sabato 18 marzo 2017

Diario di un pedalatore urbano, due...

Sabato pomeriggio, ho già letto qualche brano del Dhammapada, scritto il capitolo di un giallo che sto scrivendo e le gambe mi fremono, richiedono movimento. Bevo un paio di mate memore della biografia di Guevara dove l'argentino appare sempre con questo necessario tiramisù droga benefica in mano mentre lo succhia in una cannula, mentre mi bardo di tutto punto, pantaloncini imbottiti, un paio di magliette cotonate, guantini , calzettoni ritensivi e casco e occhiali da sole alla Blade, vampiro diurno. 
Poi vado nel box delle bici del condominio, la mia bici presa dal Decathlon dieci anni orsono che ha resistito a tutto, intemperie e inattività, nel tempo in cui correvo a piedi e basta, come aerobica salutista, la inforco ed eccomi fendere un insospettabile vento, per questi lidi, parliamo di Corsico, hinterland milanese e western meneghino. Di qui a poco salgo sul ponte che da Corsico mi porta verso Cesano Boscone  e traffico accettabile, mentre penso , lo penso sempre in bici nel traffico, al classico rapporto costi benefici che implica che andare in bici nel traffico fa molto meglio alla salute che non andare in bici nel traffico, ed eccomi giunto al cospetto dell'Ipercoop La Torre, nei pressi di Baggio, già Milano e già popoloso quartiere foriero di linguaggi periferici che arricchiscono gli intricati rimati testi dei nostri rapper da parchetto e canna serale(che hanno sostituito noi che eravamo, a quell'età, i ragazzi dl muretto e delle pomiciate oceaniche), svoltare verso via Bisceglie, capolinea della linea rossa della metropolitana , mentre due ragazzine in età scolare tentano il suicidio attraversando la strada da parte a parte in superficie, per non volerlo fare dal sottopassaggio, forse per godersi, in definitiva, questo sole improbabile di marzo .Taglio Baggio nel mezzo e mi dirigo verso l'Ospedale San carlo, sto pedalando sostenuto da un quarto d'ora e ho in mente di arrivare fino al parco di Trenno, in via  Novara, che con questo sole sia pur velato effetto abat-jour coperto da sottana precoito, deve essere uno spettacolo unico di uomini e donne che nulla hanno a che vedere con "Uomini e Donne" di canale 5. Taglio a destra e faccio un leggero dislivello che mi porta verso via Novara , attraversando via Carlo Marx , in mezzo a palazzi che ricordano, guarda caso, kombinat dell'ex DDR o padiglioni d'allenamento di una mitica squadra di calcio della Germania comunista , nei pressi dell Karl Marx stadium dove giocava il Karl Zeiss Jena che seppellì la Roma decenni fa sotto una valanga di reti inopinatamente definite dopate. Pedalare ti fa viaggiare nel viaggio e la mente vaga alla ricerca di immagini del passato fiutando immagini non ancora verificatesi o avvenute in mondi inesistenti o in altri mondi ancora, è l'effetto dopamina dello sforzo aerobico. Eccomi in via Novara, attraverso un semaforo vicino ad una chiesa, in via Sant'Elena, dove si sta svolgendo un funerale, poco dietro in ultra strada un mercato è in via di disallestimento, sullo sfondo di una casa d'epoca che ha sulla facciata la ragnatela di un edera che si fa verde solo in inverno.
Entro nel parco e percorro la stretta linea d'asfalto rabberciato alla meglio ma che ancora tiene, sul lato estremo , seguendo altri due bikers che hanno la pedalata decisamente più fluida, ma io mi godo il paesaggio, lungo la linea di alberi senza foglie, verdi d'inverno anch'essi, scheletriti, sotto i quali la linea di panchine ospita ,ciascuna, degli anziani probabilmente gay(da come guardano ammiccanti) che godono di immaginazione nel veder passare giovani virgulti joggers o bikers , come se l'immaginazione fosse l'eiaculazione del più potente organo sessuale, che è la mente, nel tramonto delle loro vite che mai nessun viagra risveglierà, perchè questi rimedi raddrizzano membri senza ridar libidine...
Continuo lungo la lingua d'asfalto, per circa tre chilometri, pur non essendo giovane e pur non essendo virgulto, ma con la passione per l'osservazione rotante e svolto poi, una volta al termine del parco, tornando indietro dalle viette centrali, zigzagando fra scenette che mi si mostrano, che testimoniano la varietà multiculturale di questa città: due russi o ucraini, chi lo potrebbe dire, in campo neutro dove sono, mangiano seduti su delle panchine di legno e tracannano le loro birre in santa pace, mentre dei ragazzi pachistani e indiani , poco dietro di loro giocano a cricket e più avanti su uno dei campi di calcio con porte, bandierine e persino linee delimitanti bianche, ci si accinge ad una sfida fra arabi e centrafricani e più oltre, campi da tennis, dove giocano delle ragazzine bionde nordeuropee, attigui a campi da basket pieni di ragazzi cinesi, persino alti, ennesimo luogo comune sfatato, mentre incontro bikers e joggers nati ognidove su questo pianeta terra e soprattutto restando con addosso questa sensazione incredibile di accettazione e tolleranza e anzi di curiosità di incontrarsi e confrontarsi, magari mescolarsi, anche , al termine , restando ognuno con le proprie convinzioni, credo religiosi e politici, come se stessi attraversando una Repubblica Democratica Multiculturale dello Sport, ulteriore testimonianza che lo sport unisce persino chi non fa sport, o è spettatore, come questi latinamericani vicino ai quali passo andati al parco a fare un barbecue(ma comunque osservano e osservando partecipano) , o studenti universitari stesi su un plaid nell'erba, a prendere il sole mentre studiano o la signora matura con gli occhiali che sta godendosi un libro di Sveva Modigliani, seduta sotto il sole velato, di questo Sabato pomeriggio trascorso in bici. 
Con nella mente queste belle immagini mi accingo a tornare, ma solo dopo essermi fermato una decina di minuti per qualche serie di addominali o trazioni calisteniche, giusto per mantenere un minimo di tono muscolare un po' dappertutto, su questo tronco cono bitorzoluto che sembro essere diventato con gli anni e l'ernia del disco.
Ripasso da via Carlo Marx ed ho già quasi un'ora nelle gambe, ma non sento alcuna stanchezza, la pedalata è ancora fluida, sincronizzata alle armoniche immagini già viste e all'armonia che si diffonde semplicemente osservando il piacere di chi ti guarda, tu, anziano pocopiù che cinquantenne coi capelli brizzolati che si intravedono sotto il caschetto protettivo nero, mentre non ti sogni minimamente di barcollare, ma sembri un tutt'uno con il tuo cavallo metallico, sfrecciando sull'asfalto urbano, mentre ti infili nel budello di calcestruzzo come un vecchio pazzo senza tempo.

sabato 4 marzo 2017

Milano:diario di un pedalatore urbano...

Da qualche tempo uso andare in bicicletta. Prima correvo, poi, un po' l'età  un po' l'accentuarsi dei postumi di un'ernia del disco, mi hanno consigliato questa scelta. L'attività aerobica abbinata al mantenimento del testosterone tramite il sollevamento pesi, insieme, rallentano il processo di invecchiamento, in particolare, per l'uomo. Ma più l'attività aerobica. Il non poter più correre, oltre a farmi aumentare di peso, mi aveva gettato in uno stato di prostrazione psicofisica. Non funzionava più niente e, principalmente, nonostante non si riesca a credere, la mente. Il faticare allenando polmoni e cuore, in prima analisi, sembrava essere quel nepente necessario a sopportare meglio la vita. Tornando all'attività aerobica, nella versione ciclata, sono rinato. Il mio metabolismo funziona alla perfezione, il mio umore è sempre alto, mantengo un buon peso corporeo senza costringermi a diete estenuanti e foriere di depressione e la mia mente sembra averne tratto ulteriore giovamento, affilata, lucida, sempre gravida di nuove idee.


Oggi di mattina pioveva, ero libero dal lavoro, mi sono quindi alzato tardi. Ho messo su radio Deejay, approntato la colazione con cioccolata calda preparata con il latte e biscotti perlinati di scaglie di cacao.
Poi ho dato un'occhiata a internet, letto un po' di stati su Facebook e su Twitter, sempre le solite cose trite e ritrite che nonostante tutto finiscono per condizionarti la giornata. Non che il numero di likes rappresenti qualcosa che possa determinare il mio umore, perlomeno per me, ma desta in me sempre una certa impressione constatare il numero di likes che trovo in calce a stati rappresentati da foto neanche tanto belle o da emerite amenità. Gli stati che dicono qualcosa, che fanno riflettere o che superano i tre righi hanno pochi likes, o non li legge nessuno,  al massimo qualcuno mette il like senza nemmeno leggerli, così, sulla fiducia. Abbiamo iniziato a non leggere più giornali, poi proseguito a non leggere più libri, ora non leggiamo più neanche Facebook e Twitter. Fine. Breve storia del suicidio collettivo del mondo. Inoltre più gli stati sono divisivi, netti nel prendere una posizione, meno likes beccano. Non vorrei qui tracciare un'analisi dettagliata sulla fenomenologia dei social media, ma i segnali sono preoccupanti. E potrei persino correre il rischio di  vedere questa mia osservazione  considerata frutto di una mentalità vetusta poco incline ai cambiamenti . Capite che le mie preoccupazioni aumentano ad libitum. Ma poi qualcuno potrebbe dire, cosa te ne frega del mondo, non sarai tu a salvarlo e...eh no, non mi metto l'animo in pace.Non saro' io a salvarlo , ma non voglio essere complice inerte della deriva culturale, principalmente della mia deriva culturale. 

Poi alle tre del pomeriggio è uscito il sole, non pioveva più. Mi sentivo nervoso, annoiato, forse questa cosa del fare durate la settimana di lavoro mille cose in un giorno ti abitua ad un iperattivismo che ti fa diventare come un cavallo:i cavalli da corsa sono talmente abituati a correre che potrebbero correre fino a farsi scoppiare il cuore, perchè non ne possono fare a meno. A qualcuno tutto questo ipeattivismo potrebbe piacere, ma io lo faccio perchè lo devo fare, perchè sono una persona onesta e sono educato a vivere del mio lavoro. Non è una cosa che puoi decidere, lo fai e basta, perchè l'imprinting familiare è quello, l'educazione all'onestà e a guadagnarsi il pane onestamente ce l'ho nel sangue. Ma è anche una condanna, perchè secoli di aggiogamento impiegatizio ci hanno costretti a vivere senza osare. Anche se osare porta comunque al distacco dagli altri , dalla società. Ecco forse perchè non lo facciamo, siamo esseri sociali e vivere in cima ad una piramide d'oro non renderebbe il nostro animo più ricco che condividere gli affanni del vivere quotidiano. Ad ogni modo , per scuotermi da questo torpore, decido di prendere la bicicletta. Ora io da anni posseggo una bici acquistata dal Decathlon, di prezzo modesto ma di gran pregio. Io amo andare per le strade urbane, ho scoperto, più che su quelle extraurbane. Mentre pedalo mi piace osservare la gente, gli autobus, le auto, i cani, i ratti, le nutrie, i gabbiani e i piccioni, i falchi inurbati in città, gli altri ciclisti, e i loro colori, i loro vestiari, le loro bici, vedere se anche loro, come me, hanno la sella antiprostatite, con un foro in mezzo, cose così.
Scendo nel vano parcheggio biciclette, tiro fuori il mio cavallo metallico, fedele, non tradisce mai, lo inforco , apro il cancello elettronico..ed eccomi per strada. Attraverso le strade nei dintorni di casa, via Baracca, Via Montello, a Corsico, poi salgo su un ponte metallico verde che sormonta il naviglio come il collo di un brontosauro addormentatosi mentre stava sgranocchiando una margherita sul prato dall'altra parte del corso d'acqua. Una volta passato dall'altra parte del naviglio, inizio a percorrere la ciclopedonale che in sette chilometri mi porterà nei pressi della stazione di Porta Genova, a Milano. Incontro altri ciclisti, chi con bici da corsa all'ultimo grido, in fibra di carbonio, vestiti di tutto punto, impeccabili,  chi con city bike, bici da città, parafanghi e luci d'ordinanza  e qualche joggers che osservo con nostalgia , e di questi alcune ragazze che vanno come treni, decise e con passo tonico. Percorro la striscia d'asfalto in solitaria, , a destra il naviglio pieno d'acqua, e a destra del naviglio il traffico del sabato pomeriggio, un sabato pomeriggio di Carnevale, ma a parte noi ciclisti, persino io con casco tipo Sturmtruppen di Bonvi, pantaloncini a bermuda attillati con rinforzo nelle parti basse e giubottino attillato rosso vivo, non si vedono altre "maschere" . Per il momento almeno. 
Sulla sinistra, ma è chiuso, c'è un riparatore di bici, qualcuno che aveva avuto l'idea di piazzarsi proprio sul percorso ciclabile, con l'idea mica peregrina, di riparar bici. Un idea per la mia vecchiaia, insomma , se mai arrivero' ad avercela una vecchiaia, visti i tempi infausti forieri di accidenti improvvisi non sempre genetici ma sempre più ambientali. Molto buddhista, se vogliamo e se penso che nel futuro più prossimo alla mia dipartita, quando tutto torna, o quasi, a come quando t'affacciavi al mondo, vorrei tornare alla manualità, dopo lo sguazzo nel secolo digitale.
E vado, la bici a volte, nella pedalata fa strani rumori al mozzo dei pedali, e questo perchè credo abbia preso troppa acqua,  essendo uscito io tante volte con la pioggia, scricchiolii sinistri che non mi preoccupano, che definisco funzionali, nell'economia di uno studio empirico che ho fatto sulla mia bici in questi ultimi mesi. Ogni tanto provo le marce, ne saggio la funzionalità e tutto sembra andare per i verso giusto, mentre a destra passa un "quattro con" gravido di giovani virgulti provenienti dal vicino Circolo canottieri Olona, da sempre esclusivo ritrovo ludicomotorio dei ragazzi della Milano bene.
Mi concentro sulla pedalata e sul respiro, ho preso il ritmo, sento che i polmoni cominciano a godere delle respirazioni ampie e il cuore sta cominciando a pompare come si deve, mentre incrocio due cicliste che vanno di buon passo e mi mettono ulteriormente di buon umore.
Sono quasi arrivato a Porta Genova, dopo aver superato l'Olona, nel trambusto del traffico al di là del naviglio. Taglio per i navigli, insinuandomi nel pubblico del "sabato sui navigli", coppiette a spasso con i loro cagnetti mordi aria, barmen appoggiati ai muri fuori dai locali a fumare distesi e dare un 'occhiata alla fauna muliebre. D'un tratto sono nell'intrico di Porta Ticinese, prendo a destra, direzione Porta Romana, cercando di evitare la bellissima ma sconnessa pavimentazione stradale in porfido di Corso di Porta Ticinese.
Strano traffico rado, nonostante sia il sabato del carnevale Ambrosiano, che qui a Milano ci tengono.
Passo da Porta Romana, la lascio sulla destra, la strada è quasi sgombra, con qualche pozzanghera residua della pioggia mattutina. Becco tutti semafori verdi, modulando l'andatura, a distanza, in modo da non fermarmi mai completamente. D'un tratto sbuco in Porta Venezia e mi insinuo su Corso Buenos Aires, di recente riasfaltato. Mi metto a destra , continuando a meravigliarmi per lo scarso traffico. A destra e a sinistra i marciapiedi  sono pieni di gente, siamo in pieno Centro, Milano, la strada dei negozi e del passeggio pomeridiano della Milano bene. Signore vestite da mannequins, con i figlioletti vestiti da marziani, uomini ragno, fantastici quattro, winx, non sia mai uno Zorro, un Arlecchino o un Pulcinella, dovessero passare, loro e i loro figli, per demodè giurassici non-al-passo-coi-tempi, out  e chi più ne ha più ne metta.
Mi fermo ad un semaforo. Una macchina mi si affianca, dall'interno proviene un motivo disco ispanico ad altissimo decibelaggio e l'equipaggio della vettura, composto di ragazzi e ragazze, cantano a squarciagola riprendendo il passeggio del corso con i loro videophonini, destando la simpatia e l'ilarità generale. La ragazza che siede a destra del guidatore, occhiali raiban, ispanica, labbra carnose e sorriso Instagram mi fa un primo piano col suo smartphone, mentre fermo con il piede sul marciapiede attendo il verde.
Sono quasi in piazzale Loreto, a destra La Vucciria, locale che smercia specialità gastronomiche sicule tipo arancine e cannoli , poi il Mac Donald, effluvi di  cibo da niente si diffondono nell'aria. Giro intorno a Piazzale Loreto, con i suoi palazzi  a corona intorno alla piazza e i display pubblicitari con ora e temperatura e mi infilo in Via Padova. A destra e a manca, le pensiline dei bus sono stracolme di gente sud del mondo in attesa:arabi, sudamericani, indiani, cinesi, sembra di attraversare un piccolo concentrato di New York shekerato . Vado via lungo via Padova, sulla sinistra due alberi striminziti e tre o quattro trans incappottate e occhialate da sole chiacchierano nel cono di luce di qualche raggio di sole, sedute su delle panchine, finchè non passo sotto un ponte, verso Crescenzago, con ai lati una panoplia di Kebab, pizzerie, ristoranti cinesi e negozi cinesi d'abbigliamento. Qui sui lati niente grattacieli, sono rimasti in Loreto . E del resto nemmeno in Corso Buenos Aires ce ne sono, solo qualche gigantografia pubblicitaria su palazzi rivestiti di ponteggi di Belen Rodriguez, con tattoo sul deltoide, la cui immagine, ad orologeria, ho ancora nella testa.
Mano mano che mi avvicino a Crescenzago le auto aumentano. Ad un certo punto, sento che sto respirando troppo smog e , alla faccia degli studi che attestano che andare in bici in città inquinate fa comunque meno male che non andarci, in un calcolo di costi benefici, decido che è il caso, neanche a dirlo, di cambiare aria.
Torno indietro. Rifaccio via Padova e incontro due camionette dell'esercito, con alla guida due donne soldato,abbastanza androgine, scena a cui non sono abituato, che riecheggiano immagini di guardie del corpo Gheddafiane. Sono lì per ordine pubblico e chiedono documenti a tutti, alle stesse donne, latine, per lo più, principesse di femminilità, che, di sera , non in divisa , durante la  libera uscita, nascoste da sguardi indiscreti,  pregheranno in ginocchio di poter amare in stanze ad ore senza essere stanze ad ore.
Faccio una deviazione, a metà Buenos Aires e prendo per via Vitruvio, verso la Stazione Centrale. Passo dalla Centrale, l'ampio piazzale Duca D'Aosta, a destra, con sullo sfondo la facciata littoria della stazione, ospita i soliti skaters che si lanciano in evoluzioni sui sedili di pietra della aiuole, mentre qualcuno li riprende e li posta in diretta su youtube sperando in  nuovi sponsors. Taglio per via Melchiorre Gioia e poi a destra imbocco il tunnel che porta alla Stazione di Porta Garibaldi. Il traffico comincia ad essere intenso adesso. Passo in mezzo ai grattacieli della City di Milano, che tanto fanno gonfiare i petti di centinaia di impiegati che li popolano digitando h24 dati nei loro computerini portatili mentre dal loro loculo vitreo trasparente osservano il panorama urbano della città, ignari di essere glie eleganti pesci tropicali malpagati dei padroni di questi acquari, che li illudono di essere fighi, perchè sono  puntini nella scacchiera di vetri di un palazzo, che, visto dal basso verso il cielo non  pare nient'altro che l'improponibile strada di vetrometallo che l'uomo costruisce verso Dio. Penso a tutte quelle finestrelle e a quando, di notte, tutte accese, per fare da vetrina alla città, costituiscono uno spreco energetico che potrebbe alimentare l'energia di milioni di frigoriferi di Nairobi. O di Kuala Lampur. 
Lascio la city, a destra ho il cimitero Monumentale, dove non vorrei finire, anelante invece un piccolo e dimentico cimitero di provincia, solo per ospitare un urna con le ceneri.
Poi costeggio parco Sempione, verso il castello, Sulla ciclabile molti joggers e ciclisti, che si allenano in circolo intorno all'area verde. E quando giungo all'area pedonale del Castello Sforzesco, sono quasi le 17(ero partito alle 15), eccolo finalmente, il Carnevale. Organizzato, con tanto di auto dei vigili urbani, autorizzazioni e gruppi mascherati che danzano e cantano, gruppi latini, con vestiti da ballerine, che tornano alla spicciolata dalla festa che è già finita-e sono appena le 5 del pomeriggio, le cinco de la tarde, dico...Mentre i camion della nettezza urbana sono già al lavoro per spazzare i coriandoli sparsi in quest'area, in questa specie di gabbia a cielo aperto in cui tutto è organizzato, blindato e , permettetemi, scontato...Gruppi di genitori con figlioletti, questi più popolar, più nazpop, diciamolo, sciamano via alla fine della festa, anche qui a zero Zorri e Arlecchini....
Mi involo in via Carducci, passando davanti allo storico Bar Magenta, antico nido di studenti della Cattolica fra una lezione e l'altra di etica pubblica e fra uno spinello e l'altro di etica privata. Faccio un pezzo di porfido , tutta via De Amicis, pedalato all'impiedi, come uno scalatore al tour de France, per salvarmi quanto più possibile i montalbaniani gabbasisi, e sbuco in corso Genova. Da lì in poi ho ripercorso il naviglio al contrario, in questo strano giorno , al termine di questo strano giro, che più che un eterno ritorno, mi è apparso un mai verificato carnevale..Ambrosiano o meno che fosse, ai posteri i dettagli...