale-altro che Paolini, lui è solo uno che ha capito che il racconto orale narrato è teatro), iniziamo a giocare e la partita è equilibrata. Il campo è a Surbo, lì nei pressi di Lecce. Ricordo che iniziò a piovere e , già il campo era in erba, poi con la pioggia , bagnandosi, ci invitò a nozze circa gli interventi in scivolata...mai potuti fare sui campi in terra o sansa. Fatto sta che li mettiamo sotto, gli impediamo di giocare come vogliono. Premetto(l'ennesima delle infinite premesse e parentesi e rivoli del torrente in piena della narrazione principale)che nel Lecce giocavano giocatori che poi hanno calcato palcoscenici della serie A e uno di loro , un certo Progna, non so se ve lo ricordate(dice rivolto a me e mio fratello), ha poi giocato anche in nazionale.
Io e mio fratello accenniamo al fatto che lo conosciamo, ma ci tacciamo subito per non rompere l'incanto narrativo. Narrare i ricordi è un po' come riviverli, ritornare giovani, ritornare su quel campo, fare un viaggio castanediano in un altra dimensione, che così deve sembrare ritornare a vivere i ricordi , viverli di nuovo con qualche aggiustatina d'immaginazione qua e là per riempire i buchi neri durante il ripetersi dell'azione narrativa.
-Insomma questo Progna era inarrestabile, due cosce che sembravano due prosciutti San Daniele, portava avanti la palla saltandoci come birilli...anche se noi reggevamo bene, Ciccio Zoccoletta fece un partitone, tanto che poi dopo la partita il presidente del Casarano fece un offerta di non so quanto, e all'epoca era molto, ma mo' non mi ricordo quanto...comunque fece un partitone, colpi di testa in tuffo, entrate in tackle, un partitone, fece...Fagiolino dalla panchina mi fece capire che questo Progna andava in qualche modo ridimensionato, così alla prima occasione che si presentò, come ben ricordi, Nico, io ero un centrocampista interditore, l'ho affrontato e l'ho atterrato. L'arbitro mi redarguì pesantemente, ma la cosa finì lì. Poi c'erano anche altri giocatori forti che giocavano già in serie B con il Lecce, anche se in panchina; ma in questi casi, si sa, lo stare a contatto con campioni che vivono tensioni e pressioni enormi  , fortifica ...Fra di loro c'era un certo Tusino , un attaccante. Ma Ciccio Zoccoletta gli mise la museruola. Non gli fece prendere un pallone.
Il tempo passa, sotto il sole, noi con i piedi e metà polpacci nell'acqua, ma la storia si fa avvincente...
-Ma Progna continuava a fare il bello e cattivo tempo, era inarrestabile. Comunque quasi alla fine del primo tempo stavamo zero a zero. Beh, dissi, qua devo fare qualcosa se no questo ci farà un gol o lo farà fare a qualcuno dei suoi. Ad un certo punto su una palla vagante a centro campo, eravamo tutti e due in ritardo, io e Progna, e  che cazzo , c'era l'erba, l'erba bagnata, mi lanciai in scivolata per prendere il pallone, ma lui ce la fece ad arrivare prima- per forza, con quei prosciutti di gambe-mi anticipò. Ma io a quel punto mi ero già lanciato in tackle ed entrai con i tacchetti sul suo ginocchio, nel quale gli si aprì un taglio evidente che sanguinò immediatamente. L'arbitro mi si avvicinò e disse, questa è una partita di pallone non una guerra. Tirò fuori il cartellino rosso e mi espulse. Ma la cosa che ricordo con grande piacere di tutta questa faccenda fu che Progna non accennò minimamente a lamentarsi, persino mentre era lì a bordo campo mentre gli mettevano i punti alla ferita al ginocchio, non disse niente. E quando mi andai a scusare mi dette la mano con un calore inaspettato. Non lo dimenticherò mai. Questo è professionismo. Era già un professionista e ragionava da professionista. Ma neanche da professionista italiano, sembrava quasi inglese, di mentalità inglese...
-Sarà stato di mentalità inglese ma non dubito che la sera stessa si sarà fatto un piatto di orecchiette al sugo e ricotta forte con un bel bicchiere di Primitivo rosso di rinforzo, dico.
Mio fratello sorride e anche Tonino, che ondeggia ancora sulle sue gambe ben piantate da mediano interditore. Si lamenta che non può più giocare, i maledetti menischi, le maledette ginocchia , sta meditando di fare qualche altra attività. Ma nell'attesa non fa niente. Sta fermo. Medita sui suoi ricordi e non riesce ad accettare che non potrà più giocare nemmeno con gli amici sui campetti di periferia della Città Bianca.
-Ti consiglio la bicicletta, o il nuoto, dico, sono due cose che fanno molto bene a chi ha problemi alle ginocchia.
-Lo so, fa lui, ci sto pensando...ma io sono uno che proprio il pallone ce l'ho sempre avuto nel sangue e mi ci vuole un po' di tempo per accettare di abbandonarlo, come un vecchio amore, una nave scuola, da cui torni tutte le volte in cui qualcosa è andato storto. Ed è come averla persa per sempre, quella nave scuola....









sabato 18 marzo 2017

Diario di un pedalatore urbano, due...

Sabato pomeriggio, ho già letto qualche brano del Dhammapada, scritto il capitolo di un giallo che sto scrivendo e le gambe mi fremono, richiedono movimento. Bevo un paio di mate memore della biografia di Guevara dove l'argentino appare sempre con questo necessario tiramisù droga benefica in mano mentre lo succhia in una cannula, mentre mi bardo di tutto punto, pantaloncini imbottiti, un paio di magliette cotonate, guantini , calzettoni ritensivi e casco e occhiali da sole alla Blade, vampiro diurno. 
Poi vado nel box delle bici del condominio, la mia bici presa dal Decathlon dieci anni orsono che ha resistito a tutto, intemperie e inattività, nel tempo in cui correvo a piedi e basta, come aerobica salutista, la inforco ed eccomi fendere un insospettabile vento, per questi lidi, parliamo di Corsico, hinterland milanese e western meneghino. Di qui a poco salgo sul ponte che da Corsico mi porta verso Cesano Boscone  e traffico accettabile, mentre penso , lo penso sempre in bici nel traffico, al classico rapporto costi benefici che implica che andare in bici nel traffico fa molto meglio alla salute che non andare in bici nel traffico, ed eccomi giunto al cospetto dell'Ipercoop La Torre, nei pressi di Baggio, già Milano e già popoloso quartiere foriero di linguaggi periferici che arricchiscono gli intricati rimati testi dei nostri rapper da parchetto e canna serale(che hanno sostituito noi che eravamo, a quell'età, i ragazzi dl muretto e delle pomiciate oceaniche), svoltare verso via Bisceglie, capolinea della linea rossa della metropolitana , mentre due ragazzine in età scolare tentano il suicidio attraversando la strada da parte a parte in superficie, per non volerlo fare dal sottopassaggio, forse per godersi, in definitiva, questo sole improbabile di marzo .Taglio Baggio nel mezzo e mi dirigo verso l'Ospedale San carlo, sto pedalando sostenuto da un quarto d'ora e ho in mente di arrivare fino al parco di Trenno, in via  Novara, che con questo sole sia pur velato effetto abat-jour coperto da sottana precoito, deve essere uno spettacolo unico di uomini e donne che nulla hanno a che vedere con "Uomini e Donne" di canale 5. Taglio a destra e faccio un leggero dislivello che mi porta verso via Novara , attraversando via Carlo Marx , in mezzo a palazzi che ricordano, guarda caso, kombinat dell'ex DDR o padiglioni d'allenamento di una mitica squadra di calcio della Germania comunista , nei pressi dell Karl Marx stadium dove giocava il Karl Zeiss Jena che seppellì la Roma decenni fa sotto una valanga di reti inopinatamente definite dopate. Pedalare ti fa viaggiare nel viaggio e la mente vaga alla ricerca di immagini del passato fiutando immagini non ancora verificatesi o avvenute in mondi inesistenti o in altri mondi ancora, è l'effetto dopamina dello sforzo aerobico. Eccomi in via Novara, attraverso un semaforo vicino ad una chiesa, in via Sant'Elena, dove si sta svolgendo un funerale, poco dietro in ultra strada un mercato è in via di disallestimento, sullo sfondo di una casa d'epoca che ha sulla facciata la ragnatela di un edera che si fa verde solo in inverno.
Entro nel parco e percorro la stretta linea d'asfalto rabberciato alla meglio ma che ancora tiene, sul lato estremo , seguendo altri due bikers che hanno la pedalata decisamente più fluida, ma io mi godo il paesaggio, lungo la linea di alberi senza foglie, verdi d'inverno anch'essi, scheletriti, sotto i quali la linea di panchine ospita ,ciascuna, degli anziani probabilmente gay(da come guardano ammiccanti) che godono di immaginazione nel veder passare giovani virgulti joggers o bikers , come se l'immaginazione fosse l'eiaculazione del più potente organo sessuale, che è la mente, nel tramonto delle loro vite che mai nessun viagra risveglierà, perchè questi rimedi raddrizzano membri senza ridar libidine...
Continuo lungo la lingua d'asfalto, per circa tre chilometri, pur non essendo giovane e pur non essendo virgulto, ma con la passione per l'osservazione rotante e svolto poi, una volta al termine del parco, tornando indietro dalle viette centrali, zigzagando fra scenette che mi si mostrano, che testimoniano la varietà multiculturale di questa città: due russi o ucraini, chi lo potrebbe dire, in campo neutro dove sono, mangiano seduti su delle panchine di legno e tracannano le loro birre in santa pace, mentre dei ragazzi pachistani e indiani , poco dietro di loro giocano a cricket e più avanti su uno dei campi di calcio con porte, bandierine e persino linee delimitanti bianche, ci si accinge ad una sfida fra arabi e centrafricani e più oltre, campi da tennis, dove giocano delle ragazzine bionde nordeuropee, attigui a campi da basket pieni di ragazzi cinesi, persino alti, ennesimo luogo comune sfatato, mentre incontro bikers e joggers nati ognidove su questo pianeta terra e soprattutto restando con addosso questa sensazione incredibile di accettazione e tolleranza e anzi di curiosità di incontrarsi e confrontarsi, magari mescolarsi, anche , al termine , restando ognuno con le proprie convinzioni, credo religiosi e politici, come se stessi attraversando una Repubblica Democratica Multiculturale dello Sport, ulteriore testimonianza che lo sport unisce persino chi non fa sport, o è spettatore, come questi latinamericani vicino ai quali passo andati al parco a fare un barbecue(ma comunque osservano e osservando partecipano) , o studenti universitari stesi su un plaid nell'erba, a prendere il sole mentre studiano o la signora matura con gli occhiali che sta godendosi un libro di Sveva Modigliani, seduta sotto il sole velato, di questo Sabato pomeriggio trascorso in bici. 
Con nella mente queste belle immagini mi accingo a tornare, ma solo dopo essermi fermato una decina di minuti per qualche serie di addominali o trazioni calisteniche, giusto per mantenere un minimo di tono muscolare un po' dappertutto, su questo tronco cono bitorzoluto che sembro essere diventato con gli anni e l'ernia del disco.
Ripasso da via Carlo Marx ed ho già quasi un'ora nelle gambe, ma non sento alcuna stanchezza, la pedalata è ancora fluida, sincronizzata alle armoniche immagini già viste e all'armonia che si diffonde semplicemente osservando il piacere di chi ti guarda, tu, anziano pocopiù che cinquantenne coi capelli brizzolati che si intravedono sotto il caschetto protettivo nero, mentre non ti sogni minimamente di barcollare, ma sembri un tutt'uno con il tuo cavallo metallico, sfrecciando sull'asfalto urbano, mentre ti infili nel budello di calcestruzzo come un vecchio pazzo senza tempo.

sabato 4 marzo 2017

Milano:diario di un pedalatore urbano...

Da qualche tempo uso andare in bicicletta. Prima correvo, poi, un po' l'età  un po' l'accentuarsi dei postumi di un'ernia del disco, mi hanno consigliato questa scelta. L'attività aerobica abbinata al mantenimento del testosterone tramite il sollevamento pesi, insieme, rallentano il processo di invecchiamento, in particolare, per l'uomo. Ma più l'attività aerobica. Il non poter più correre, oltre a farmi aumentare di peso, mi aveva gettato in uno stato di prostrazione psicofisica. Non funzionava più niente e, principalmente, nonostante non si riesca a credere, la mente. Il faticare allenando polmoni e cuore, in prima analisi, sembrava essere quel nepente necessario a sopportare meglio la vita. Tornando all'attività aerobica, nella versione ciclata, sono rinato. Il mio metabolismo funziona alla perfezione, il mio umore è sempre alto, mantengo un buon peso corporeo senza costringermi a diete estenuanti e foriere di depressione e la mia mente sembra averne tratto ulteriore giovamento, affilata, lucida, sempre gravida di nuove idee.


Oggi di mattina pioveva, ero libero dal lavoro, mi sono quindi alzato tardi. Ho messo su radio Deejay, approntato la colazione con cioccolata calda preparata con il latte e biscotti perlinati di scaglie di cacao.
Poi ho dato un'occhiata a internet, letto un po' di stati su Facebook e su Twitter, sempre le solite cose trite e ritrite che nonostante tutto finiscono per condizionarti la giornata. Non che il numero di likes rappresenti qualcosa che possa determinare il mio umore, perlomeno per me, ma desta in me sempre una certa impressione constatare il numero di likes che trovo in calce a stati rappresentati da foto neanche tanto belle o da emerite amenità. Gli stati che dicono qualcosa, che fanno riflettere o che superano i tre righi hanno pochi likes, o non li legge nessuno,  al massimo qualcuno mette il like senza nemmeno leggerli, così, sulla fiducia. Abbiamo iniziato a non leggere più giornali, poi proseguito a non leggere più libri, ora non leggiamo più neanche Facebook e Twitter. Fine. Breve storia del suicidio collettivo del mondo. Inoltre più gli stati sono divisivi, netti nel prendere una posizione, meno likes beccano. Non vorrei qui tracciare un'analisi dettagliata sulla fenomenologia dei social media, ma i segnali sono preoccupanti. E potrei persino correre il rischio di  vedere questa mia osservazione  considerata frutto di una mentalità vetusta poco incline ai cambiamenti . Capite che le mie preoccupazioni aumentano ad libitum. Ma poi qualcuno potrebbe dire, cosa te ne frega del mondo, non sarai tu a salvarlo e...eh no, non mi metto l'animo in pace.Non saro' io a salvarlo , ma non voglio essere complice inerte della deriva culturale, principalmente della mia deriva culturale. 

Poi alle tre del pomeriggio è uscito il sole, non pioveva più. Mi sentivo nervoso, annoiato, forse questa cosa del fare durate la settimana di lavoro mille cose in un giorno ti abitua ad un iperattivismo che ti fa diventare come un cavallo:i cavalli da corsa sono talmente abituati a correre che potrebbero correre fino a farsi scoppiare il cuore, perchè non ne possono fare a meno. A qualcuno tutto questo ipeattivismo potrebbe piacere, ma io lo faccio perchè lo devo fare, perchè sono una persona onesta e sono educato a vivere del mio lavoro. Non è una cosa che puoi decidere, lo fai e basta, perchè l'imprinting familiare è quello, l'educazione all'onestà e a guadagnarsi il pane onestamente ce l'ho nel sangue. Ma è anche una condanna, perchè secoli di aggiogamento impiegatizio ci hanno costretti a vivere senza osare. Anche se osare porta comunque al distacco dagli altri , dalla società. Ecco forse perchè non lo facciamo, siamo esseri sociali e vivere in cima ad una piramide d'oro non renderebbe il nostro animo più ricco che condividere gli affanni del vivere quotidiano. Ad ogni modo , per scuotermi da questo torpore, decido di prendere la bicicletta. Ora io da anni posseggo una bici acquistata dal Decathlon, di prezzo modesto ma di gran pregio. Io amo andare per le strade urbane, ho scoperto, più che su quelle extraurbane. Mentre pedalo mi piace osservare la gente, gli autobus, le auto, i cani, i ratti, le nutrie, i gabbiani e i piccioni, i falchi inurbati in città, gli altri ciclisti, e i loro colori, i loro vestiari, le loro bici, vedere se anche loro, come me, hanno la sella antiprostatite, con un foro in mezzo, cose così.
Scendo nel vano parcheggio biciclette, tiro fuori il mio cavallo metallico, fedele, non tradisce mai, lo inforco , apro il cancello elettronico..ed eccomi per strada. Attraverso le strade nei dintorni di casa, via Baracca, Via Montello, a Corsico, poi salgo su un ponte metallico verde che sormonta il naviglio come il collo di un brontosauro addormentatosi mentre stava sgranocchiando una margherita sul prato dall'altra parte del corso d'acqua. Una volta passato dall'altra parte del naviglio, inizio a percorrere la ciclopedonale che in sette chilometri mi porterà nei pressi della stazione di Porta Genova, a Milano. Incontro altri ciclisti, chi con bici da corsa all'ultimo grido, in fibra di carbonio, vestiti di tutto punto, impeccabili,  chi con city bike, bici da città, parafanghi e luci d'ordinanza  e qualche joggers che osservo con nostalgia , e di questi alcune ragazze che vanno come treni, decise e con passo tonico. Percorro la striscia d'asfalto in solitaria, , a destra il naviglio pieno d'acqua, e a destra del naviglio il traffico del sabato pomeriggio, un sabato pomeriggio di Carnevale, ma a parte noi ciclisti, persino io con casco tipo Sturmtruppen di Bonvi, pantaloncini a bermuda attillati con rinforzo nelle parti basse e giubottino attillato rosso vivo, non si vedono altre "maschere" . Per il momento almeno. 
Sulla sinistra, ma è chiuso, c'è un riparatore di bici, qualcuno che aveva avuto l'idea di piazzarsi proprio sul percorso ciclabile, con l'idea mica peregrina, di riparar bici. Un idea per la mia vecchiaia, insomma , se mai arrivero' ad avercela una vecchiaia, visti i tempi infausti forieri di accidenti improvvisi non sempre genetici ma sempre più ambientali. Molto buddhista, se vogliamo e se penso che nel futuro più prossimo alla mia dipartita, quando tutto torna, o quasi, a come quando t'affacciavi al mondo, vorrei tornare alla manualità, dopo lo sguazzo nel secolo digitale.
E vado, la bici a volte, nella pedalata fa strani rumori al mozzo dei pedali, e questo perchè credo abbia preso troppa acqua,  essendo uscito io tante volte con la pioggia, scricchiolii sinistri che non mi preoccupano, che definisco funzionali, nell'economia di uno studio empirico che ho fatto sulla mia bici in questi ultimi mesi. Ogni tanto provo le marce, ne saggio la funzionalità e tutto sembra andare per i verso giusto, mentre a destra passa un "quattro con" gravido di giovani virgulti provenienti dal vicino Circolo canottieri Olona, da sempre esclusivo ritrovo ludicomotorio dei ragazzi della Milano bene.
Mi concentro sulla pedalata e sul respiro, ho preso il ritmo, sento che i polmoni cominciano a godere delle respirazioni ampie e il cuore sta cominciando a pompare come si deve, mentre incrocio due cicliste che vanno di buon passo e mi mettono ulteriormente di buon umore.
Sono quasi arrivato a Porta Genova, dopo aver superato l'Olona, nel trambusto del traffico al di là del naviglio. Taglio per i navigli, insinuandomi nel pubblico del "sabato sui navigli", coppiette a spasso con i loro cagnetti mordi aria, barmen appoggiati ai muri fuori dai locali a fumare distesi e dare un 'occhiata alla fauna muliebre. D'un tratto sono nell'intrico di Porta Ticinese, prendo a destra, direzione Porta Romana, cercando di evitare la bellissima ma sconnessa pavimentazione stradale in porfido di Corso di Porta Ticinese.
Strano traffico rado, nonostante sia il sabato del carnevale Ambrosiano, che qui a Milano ci tengono.
Passo da Porta Romana, la lascio sulla destra, la strada è quasi sgombra, con qualche pozzanghera residua della pioggia mattutina. Becco tutti semafori verdi, modulando l'andatura, a distanza, in modo da non fermarmi mai completamente. D'un tratto sbuco in Porta Venezia e mi insinuo su Corso Buenos Aires, di recente riasfaltato. Mi metto a destra , continuando a meravigliarmi per lo scarso traffico. A destra e a sinistra i marciapiedi  sono pieni di gente, siamo in pieno Centro, Milano, la strada dei negozi e del passeggio pomeridiano della Milano bene. Signore vestite da mannequins, con i figlioletti vestiti da marziani, uomini ragno, fantastici quattro, winx, non sia mai uno Zorro, un Arlecchino o un Pulcinella, dovessero passare, loro e i loro figli, per demodè giurassici non-al-passo-coi-tempi, out  e chi più ne ha più ne metta.
Mi fermo ad un semaforo. Una macchina mi si affianca, dall'interno proviene un motivo disco ispanico ad altissimo decibelaggio e l'equipaggio della vettura, composto di ragazzi e ragazze, cantano a squarciagola riprendendo il passeggio del corso con i loro videophonini, destando la simpatia e l'ilarità generale. La ragazza che siede a destra del guidatore, occhiali raiban, ispanica, labbra carnose e sorriso Instagram mi fa un primo piano col suo smartphone, mentre fermo con il piede sul marciapiede attendo il verde.
Sono quasi in piazzale Loreto, a destra La Vucciria, locale che smercia specialità gastronomiche sicule tipo arancine e cannoli , poi il Mac Donald, effluvi di  cibo da niente si diffondono nell'aria. Giro intorno a Piazzale Loreto, con i suoi palazzi  a corona intorno alla piazza e i display pubblicitari con ora e temperatura e mi infilo in Via Padova. A destra e a manca, le pensiline dei bus sono stracolme di gente sud del mondo in attesa:arabi, sudamericani, indiani, cinesi, sembra di attraversare un piccolo concentrato di New York shekerato . Vado via lungo via Padova, sulla sinistra due alberi striminziti e tre o quattro trans incappottate e occhialate da sole chiacchierano nel cono di luce di qualche raggio di sole, sedute su delle panchine, finchè non passo sotto un ponte, verso Crescenzago, con ai lati una panoplia di Kebab, pizzerie, ristoranti cinesi e negozi cinesi d'abbigliamento. Qui sui lati niente grattacieli, sono rimasti in Loreto . E del resto nemmeno in Corso Buenos Aires ce ne sono, solo qualche gigantografia pubblicitaria su palazzi rivestiti di ponteggi di Belen Rodriguez, con tattoo sul deltoide, la cui immagine, ad orologeria, ho ancora nella testa.
Mano mano che mi avvicino a Crescenzago le auto aumentano. Ad un certo punto, sento che sto respirando troppo smog e , alla faccia degli studi che attestano che andare in bici in città inquinate fa comunque meno male che non andarci, in un calcolo di costi benefici, decido che è il caso, neanche a dirlo, di cambiare aria.
Torno indietro. Rifaccio via Padova e incontro due camionette dell'esercito, con alla guida due donne soldato,abbastanza androgine, scena a cui non sono abituato, che riecheggiano immagini di guardie del corpo Gheddafiane. Sono lì per ordine pubblico e chiedono documenti a tutti, alle stesse donne, latine, per lo più, principesse di femminilità, che, di sera , non in divisa , durante la  libera uscita, nascoste da sguardi indiscreti,  pregheranno in ginocchio di poter amare in stanze ad ore senza essere stanze ad ore.
Faccio una deviazione, a metà Buenos Aires e prendo per via Vitruvio, verso la Stazione Centrale. Passo dalla Centrale, l'ampio piazzale Duca D'Aosta, a destra, con sullo sfondo la facciata littoria della stazione, ospita i soliti skaters che si lanciano in evoluzioni sui sedili di pietra della aiuole, mentre qualcuno li riprende e li posta in diretta su youtube sperando in  nuovi sponsors. Taglio per via Melchiorre Gioia e poi a destra imbocco il tunnel che porta alla Stazione di Porta Garibaldi. Il traffico comincia ad essere intenso adesso. Passo in mezzo ai grattacieli della City di Milano, che tanto fanno gonfiare i petti di centinaia di impiegati che li popolano digitando h24 dati nei loro computerini portatili mentre dal loro loculo vitreo trasparente osservano il panorama urbano della città, ignari di essere glie eleganti pesci tropicali malpagati dei padroni di questi acquari, che li illudono di essere fighi, perchè sono  puntini nella scacchiera di vetri di un palazzo, che, visto dal basso verso il cielo non  pare nient'altro che l'improponibile strada di vetrometallo che l'uomo costruisce verso Dio. Penso a tutte quelle finestrelle e a quando, di notte, tutte accese, per fare da vetrina alla città, costituiscono uno spreco energetico che potrebbe alimentare l'energia di milioni di frigoriferi di Nairobi. O di Kuala Lampur. 
Lascio la city, a destra ho il cimitero Monumentale, dove non vorrei finire, anelante invece un piccolo e dimentico cimitero di provincia, solo per ospitare un urna con le ceneri.
Poi costeggio parco Sempione, verso il castello, Sulla ciclabile molti joggers e ciclisti, che si allenano in circolo intorno all'area verde. E quando giungo all'area pedonale del Castello Sforzesco, sono quasi le 17(ero partito alle 15), eccolo finalmente, il Carnevale. Organizzato, con tanto di auto dei vigili urbani, autorizzazioni e gruppi mascherati che danzano e cantano, gruppi latini, con vestiti da ballerine, che tornano alla spicciolata dalla festa che è già finita-e sono appena le 5 del pomeriggio, le cinco de la tarde, dico...Mentre i camion della nettezza urbana sono già al lavoro per spazzare i coriandoli sparsi in quest'area, in questa specie di gabbia a cielo aperto in cui tutto è organizzato, blindato e , permettetemi, scontato...Gruppi di genitori con figlioletti, questi più popolar, più nazpop, diciamolo, sciamano via alla fine della festa, anche qui a zero Zorri e Arlecchini....
Mi involo in via Carducci, passando davanti allo storico Bar Magenta, antico nido di studenti della Cattolica fra una lezione e l'altra di etica pubblica e fra uno spinello e l'altro di etica privata. Faccio un pezzo di porfido , tutta via De Amicis, pedalato all'impiedi, come uno scalatore al tour de France, per salvarmi quanto più possibile i montalbaniani gabbasisi, e sbuco in corso Genova. Da lì in poi ho ripercorso il naviglio al contrario, in questo strano giorno , al termine di questo strano giro, che più che un eterno ritorno, mi è apparso un mai verificato carnevale..Ambrosiano o meno che fosse, ai posteri i dettagli...