lunedì 2 dicembre 2019

Urban hiking

Urban hiking è un termine inglese che sta a significare "escursionismo urbano". Praticamente l'atto o pratica del camminare su un tracciato urbano.  Ora, a me piace oltre che andare in bicicletta anche molto anzi, soprattutto, camminare. Ma mi piace anche la lingua italiana, persino i dialetti , mentre l'inglese e questo profluvio di termini inglesi mutuati da internet, questi termini manageriali, aziendali, a me, che amo persino i dialetti italiani,ripeto, tutti, e la loro creatività onomatopeica, mi hanno del tutto fracassato gli zebedei. Per cui chiamerò questa mia attività escursionistica, sia in mezzo alla natura viva, alberi e campagna e uccelli e pesci fiori e frutta, che in mezzo alla natura morta, città, strade, automobili e pedoni, ma soprattutto pedoni, direi, camminare. Perché in definitivo l'atto del camminare è il dato prevalente di cotale attività. Anche se troverete il coglione di turno che lo chiamerà walking (senza essere Maurizio Damilano, tra l'altro). Nello zainetto metto occhiali da vista , portafogli , chiavi, cellulare e la copia della Repubblica acquistata stamattina presto mentre facevo la spesa. Esco, cielo terso, freddo ma sole, ore 9,30, tuta con pantaloni neri e giacchino grigio con cappuccio, dentro cui infilo la testa, occhiali da sole, zaino nero anch'esso in spalla, praticamente un writer. Porcazzozza ci casco anch'io nell'anglicismo, volevo dire quelli che disegnano sui muri con bombolette spray multicolori, sentite com'è immensamente più poetico e semplice e descrive bene a parole senza che usiamo una sola sterile parola che, siccome sappiamo da tv, internet e quant'altro, cosa e come sia un writer, non dobbiamo perdere tempo a descrivere con giri di parole. Proprio per questo dico, la filosofia della lentezza, invece, vale la pena, l'attitudine dello girare intorno, del prendere la rincorsa, della melina dell'Olanda di Crujff e Resembrink contro il contropiede dell'essenzialità becera di rapina all'italiana prima maniera, bradipo contro ghepardo, chi vive meglio e più a lungo? Pensate che il Bradipo defeca una volta al mese quando scende dall'albero, se ha voglia ed è l'essere più in saluta della terra. E nessuno lo chiama Sloth, in inglese, perché Bradipo è una parola lunga e quando l'hai terminata quell'essere dalla faccia simpatica è ancora lì facendosi beffe del tempo e della produzione.
A piedi percorro il naviglio di Corsico. Ed è bello vedere altri  camminatori, dei quali molti sono donne multietniche, donne che stanno a casa in attesa che i mariti tornino dal lavoro e approfittano di quell'oretta per mantenersi un po' in forma: camminatori, ognuno col suo passo, con le sue strategie, con gli auricolari, la musica in cuffia, o chi ascolta conferenze o la radio o niente o il traffico e si guarda intorno, chi muove ginnicamente le mani, chi si ferma per qualche esercizio(io che faccio Qi Gong)...e comunque camminare guarisce. Puoi andare avanti per ore, con il pilota automatico e pensare un milione di cose, potresti persino scriverti un libro in testa  o sentirti in un videoclip da cantante rap afroamericano, come mi capita passando da una deviazione direzione via Lorenteggio - e siamo già a Milano ovest-, sotto un ponte pedonale, istoriato di graffiti, sullo sfondo di grattacieli e capannoni industriali abbandonati...
Poi, a destra, caracollo verso l'Esselunga di via Lorenteggio , indicata fra le più economiche ed accorsate, vicino alla quale c'è un storico chiosco edicola che vende copie di Tex usate ad un euro...E di fonte c'è un Bingo, che di notte trabocca. Lungo via Lorenteggio ad un certo punto vengo superato da una donna con gli stivali e i tacchi che ha un passo più svelto del mio, che di per sé è già svelto. Cento metri più avanti, dopo avermi seminato, vira a destra per la mensa Pellegrini, probabilmente una dipendente, probabilmente in ritardo, probabilmente così si perde il gusto del camminare , perché dentro stai correndo e non pensi alla sequenza yogica dei passi, ma al cartellino da timbrare in orario.
Più avanti c'è via Inganni e la prendo svoltando a sinistra. Una bella e lunga strada con al centro a separare le corsie automobilistiche di andirivieni  tanti alberi di quercia, con foglie secche tendenti al color mattone come i palazzi di via Lorenteggio da poco lasciata, che ricorda le case di mattoni rossi descritte da Kerouac nei suo mille romanzi autobiografici da camminatore santo e buddhista dal cuore rimasto retrivamente cattolico-ma tant'è la Bibbia è colma di camminatori ed episodi che li ritraggono.
Giunto in fondo a via Lorenteggio prendo a destra per via delle Forze Armate. Incontro alcuni camminatori e joggers reduci dalla seduta di ossigenazione nel vicino Parco delle Cave e molti che camminano a piedi-non lo si direbbe a Milano-parecchi per altro, italiani e non solo stranieri privi di auto, moto e altri locomotori. Camminando lungo via delle Forze Armate giungo in piazza De Angeli, dove è in corso un mercatino di prodotti tipici sardi. Faccio sosta alla libreria Mondadori della prospiciente via Marghera, dove le gelaterie, complice la mite giornata soleggiata, vengono persino visitate da qualche avventore. Compro due libri di Salinger, "Il giovane Holden", che non ho mai letto e "Franny e Zooey". Ne ho sfogliata qualche pagina  di entrambi e mi sono sembrati molto ben scritti, scorrevoli, fotografici, ironici, scritti proprio come piace a me, secondo l'attuale mio gusto personale, volto ad apprezzare la scrittura elegante, semplice e chiara, al tempo stesso, capace di parlare al lettore abituato o alla gente comune. Che così deve essere scritto un libro.
Due ore di marcia, mi ero sparato sino a quel momento. 
Decido così di tornare. Piano piano e di buzzo buono eccomi dopo un' oretta circa nei pressi di via Zurigo. Ci sono arrivato prendendo per un pezzo l'autobus numero 63. Sul quale per una buona mezz'oretta, ho letto un po' la Repubblica, avendola tirata fuori dallo zaino. Sceso a via Zurigo, avendo riposto il giornale ben piegato come un capo di abbigliamento, religiosamente come una casalinga dell'intellettualità, dopo essere stato osservato dagli smatphonizzati sull'autobus come una specie di pterodattilo aliprivato, ho rifatto a ritroso tutta via Inganni. A metà mi sono fermato ed ho fatto un altro po' di Qi Gong. Qualche casalinga con carrello della spesa al seguito mi ha osservato non proprio come in un parco di Pechino alle sei di mattina. Lì tutti fano Qi Gong o Tai Chi tutti i dì a quell'ora. Di nuovo su via Lorenteggio, arrivato alla fermata del tram 24, alla dogana, vicino al Camst dove una volta ho mangiato con mio fratello-ottimo rapporto qualità-prezzo, ho preso per via Giambellino, storico quartiere popolare dell'ovest milanese. Una volta quartiere operaio , oggi molto multietnico, con frequentazioni rom e arabe-mai sentito di problemi di convivenza fra queste due etnie in questa zona...E' quasi l'una e mezza ed ho fame. Sto camminando da ore, senza sosta. Ma so dove andare per mangiare bene e salutare e spendere poco. C'è un Kebab che fa cibo da asporto ma puoi anche mangiare lì, anche se il luogo è angusto e scomodo, con qualche tavolino improvvisato. E'al 138 di via Giambellino. L'insegna quasi non si vede, lo conoscono in pochi. Ma a me, camminatore ed esploratore metropolitano urbano, non è sfuggito. Lo conosco da tempo. Entro dentro e c'è un bancone di vetro dietro il quale si vedono leccornie di ogni tipo, cibo arabo, nelle varie varianti egiziana e marocchine. Riso basmati, fagioli, lenticchie, patate lesse con carote e piselli, pollo arrosto, polpette di manzo e delle tortine d'uovo piatte tonde che contengono carne di manzo con verdura e cipolla che sono squisite. Mi faccio comporre un piatto misto, colmo di quel ben di Dio ,anzi, visto il pannello a lato del locale nero con scritte in arabo sicuramente di qualche verso del Corano, cibo di Allah. Il giovane arabo dietro al bancone mi serve prontamente. Sceglie due delle tortine meglio riuscite-noto il suo indugiare nella scelta, un indugiare proprio di chi mi ritiene un ospite, evidentemente unico italiano o raro italiano che capita in quel luogo, da trattare con estremo riguardo- e me le fornisce in un piatto, insieme ad un altro piatto di riso, lenticchie, fagioli, polpette. Mi siedo a fianco ad una donna con l'hijab, che sta assaporando un piatto di riso con dei merluzzi fritti e  fagioli. Mi osserva divertita. Si sta chiedendo come mai un italiano entra in quel pezzo di mondo arabo. Io assaporo il cibo, tutto condito con curcuma, che a me piace molto. Mentre da dietro il bancone osservo entrare di quando in quando altre donne con l' hijab, copricapo che lascia comunque in evidenza il volto, anzi, il velo così agghindato fa da cornice al quadro del viso. Scaricano in continuazione teglie metalliche di quel genere di cibi, provenienti dalle cucina retrostante. E nel frattempo con una rapidità inusitata, molti avventori arabi prendono cibo da portarsi a casa -straordinari i panini con melanzane arrostite appena fatte. Finisco il mio piatto. Fuori fa freddo ma lì dentro è caldo di cibi e umanità. Tutti mi sorridono apertamente senza essere troppo convenevoli. Mentre sto per andarmene, entra un giovane homeless-aridaje con gli anglicismi, porcazzozza. Dal somatico pare un tedesco, con zaino. Deve essere un globe trotter, un viaggiatore, un altro camminatore a più largo raggio, però. Chiede qualcosa da mangiare . Fa capire che non può pagare. Il ragazzo gli dice di accomodarsi. Gli riempie un piatto di platica di ogni ben di Dio. E glielo serve, accompagnato da una bottiglia di coca cola, di vetro, appena stappata. Nessuno dice nulla. Silenzio e approvazione. Evidentemente è una scena per loro consueta. Io pago dopo aver gettato tovaglietta e piatti nella spazzatura. Cinque euro, un prezzo da nulla, per tutto quello che ho mangiato. E per tutto quello che ho vissuto. E mi rendo conto che Allah o Dio o chi per essi, è lì, in quel luogo caldo, mentre fuori fa freddo, la produzione incombe e gli accoltellatori terroristi sono foto sgranate su giornali distribuiti gratis in metropolitana. Una metropolitana affollata, dove nessuno ha paura. Nonostante qualche coglione si tatui ancora l'aquila nazista sulla schiena.

venerdì 29 novembre 2019

Il giorno dopo il giorno a casa

Un giovedì sono stato a casa. Non ho lavorato. Sono andato a camminare un paio d'ore, clima nebbioso, sul lato del naviglio di Corsico, dove non vanno auto, alberi sul bordo strada dalle foglie gialle, granata e altri colori che solo in natura puoi vedere e che non hanno altra definizione se non che sono strani e belli. Poi mi sono dedicato alle melanzane. Ho rubato la tecnica culinaria  a mia madre: le taglio a striscioline prive di buccia, le metto in padella con ilio e aglio sminuzzato, metto il sale, dopo 10 minuti un goccio di vino rosso che le colora di marrone, e pomodorini a tocchetti. Lascio altri 10 minuti ed ecco una leccornia vegetariana che costa poco , nutre molto ed è appetitosa. Cospargo delle fette di pane pugliese, un finto altamurano che fanno da queste parti, delle suddette melanzane e accompagno con un pò di Negramaro. Sono l'uomo più felice del mondo mentre penso che sono vivo e sto gustando tutto questo e fuori fa freddo, c'è nebbia e tutti sono stressati dalla produzione. Poi lavo piatti e pentole e bicchiere e mi lavo i denti. Mi dirigo in camera da letto-vivo in un bilocale anche se quando mi telefonano al fisso per appiopparmi improbabili contratti dico che sono il maggiordomo e di attendere che il padrone è nell'ultima stanza della villa. In camera da letto ci sono delle librerie strapiene, a volte ci sono anche libri che ho acquistato per leggere in un secondo momento , a volte rileggo alcuni testi a distanza di anni. Dal che m'accorgo che i gusti cambiano e che la mente , come la pancia, richiede nuovi alimenti, magari meno contemporanei, più classici, allo stesso modo di come lo stomaco tollera i cibi di una volta, legumi e compagnia bella, ad esempio, in luogo di cibi che vanno di moda e persino di spezie che sembrano imprescindibili. Sto parlando dello zenzero: caramelle allo zenzero, tè allo zenzero, zenzero nelle pietanze, patatine allo zenzero e via elencando. Scorgo un libro che ha in copertina una foto in bianco e nero di una donna, una creatura androgina, dal profilo non troppo avvenente: è "Una stanza tutta per sé", di Virginia Wolf( e la foto e' sua, la ritrae cioè). Mi sdraio nel letto e comincio a leggerlo. E' un saggio scritto in forma di romanzo sulla condizione femminile. Più mi addentro nelle pagine e più mi appassiona. E' raro che mi appassioni un saggio ma questa donna scriveva da Dio. Leggo per alcune ore e poi sento che mi sto assopendo. Quando un libro mi concilia mi succede,nel mio caso mi  sta prendendo. Poso il libro già giunto a metà e mi addormento. Mi sveglio alle sei circa, è già buio, fuori nebbia sempre più fitta, abbasso le imposte e mi preparo per la serata. Altre due fette di altamurano fake con melanzane, due bicchieri d'acqua e torno a leggere. Quasi finito il saggio della Wolf e mi sto innamorando di lei. Non mi sarebbe importato se fosse stata lesbica, io non ho alcun pregiudizio , in materia, ma una donna che scrive così ha un cervello meglio di qualsiasi viagra e me la fa collocare nel novero delle donne che conquistano con il fascino vincendo la concorrenza delle belle senz'anima. 
A sera su rete Nove mi guardo un documentario sulle mafie italiane, tra cui quella pugliese, la Sacra Corona Unita, con le immagini della mia natia Ostuni che appare , Città Bianca, in mezzo agli ulivi, prima che il conduttore della trasmissione, tale David Beriain, vada a trovare un giovane presumo della mia città, recluso in un carcere minorile, perchè affiliato alla mafia pugliese.
Verso mezzanotte mi addormento.
La mattina dopo mi sveglio presto e mi vesto di tutto punto, pesante quanto basta, per la mia camminata terapeutica. Cammino per un'ora e dall'altra parte del naviglio c'è un traffico terrificante, nevrile, mentre dove cammino io più altri camminatori che ciclisti o joggers, anche se vanno di fretta anche quei pochi, forse in ambasce perchè dopo gli tocca lavorare- e così non ti godi il movimento.
Una volta a casa mi doccio , leocrema sul corpo(la uso da anni e di recente l'ho trovata citata in un libro dei Wu Ming , "Asce di guerra" , adattata ad un uso promiscuo del protagonista-la metteva sui genitali troppo in uso con donne di vario genere), mi metto la divisa da lavoro ed esco. Fuori traffico pedonale di gente che deve andare al lavoro, volti tesi, camminate sbilenche, sguardi bassi, espressioni di fastidio per gli altri esseri umani. Vado verso la macchina, ci entro dentro e scorgo sotto il tergicristallo un fogliettino. Lo recupero e rientro in macchina e mi illudo che sia il messaggio di una donna. E invece è il proprietario del cancello col passo carrabile lì nei pressi che mi ricorda che devo comunque lasciare lo spazio per fare manovra, nonostante non abbia parcheggiato lì davanti. Strappo il biglietto e penso che la leocrema per il momento attenderà. Mi metto in macchina, passano molte macchine che suonano mentre io faccio manovra per uscire immettermi nella corsia di marcia scostandomi dal marciapiede. Passo vicino al chiosco edicola per la Repubblica (non comprarla equivale ad andare in giro senza mutande, sento che mi manca qualcosa) e parcheggio per scendere e acquistare il giornale. Mentre scendo un tizio mi bussa sul tetto dell'auto. Scusi mi fa entrare in macchina? Aveva parcheggiato lì a fianco fuori dalle righe del parcheggio. Io mi sposto con una manovra e mi metto più a lato. Esco dalla macchina  dico -grazie. Lui non capisce il sarcasmo e sale in macchina tutto incazzato. Mi chiedo se il sistema nervoso di questa gente non li faccia ammalare prima del tempo. Mi chiedo se lo stress non gli modifichi la biochimica. Domande pleonastiche. Dopo aver preso il giornale-davanti avevo una tizia che ha rimesso a posto la copia che avevo preso da acquistare, una cliente, deformazione professionale, dice, mica per scusarsi, finalmente mi dirigo al lavoro. Traffico, nebbia, semaforo rosso. Comincio a sudare freddo, ecco, so già perchè mi succede. Sto andando a lavorare in un posto dove dico grazie a tutti quelli che mi chiedono un'informazione dopo che gliela do...e nemmeno si chiedono perchè! Ma succede ovunque a milioni di me. Vigliamo salvare il pianeta? Incominciamo a dire grazie quando c'è da dire grazie.

mercoledì 13 novembre 2019

Qi Gong, genitore uno genitore due...

La mattina negli ultimi tempi mi alzo presto. Autunno, nebbia, umido, tempo grigio foglie multicolori di una stagione arlecchinesca quanto a caduta di foglie dagli alberi. Tappeti di foglie rosse, gialle, con sfumature varie, soffici al tatto pedestre, dietro casa, a Corsico, direzione Buccinasco, su vialetti che si aprono fra alti alberi di pioppi, persino fichi mediterranei. Cammina svelto come un piccione, dormi come un cane, siediti come la tartaruga e mantieni il cuore calmo, questo il segreto di longevità di un cinese che pare sia morto a 252 anni che di nome sembra facesse Li Ching-yun. Un erborista , maestro di arti marziali, che sembra abbia appreso il qi gong, l'arte di compiere lenti movimenti in piedi sul posto respirando profondamente da un altro semi immortale di 500 anni , eremitico su non meglio precisate montagne cinesi. So benissimo che mi ammalerò e morirò come tutti, però che male c'è a sognare come fanno tutti di morire il più tardi possibile? A parte il fatto che se ti capita che ti ammali in un età relativamente giovane, tutto sommato, non riesci ad accettarlo come si dovrebbe. La mattina mi alzo presto e mi insinuo in queste stradine naturalistiche piene d'alberi sotto il cielo grigio dorso d'asino, a passo svelto, con tuta e cappellino e questa mattina ho fatto un incontro fantastico, ancestrale. Una cinese senzaetà , su un viottolo sterrato trapuntato di foglie secche e umide , rivolta ad est , faceva qi gong, ferma sul posto. Piegava leggermente la gambe e contraeva i muscoli dell'addome. Mi sono fermato e ho chiesto lumi su quell'esercizio. in parole semplici mi ha spiegato che quell'esercizio guariva tutti i mali ma che più di ogni cosa guarire tutti i mali era dato dalla costanza nel praticarlo quotidianamente e  a lungo di mattina presto. L'ho ringraziata. Più avanti mi sono fermato ed ho fatto la prima serie di esercizi di qi gong, gli otto pezzi di broccato, otto esercizi ripetuti ciascuno otto volte. Poi ho camminato ancora, nessuno in giro, sette di mattina. Al termine, dopo mezz'ora di camminata veloce (come il piccione, immagino), altra serie di esercizi, i cinque animali, ispirata alle movenze di orso, tigre,cervo, scimmia e airone. I cinesi , come pure gli indiani che inventarono lo yoga, si ispirarono agli animali che assumendo determinate movenze, in combattimento o quando si difendono, predispongono la chimica del proprio organismo a fronteggiare meglio l'evento. Devono aver pensato questo, i saggi cinesi millenari taoisti e gli yogi indiani. Intendiamoci, non mi illudo di campare cent'anni, mi riprometto solo di campare meglio, di migliorare la mia resilienza, di combattere meglio il logorio della vita moderna e lo stress da lavoro correlato. O lo stress da metropoli correlato. Imparo a fare le cose più lentamente e fondamentalmente a fregarmene delle circostanze che creano benefici altrui invece che a me. Salvini dice prima gli italiani, io dico che bisogna imparare a pensare, prima io. In termini di salute. Dopo se c'avanza un surplus di energie , dedicarsi a chi sta male. Questo anche fa stare bene.


Giorni fa passando nei pressi del tempio Valdese a Milano, in via Francesco Sforza, sono entrato nella libreria Claudiana ivi annessa ed ho acquistato una bibbia protestante, secondo l'ultima traduzione rivista e corretta. Ho iniziato a leggerla e già dalla prime battute, nella Genesi, certe parole del fatterello raccontato ad usum dell'apprendimento di chiunque principalmente delle menti semplici, mi è sembrato magico, risuonando poeticamente nella mia mente. La bibbia , un testo che abbiamo sotto mano da sempre e che nessuno ha mai letto ma solo ascoltato nelle messe "obbligatorie" d'imposizione genitoriale già dall'infanzia, invece, credo, vada letto come un qualsiasi libro. E interpretato alla luce dell'insegnamento morale che contiene. Nel senso della trasmissione del senso del limite e non del moralismo interpretativo cattolico militante che produce mostri come il comizio filastrocca della cattolica dell'ultima ora Giorgia Meloni. Una tiritera di sono Giorgia, sono italiana, sono cristiana, sono una mamma, il gioco del pensiero unico, genitore uno genitore due. Ma leggiti la bibbia e bene, cara Giorgia. Magari impari qualcosa che quel libro contiene e più titoli tra le righe: il concetto di tolleranza. E l'inaccettabile concetto, inaccettabile ai più cattolici convinti, che spesso sono le pecore nere a beneficiare del paradiso. Perché ne hanno più bisogno.

mercoledì 6 novembre 2019

La Repubblica

La Repubblica è il mio giornale preferito. Oddio, più che un giornale è un compagno fedele con cui, la mattina, una volta sveglio, ti connetti con il mondo. Con il mondo reale. Sto parlando del giornale cartaceo con quell'odore di petrolio vagamente lisergico, che ti ricorda i Tex Willer consumati sdraiato a letto nell'infanzia. Le pagine appena croccanti -una delle cose che odio è che qualcuno mi chieda di sfogliare il giornale prima che lo faccia io gualcendomi le pagine-all'inizio, ed è una sorpresa continua. Ho imparato a riconoscere lo stile di chi scrive senza leggerne il nome ad inizio articolo. La Repubblica ha sempre avuto grandi giornalisti , molti dei quali eccellenti scrittori. Eugenio Scalfari il fondatore del giornale , ultranovantenne , ormai, nel corso di oltre trent'anni che leggo il suo giornale, ha uno stile di scrittura chiaro, semplice, ma al tempo stesso, arricchito, di volta in volta con qualche vocabolo nuovo, sconosciuto, che ci costringe al dizionario. Curzio Maltese è vetriolo per i potenti, per i politici arroganti, sarcastico come nessuno, quasi più di Francesco Merlo e Ceccarelli. E che dire del grande Ezio Mauro,  di Concita De Gregorio, notisti sociopolitici di lusso, per non parlare della grandissima Emanuela Audisio che scrive di sport mirabilmente, assieme al sempre ironico Gianni Mura, esperto di calcio, ed il mio connazionale conterronico Piero Colaprico da Putignano, che vive a Milano da anni e che dice incredibilmente le cose che mi viene fatto di pensare quando me ne vado in giro per la città, come se i pensieri dei meridionali che vivono nella capitale meneghina fossero gli stessi, da osservatori turisti per sempre. Questi sono quelli che mi ricordo a braccio e che leggo più volentieri. Naturalmente c'è più di qualcuno che non mi garba, per dirla alla Renzi. A proposito di Renzi , la direzione di Calabresi ha coinciso con il fiancheggiamento a Renzi e mi aveva costretto ad abbandonare l'acquisto del giornale per parecchio. Con  Verdelli direttore il giornale ha raddrizzato il tiro ed è ridiventato  l'house organ dell'opinione pubblica della sinistra indipendente nazionale , noi, sparsi oramai in mille rivoli associativi e molto spesso neanche più partitici. E sono tornato a comprare questo giornale che dovrebbe essere servito con il cappuccino e un cornetto alla crema nei bar, nei centri commerciali, distribuito gratis dai comuni-meglio se si compra , 1,50 cent ben spesi, così dai valore a ciò che acquisti- . A casa mia , nella natìa Ostuni, i miei lo comprano da quando ai tempi il giornale fiancheggiava i radicali e addirittura esponeva le ragioni degli "autonomi", tra la fine dei settanta e gli ottanta. Non mi importa se ha un padrone che si chiama De Benedetti, perché molti di quelli che ci scrivono su esprimono  opinioni indipendenti che , tutto sommato, almeno in parte, De Benedetti non potrebbe condividere. Un giornale serio deve scrivere anche contro il proprio padrone senza che se ne accorga. Ed è il caso di Repubblica...se uno riesce a leggere tra le righe. La Repubblica la ricordo in casa mia , praticamente da quando sono nato. Le pagine di spettacolo, cultura e sport, con i vari inserti e le varie rubriche , ti nutrono lo spirito e ti riempiono l'anima. Ecco perché mi sono accorto subito quando il giornale si stava snaturando. Ricordo mio padre che dava un occhiata alla prima pagina tenendola sul volante della macchina, di mattina, mentre fumava. Mia madre se lo spolpava la sera, sul tavolo della cucina, dopo aver fatto i mestieri di casa. Io lo compravo all'università. Me lo portavo al parco e me lo gustavo, con la focaccia alla barese presa da Magda (studiavo a Bari), lo leggevo in treno, di notte quando non avevo finito di leggerlo. La Repubblica è multisessuale, e maschio perché giornale , femmina di nome. E' bello da leggere con le pagine gualcite della salsedine marina, dopo essere stato nella borsa di mare tra i costumi bagnati, bello da leggere in pausa di lavoro, mentre i colleghi parlano di clienti e lavoro (cose che mi fanno perdere tempo, la vita è unica, il tempo da vivere prezioso). La mattina, appena alzato, a Corsico, dove vivo, vado al chiosco non lontano da casa. E prendo la Repubblica, al tatto sento già che è grosso, paginoso e che mi darà diletto , pur nel dramma di notizie sgradevoli...e mi consente di scambiare qualche parola con l'edicolante o con altri che comprano altri giornali, mettendomi in comunicazione con il mondo , come nessun Facebook può fare...la sfoglio subito mentre mi gusto , al bar cinese di fronte, un cappuccino col latte di soia e cornetto integrale. E la giornate può iniziare. Ogni giorno è un buon giorno per morire, lo dico filosoficamente, ma perlomeno morirò informato e con una buona disposizione d'animo.

martedì 5 novembre 2019

Rocco Schiavone

Di Antonio Manzini, giallista romano che ha inventato Rocco Schiavone, il vicequestore romano romano che finisce ad Aosta per punizione da parte dei poteri forti, non so quasi nulla. Ho letto qualche capitolo dei suoi libri di straforo in Feltrinelli in Stazione Centrale a Milano. Uno non ha tutto questo tempo per leggere e scrivere e guardare la tv, ma ecco che in un certo ambito guardare la serie tv tratta dai suoi romanzi può essere una sintesi efficace del lavoro di uno scrittore e riproporsi come un nuovo lavoro di scrittura per immagini reinventato. Quello che ci piace di Rocco Schiavone ,  personaggio Bukowskiano, anarchico, fuma le canne (se ne fa una nel suo ufficio di mattina presto ad inizio turno, di nascosto da questore e collaboratori) ,è che ama la giustizia come ideale supremo , una giustizia personale, di cui Schiavone ne è il Dio, Dio di se stesso e Demone di se stesso, quando vieppiù si accorge che la giustizia ha varie sfaccettature e che non sempre perseguirla ti concede una strada lineare, anzi, spesso bisogna fare delle scelte, a volte dolorose: bisogna accettare e compiere ingiustizie minori per debellare ingiustizie maggiori. I suoi amici d'infanzia, personaggi borderline delle borgate romane, sono vissuti e vivono di espedienti e Rocco Schiavone, magistralmente interpretato  dall'attore romano romano Marco Giallini nella serie tv trasmessa da rai due( tratta appunto dai romanzi di Manzini) cerca faticosamente di coniugare quest'amicizia fraterna, questo cameratismo ante litteram ormai non più presente nelle new generations, con le sue funzioni di pubblico ufficiale, di uomo che ha studiato ed ha fatto una certa carriera (interrotta al grado di vicequestore , per volontà del soggetto stesso e perché i vertici non si sposano con lo sporcarsi le mani in indagini in cui si cerca la verità, ma vivono di vetrine e telecamere, carriere, politica, in altre parole, come direbbe sarcasticamente il "nostro", di mmerda).
Rocco Schiavone non può non piacere, con tutte le sue contraddizioni, perché rappresenta l'uomo contemporaneo d'altri tempi, l'uomo delle old genetations che non vuole abdigare al nuovo che avanza, perché il nuovo che avanza è orrido, sa di egoismo, competizione, politica, conferenze stampa, carriere, denaro sporco. Non vuole abbandonare i ricordi dei tempi in cui per pagare lo strozzino cui la sua famiglia aveva dovuto ricorrere rapina una banca con gli altri suoi tre sodali, Sebastiano, Furio e Brizio, mirabilmente interpretato dalle facce segnate dalla vita degli attori prestati al serial tv. Non vuol dimenticare da dove viene , ma soffre terribilmente e paga la sua ricerca della giustizia. Poco importa se affronta i casi di omicidio con lo scazzo romano collocando i casi di ammazzamenti al più alto grado di una sua personale classifica di "rotture di coglioni". In realtà ha bisogno degli omicidi, dei casi sul groppone, per andare avanti in questa sua vita segnata da un passato torbido. Un passato in cui la voglia di fare giustizia , forse in questo caso, il lusso di fare giustizia in una Italia  corrotta sino al midollo, lo ha portato a perdere una moglie che amava più di se stesso...sino al punto da aver accettato da lei le cene con i parenti (collocate al settimo grado della classifica di rotture di coglioni), ammazzata per essersi lui messo sulla strada di trafficanti di droga legati ai palazzi della politica.
Non può non piacerci Rocco Schiavone politically correct a modo suo, come quando rimprovera un suo agente che osservando un filmato definisce un uomo di colore "negro"...e Rocco lo corregge , con un "si dice nero". O come quando Italo, il suo agente preferito, all'uscita di un interrogatorio ad una trans gli chiede:" ma tu spenderesti cento euro per andare con uno così?".
"Be', il caffè era buono. E poi chi è ormai più sicuro della propria identità? Tu ne sei sicuro, Italo?" .E si volta lanciando un bacio alla trans sul ciglio della strada. Il tutto condito con le ghiotte disquisizioni romanesche sulla distinzione tra l'uso dello "sticazzi"  e l'uso del "mecojoni". Che quando si ha una personalità forte e qualcosa da dire, si diventa carismatici comunque e si finisce per imporre senza voler imporre persino un linguaggio. Rocco Schiavone è un po' stronzo con le donne, ma , in un certo senso, con quelle che lo meritano, come esseri umani infidi e opportunisti, non in quanto donne. Dopo la morte della moglie uccisa dal pregiudicato romano Luigi Baiocchi , non ci sono più donne , nella sua vita, se non per sesso. E quando torna a fidarsi di un suo agente , giovane donna avvenente e capace, viene tradito. Acuendo ancora di più la sua solitudine e le sue conversazioni immaginarie con Marina, sua moglie. Amarissime e nostalgiche, che contribuiscono ancor di più a renderci questo personaggio umano, troppo umano, come avrebbe detto quel falso cinico di Nietzsche.

venerdì 1 novembre 2019

Hemingway aveva la tauromachia, Bukowski aveva gli ippodromi , io i bar e i centri commeciali con le partite di calcio...

Hemingway aveva la tauromachia, Bukowski aveva gli ippodromi, io ho i bar e i centri commerciali che trasmettono in video le partite di calcio.
Eh già. L'abbonamento a Sky o Dazn costano, inoltre non sono quasi mai in casa per godermi le partite-lavoro anche sabato e domenica in genere, lavoro all'Ikea-indi per cui, come dicono gli idraulici meridionali di stanza al nord, se sono libero, quando sono libero da lavoro, fidanzate e impegni vari, se posso, vado a vedermi le partite di calcio nei bar o nei centri commerciali. Si, lo so cosa state pensando, che il calcio è immorale, un affare spesso sporco , che i calciatori guadagnano cifre immorali rispetto a un operaio, rispetto a me, ad esempio, senza andare troppo lontani. Ma un po' di oppio in una vita che non accenna a cambiare , in cui non riesco a sedermi come un Buddha e attendere la ciotola-elemosina di cibo e commiserazione-per cui devo lavorare, un lavoro di contatto con il pubblico, un lavoro stressante-un po' di oppio certo ci vuole...e poi questo poco d'oppio è lo sfondo dello spettacolo vero dietro lo spettacolo calcistico: LA GENTE. Ecco ieri per esempio sono andato al centro commerciale Auchan di Cesano Boscone. Al piano superiore di questo vasto falansterio pieno di negozi e supermercato, c'è il cosiddetto padiglione goloso: una spianata di tavoli intorno ad uno schermo video gigante e intorno ogni sorta di bar, ristoranti, pizzerie, Mac Donald e quant'altro. Era strapieno di gente, famigliole italico-latinamericane medie-ad eccezione di un tavolo di donne arabe con hijab fra le quali ricordo una con hjiab leopardato(giuro) ed un viso da pornostar , rossetto e sopracciglia curatissime tipo tatuate-con contorno di figliolanze vestite halloweenianamente, visto che ieri era il 31 ottobre. Un casino tremendo, una sarabanda di mamme con cappelli da strega che avrebbero potuto anche non mettersi per restare in tema, bambini con costumi da scheletro o da personaggi di film horror e padri truccati da Joker, mamme con capelli blu, mille bolle blu su tavoli imbanditi di hamburger, pizze alte di Spontini, pollo fritto a Kfc ...e sullo schermo Milan-Spal. Dunque il Milan deve vincere per dimostrare di essere ancora il Milan e la Spal deve vincere per non retrocedere. Mi procuro una sedia e ci metto su la giacca. Nel frattempo ordino un hamburger di tonno lì nei pressi, dove c'è un desk che vende panini con il pesce (specializzato). Torno con panino in mano e cedrata Tassoni (grande ritorno) e mi godo un fallo pesante di Floccari della Spal. Questo Floccari è un attaccante già avanti con gli anni, un bell'uomo con delle orecchie che tradiscono la sua età over, grandi quindi, ma capelli lunghi scapigliati, bel fisico. Chissà quante ferraresi castiga quest'uomo qui. Sono invidioso. Ma che fa se si godono la vita prima di diventar vecchi e malati e vivere di ricordi in attesa della morte. Da calciatore hai il vento in poppa e pensi che non morirai mai , al massimo siederai in una tribuna tv al termine di una carriera da allenatore...e ricordi di quelle , di alcune almeno, di quelle che hai castigato in giro per il mondo, mogli e figli a parte. Perché l'uomo , quando sta bene, è portato ad approfittare della vita. Vicino a me c'è un tizio che rappresenta l'italiano milanese frustrato medio con famiglia a casa-solitario,vita rotta a pezzi, lavori del cazzo e non puoi più tornare in madrepatria terronica sconfitto-barba incolta , pancia da birra, mani forti e callose, sguardo fiero per mascherare la sconfitta.
-No, dico, non è questione di allenatore, il Milan non ha giocatori. Niente giocatori niente gioco.
-Non credo, fa lui, accarezzandosi la barba con fare da commissario tecnico della nazionale in pectore, con Pioli questa squadra può arrivare in Champion's League.
-Mah, vedremo...
-No, guarda che è così, dice lui quasi a ribadire che ha ragione.
La partita va avanti e io sto mangiando una piadina di kamut con rucola , scquacquerone, prosciutto crudo. Adesso le farine di kamut le infilano dappertutto, dal momento che è di moda cercare di digerire.
Il Milan gioca male e la Spal tiene botta e il primo tempo se ne va. Mi resta impresso Pedagna, un cavallone della Spal, mancino, tatuato, barba incolta, gioca senza paura.
Nel secondo tempo le famiglie che affollano questa spianata di tavoli davanti al maxischermo, tavoli quadrettati rosso-bianchi ad imitazione di antiche tovaglie d'osteria, cominciano a sciamare. I ragazzi devono andare a dormire e i mariti s'accingono a restare a vedere la partita. E' un secondo tempo di maschi solitari con birra artigianale davanti e vite artigianali in coda. Punizione capolavoro di Suso e il Milan porta a casa una partita noiosa, fatta di falli e spezzettamenti vari di gioco. Boban e Maldini esultano in tribuna, visto che non possono esultare altrove, men che meno in campo...L'avevano fatto anche con il Lecce -ho visto la partita al Boccale , ristopub di Corsico, ma Calderoni al 92° con un missile aveva impattato sul 2 a 2 e io avevo esultato solo in un bar pieno di milanisti che si vergognavano di aver giocato peggio del mitico Lecce (di cui sono tifoso per ascendenze paterne). E anche perché sono nato in Puglia e ritengo ridicoli i pugliesi che tifano per JuveMilanInter. Del resto il complesso di inferiorità sta alla base del capitalismo. Stop writing, devo andare a lavorare.

venerdì 3 maggio 2019

La fabbrica del vapore.

Parcheggio in via Procaccini di fronte ad un graffito con il faccione nero di Nelson Mandela. Faccio due passi a piedi e arrivo al numero 4. Davanti ci sono dei ragazzi , uno di loro con la barba mi chiede dove devo andare. Un amico mi ha invitato ad un'improvvisazione di danza, dico. Ah, ok. "Ah ok", è l'espressione più in voga tra i giovani, non significa niente ed è piuttosto in sintonia con i tempi di vuoto che viviamo: chiedete ad un giovane perché il 25 aprile non si va a scuola e , in teoria, non si lavora e vi sentirete rispondere, perché è festa. E che gli vuoi dire a questi? Da qui al passo successivo di dire che Mussolino era un genio , ci manca poco . Mi spiega come arrivare nel luogo dell'improvvisazione e apre il cancello metallico. Attraverso una piazza piena di giardini artificiali in mezzo a dei capannoni. Mi hanno detto di proprietà un tempo della ferrovia.  Li hanno ristrutturati in modo postmoderno e vi si svolgono attività artistiche di vario genere. Festival musicali, lezioni di danza e yoga, corsi di meditazione, un corredo di attività che contraddicono il mio pensiero iniziale sul vuoto giovanile e dimostrano, se ce ne fosse bisogno, e Dio solo sa se ce n'è bisogno, che l'essere umano non è fatto per lavorare e che anzi il lavoro ingrassa le fila degli psicologi e di apprendisti stregoni di varia natura. E comunque meglio queste cose che spanciarsi sul divano davanti a quell'acquario per cerebrolesi chiamata Tv. Dopo aver percorso un centinaio di metri infilo l'ingresso di uno di questi capannoni e salgo al primo piano., come mi aveva spiegato il tipo barbuto gaio all'ingresso. A proposito, ho notato che nei tempi che corriamo , nella generazione 30 anni , i maschi sembrano femminilizzarsi e le femmine mascolinizzarsi, magari così riescono comunque a continuare ad incontrarsi , boh, basta che poi si mettano d'accordo su chi conduce i giochi sotto le lenzuola. Una volta arrivato a destinazione c'è un ingresso con un tavolino ben apparecchiato e colmo di vivande, di fronte ad un ampio spazio di parquet con ampie vetrate sul lato destro da cui si vedono i capannoni prospicienti , già pieno di danzatori che stanno provando per "l'improvvisazione". Tra loro c'è anche Gianfranco, mio vicino di casa, che mi ha invitato. A destra del vano di una trentina di metri di parquet, due giovani virgulti barbuti anch'essi, con scarpe rigorosamente firmate, si stanno dando da fare con un paio di sintetizzatori a produrre una musica che dovrebbe essere adatta come tappeto sonoro e d'ispirazione , ai danzatori. Una ragazza che sembra coordinare il tutto mi spiega che stanno provando e che tra qualche minuto si esibiranno. Come si possa provare un'improvvisazione resterà per sempre un mistero per me insoluto. Mi chiede come mi chiamo e  mi stringe la mano. Io dico sempre che mi chiamo Nico, che è il mio nome d'arte, diciamo così. Non sembra una danzatrice in senso classico, è bassina, baricentro basso, mora, capelli raccolti dietro...dall'accento si direbbe siciliana. Mi racconta che normalmente è di stanza a Bologna dove studia e senza tanti altri preamboli mi chiede dieci euro per assistere allo spettacolo. Io sgancio senza tanti problemi. Questi ragazzi avranno di certo pagato l'affitto del locale, e a giudicare dallo scarso pubblico che potrebbe arrivare non saranno mai stati così lontani dal sold out. E poi c'è anche l'aperitivo ed ho già adocchiato sul tavolo delle vivande un paio di bottiglie di Primitivo del Salento .
Arrivano poco dopo altre 4 persone . E con me siamo in 5. Il selezionato pubblico, si potrebbe dire. Nel frattempo apro il vino con un cavatappi che esce come un coniglio da un cilindro da un coltellino svizzero. Mi riempio un bicchiere e mi siedo su una poltrona in pelle dietro una scrivania agè che doveva essere stata di qualche dirigente ferroviario ora ferroviariamente sloggiato. Sbircio dietro la palestra a sinistra . Ci sono una quindicina di danzatori di varie età, dai 25 ai 68 anni. Si esibiscono ciascuno secondo il proprio background danzatorio e creano muovendosi fra loro figure e congiunzioni corporee di diverso tipo, si sfiorano , si scontrano, si accarezzano, si strusciano, si avvinghiano, si separano, fanno capriole , rotazioni, piroette, una babele di linguaggi corporei di varie scuole e provenienze il cui insieme, però, ha un esito armonico, origina una vista godibile. Ognuno nelle proprie evoluzioni corporee , mostra il proprio carattere, chi compie più torsioni è un narcisista creativo, chi conduce andature lineari, passi lunghi a falcate, è più riflessivo, razionale, meditativo; e poi c'è la vivacità di chi salta , fa acrobazie, scaricando sul parquet tutta la propria allegria corporea. Potrebbe anche darsi che per ciascuno di loro possa essere il linguaggio nel quale si esprimono meglio. Espongo  tutte queste mie considerazioni seduto in poltrona, con il bicchiere di Primitivo in mano, ad una coppia di ragazzi (del pubblico selezionato): lui , trentenne moro, capelli corti, in forma, dice che è nato a Milano ma di origine portoghese, lei biondina filiforme , poco meno che trentenne, che non svela nulla di sé, a parte il suo sorriso divertito nell'ascoltare le mie considerazioni un po' ex cattedra. Mi sento un po' Lebowski, in questo momento, il famoso Hippie cinematografico spinellomane interpretato dal grande Jeff Bridges che ha creato uno stile e fatto epoca con la sua irriverente autoironia. Meglio venire a vedere questo spettacolo che starsene rinchiusi in casa davanti alla tv, dice il macellaio portoghese. E sinceramente che un macellaio portoghese venga ad uno spettacolo di improvvisazione in tempi in cui gli intellettuali si sono messi a guardare Il Grande Fratello è segno che è giunto il momento in cui il popolo si rimpossessi dell'arte.
Mi godo lo spettacolo seduto ingollandomi  qualche altro bicchiere di Primitivo.
Al termine Francesca, la sicula che ho per altro ammirato come suggeritrice di combinazioni corporee inventate lì per lì sul parquet, playmaker  impagabile, agile ed elegante, a testimonianza del fatto che la bellezza si può esprimere in molti modi e non solo mostrando gambe lunghe scoperte, altezze himalayane e sorrisi di plastica, mi chiede se mi è piaciuto. E mi invita a partecipare per le prossime volte. Se mai ce ne saranno. Diavolo di un'improvvisatrice, mi verrebbe da pensare.
Senti, dico, ti ringrazio, voi siete tutti bravissimi , ma il mio primo e ultimo contatto con il ballo è stato quando ho giocato a "tic" (inseguirsi  e toccarsi a vicenda) nei vicoli d'infanzia.
Sorride a va a cambiarsi. Un'altra ragazza , snella e snodata, pantaloncini calzati su una salopette, che avevo notato molto attiva e vivace, tanto da distinguersi rispetto agli altri, nelle danze, mi si avvicina e mi chiede se per caso fumo. A volte, dico io, non stasera. Peccato, replica con un sorriso malizioso. E nella mia mente di uomo maturo si fa spazio l'idea che possa essersi trattato di una metafora sessuale. Ma è solo perchè man  mano che un uomo invecchia si avvicina alla morte e tanto più sente il bisogno di liberarsi dalla gabbia della cosiddetta buona educazione.
In definitiva sono stato bene, chiacchierando con tutti, un po' Lebowski davanti ad un palco di teatro sperimentale per far piacere al suo padrone di casa  per l'affitto arretrato , un po' Bukowski , con un bicchiere di primitivo in mano, con il disincanto dell'uomo fuori posto dovunque e proprio per questo in piena armonia con l'universo.
Mi viene in mente un racconto di Gurdjieff che osservando degli uomini che spostano delle pietre per lavoro , vide che uno di loro faceva più strada con i massi in mano, passando dall'ombra. Ma alla fine avrebbe spostato più massi e sarebbe durato più a lungo. Un grande insegnamento sul non giudicare mai a priori. E questa sera l'ho sperimentato: esiste una nazione nella nazione, un paese nel paese, che è il mondo dell'arte, e quella corporea ne è una regione, in cui nessuno ti chiederà mai un passaporto o la tua età. In cui nessuno ti giudicherà per le tue capriole o la camminata lenta e consapevole, perchè comunque non è nient'altro che una sana chiacchierata in movimento , in cui il corpo stanco di saltare cammina e viceversa e resta comunque bello, fiero e rispettabile.

domenica 7 aprile 2019

Gli spiriti di San Cesario

In macchina sulla 379. Con i "vecchi"si va a San Cesario, patria d'origine di mio padre, detto affettuosamente "il boss". Temine mutuato dai tempi in cui significava "capo famiglia", non certo "capo clan". E mia madre, donna Germana. Due  rocce di 86 anni mio padre e 81 mia madre, che resistono con l'involucro madreperlaceo resiliente al tempo avvoltolato al corpo delle loro anime. Il boss ci sente poco e usa mia madre come ripetitore . A volte pare di ascoltare un navigatore che ripete ad libitum. In realtà , come succede per alcuni anziani quella di mio padre è una sordità selettiva. Acquisisce i dati che gli conviene acquisire. Gli altri li rimuove da sonoro e vista sui movimenti labiali.  Mia madre ride di questo . Anche mio padre ride. Ridere ancora insieme, ecco il segreto di una longevità sentimentale. Per strada guido  piano, ci godiamo il sole, la vista del mar adriatico a sinistra, dei carciofeti a destra. Carciofeti sottoposti al fall out della centrale a carbone di Cerano. E poi finiscono sulle nostre tavole. E sulle tavole di tutti quegli imbecilli socialisti reali network dipendenti che postano foto di ulivi, natura, mare, con il chiaro intento di far rabbia a chi è emigrato. Constatavo con i miei che dal centro storico mirando la vista della marina di Ostuni le macchie grigie del cemento negli anni si apprestano a pareggiare quelle verdi degli uliveti . Eduard Limonov avrebbe detto che che ci vorrebbe una guerra termonucleare per impedire l'avanzata dell'ingordigia del genere umano . Io penso di essere più buddhista dello scrittore russo che si è fatto 4 anni nelle carceri speciali per tentativo di golpe in Kazakistan. Mi illudo che nel momento del punto di non ritorno l'essere umano rinsavirà. Spero. Anche Che Guevara credeva nell'uomo , ma a quanto abbiamo appreso non ha avuto riscontri positivi in materia. Tanto vale tentare con la meditazione. E i sorrisi di commiserazione . Tanto non la fermiamo la guerra. Finisci solo per dar ragione a Darwin . La vera rivoluzione , direi, a questo punto, è la gentilezza. Purchè non finiscano per esploderti gli zebedei. Arrivati a Lecce , la città ci accoglie con il suo ingresso da Addis Abeba europoccidentale, un tantino mediterranea, con quelle palme che te la rendono  esotica, non fosse per il traffico istambuliano. Decidiamo di attraversare la città dirigendoci verso San Cesario . E una volta lì al cimitero degli avi paterni. Una volta giunti in paese con la punto bianca del boss, facciamo tappa al bar Natale, giusto nella piazza della cittadina salentina ad uno sputo da Lecce. Di fronte c'è la sede del comune, una antica costruzione popolata nei suoi pertugi da una colonia di taccole che gracchiano giusto in testa a due vigili urbani che hanno tutta l'aria di due tizi che morranno a 150 anni. A causa della cura dello stress mai subito. E, giusto di fronte al bar, sulla destra, una chiesa in gialla pietra leccese. E una palma altissima e filiforme come una modella etiope in un giardino a sinistra.
Entriamo nel bar e i mie prendono il loro classico decaffeinato macchiato . E si accorgono che in bella mostra dietro al vetro trasparente del bancone giace provocatoriamente ina vaschetta di "pettole". Nel Salento le pettole  , palline di pasta lievitata fritta, le trovi tutto l'anno, non solo a Natale. Ma Natale è il nome del bar, noto. Quindi cerchiamo di non scomodare coincidenze sciamaniche alla Castaneda e di vivere al meglio i momenti presenti . Gustiamoci queste pettole . "Pittule" specifica campanilistico il barman. Pettole è in italiano , dice la ragazza sua aiutante. Che precisa essere lucana, però. Ehi ma stiamo parlando da alcuni minuti e on vedo nessuno in giro con lo smartphone. Cose che capitano come per magia, ancora, in questi lidi.
Dopo il rifocillamento , se così si può dire , riprendiamo la macchina e ci dirigiamo verso il cimitero.
Attraversiamo la città di case bianche , giallo pietra leccese tenue , miniville con giardino e qua e là qualche palma altissima, agavi e zie Anita che si preparano a cucinare polpette di carne di cavallo, case antiche, dimore semplici  di massimo un piano, lungo marciapiedi consunti davanti ai quali file di macchine di ogni epoca giacciono come relitti di navi fuori uso in lontani porti albanesi anni '80. Poco dopo attraversiamo un passaggio a livello e in piena campagna, sulla destra, imbocchiamo un viale di cipressi. Poco dopo, il parcheggio semivuoto del cimitero di San Cesario. Le alte mura del cimitero occultano la vista delle tombe all'interno . Su internet avevo visto che lorario di apertura era 9-17, orario continuato. Però davanti al vecchio portone d'ingresso metallico, spalancato, c'era un cartello con su i vecchi orari , che indicavano una chiusura alle alle 12,30 e riapertura alla 15.30. Così entrando mia madre scorge un tizio con indosso un gilet arancione che aveva tutta l'aria  di essere il custode. E gli chiede conto degli orari . Lui con accento romano di periferia conferma però l'arco orario 9-17, senza pausa in mezzo . Così rassicurati di non restar chiusi in quel luogo prima del tempo ci addentriamo in mezzo a queste tombe monumentali ,con cancelli scultorei, iscrizioni latine e vetrate trasparenti   modello acquari giganti frammisti a complessi di lapidi comuni in blocchi di pertinenza di antiche "società operaie"o di nessuno o di tutti. Segno evidente di quanto il genere umano nemmeno dopo morto si rassegni all'eguaglianza di status. Negli edifici comuni , quelli destinati a chi, al netto di inutili vanità, non ha voluto farsi costruire faraoniche tombe di famiglia, ma ha preferito non necessariamente , per un fatto economico, ma spirituale, ci sono i parenti di mio padre. Ma anche altri di famiglie in vista del paese ...e persino del sindaco di cui mio padre è parente come è parente di tutti i Coppola di San Cesario. Sostiamo via via davanti alle lapidi con foto di tutti i parenti del boss. Da mio nonno "Pippi" Coppola, poliziottone alla mobile a Milano durante il fascismo, di poche parole, avvezzo al  mezzo toscano che gli si spegneva in bocca restandogli infilzato tra le labbra tutto il giorno, a mia nonna paterna , Linda, passando per lo zio Cesarino, fratello di mio nonno, sindacalista comunista alla manifattura tabacchi , più loquace del cognato  detta del boss, e prodigo di racconti storici narrati davanti alla luce fioca di un lumino votivo nascosto in casa sua davanti all'immagine in bianco e nero di Giacomo Matteotti, sino a Giovanni Coppola, il capostipite, che mi padre ricorda ottantacinquenne e ancora dritto come un parafuso, fascio di muscoli e nervi. Sempre abbronzato e in piedi davanti alle foglie di tabacco stese a seccare al sole del Salento più antico e profondo. Dopo un po' di recitativi da parte di mia madre e mio padre di "eterno riposo", ci avviamo verso l'uscita del campo santo. Il custode ci saluta allegramente e anche quest'anno abbiamo reso omaggio ai morti. "Quando non ci saremo più chissà se verrete ancora a visitarli, questi morti", dice mia madre, a chiosa. Quelli di mia madre, essendo ad Ostuni, dove abitano "i vecchi", ricevono di certo più compagnia.
Fuori, nel parcheggio, mentre salgo in macchina, per rimettermi alla guida, un colpo di vento di tramontana improvviso rischia scuote lo sportello rischiando di rompermi il collo. Per fortuna paro il colpo con il braccio.
Silenzio e vento, dopo la camminata e l'eco dei nostri passi ascoltato nel deserto sonoro del dedalo cimiteriale. E improvvisa pelle d'oca nell'atmosfera spettrale. Che mi fa sovvenire un pensiero assurdo: le anime dei miei parenti sono adirate con me. Per qualche motivo che non riesco a decifrare. Provo questa sensazione solo per un attimo. Dev'essere la mia parte Junghiana che prevale su quella Freudiana. Una cosa del genere. In auto ci prepariamo a riattraversare il paese. Prendo tutti i sensi unici e un vigile urbano ci indirizza in una strada a destra perché da una scuola lì nei pressi sciamano alunni. E ad un certo punto mi accorgo che abbiamo forato. Impreco e scendo . Nel breve volgere di qualche minuto metto su tutto lo spettacolino di cric e quant'altro ad uso e consumo dei curiosi che cominciano ad affollarsi. I miei per il momento sono tranquilli . Un tizio anziano in bicicletta si ferma prodigandosi per aiutarci. Pare sinceramente dispiaciuto. Dopo una decina di minuti mi accingo a sostituire la gomma forate con il "ruotino" d'emergenza. Ma dopo vari tentativi non riesco ad inserirlo. Dev'essere così, ho fatto qualcosa di sbagliato nella mia vita, penso. Un po' autoironico il tizio anziano ha mollato la bici. E si è messo a fare il tifo per me. Proprio prova un dispiacere partecipato e dice in dialetto, mi dispiace , hai una faccia da brava persona . Io gli sorrido e mi rimetto all'opera. Nel frattempo il vecchio della bici pedalando, con una mano a reggersi la coppola, per la velocità, corre a chiedere aiuto ! Io dopo dieci minuti in cui mi colpevolizzo perché credo di essere un manualmente disabile , mi accorgo che il ruotino è di una misura sbagliata. Nel frattempo "il cristiano" bicicappellato torna con una buona notizia: lì vicino c'è un gommista e lo ha avvertito. Ma dice che è in pausa pranzo e al momento non si schioda....perché ha il sacro piatto in tavola. Mio padre impreca ad alta voce contro tutto e tutti. a causa della sordità (visto che l'apparecchio acustico  si rifiuta di metterlo). Alla mia disabilità manuale nel frattempo vogliono mettere riparo un paio di tizi con visi e corpulenze penitenziarie. Al netto  di giudizi lombrosiani. Ma con fare spiccio e pratico s'accorgono anche loro che il cerchione non combacia. Rilassiamoci tutti, avrebbe detto Buddha, a quel punto. Non resta che attendere il gommista al termine del fiero pasto pastasciuttesco. I due che ci aiutano tentano di vedere se una gomma di scorta di una macchina che devono rottamare può fare al caso nostro. . Il più raccomandabile fisiognomicamente dei due si allontana in bici-che bello che in questi paesi pianeggianti molti si spostino in bicicletta- tornando subito dopo costernato . Gomma e cerchione non sono compatibili. Quello dei due più anziani mi guarda in viso, con il suo viso abbronzato, i capelli lunghi completamente bianchi, il baffone da brigante: "stai tranquillo, quello , il gommista, è un tipo particolare perché è testimone di Geova. Ma mò viene", dice. E lo dice con un'espressione calma e serafica che mi fa vergognare di averlo giudicato in base a parametri chirurgoplastici. . Del resto i più efferati criminali con buona pace del Lombroso, avevano tutti facce angeliche. Mi stringe la mano  e si allontana con il suo amico ( sempre in bici).
Ci sediamo e aspettiamo. Potrei chiamare il pronto intervento ma , misteriosamente, non lo faccio. Sento di aver fiducia nel gommista. E nel vecchio che l'ha avvisato e che nel frattempo si è vaporizzato. Forse ora alle prese con il piatto caldo in tavola. Ma sapete una cosa? Aspettare nel silenzio prandiale di una strada salentina è stato come un satori, per me. Vivono meglio. Hanno il ritmo giusto, la giusta distanza tra lavoro e siesta. Cinque minuti dopo avviene il miracolo. un uomo alto e robusto  in tuta blu da meccanico si avvicina, anche lui in bicicletta.
"Che è successo?", chiede una volta vicino. Gli spiego la situazione. "Vuole una mano?", mi offro.
"Non ce n'è bisogno", dice. Torna indietro di 50 metri in bici. Solleva la saracinesca della sua officina. Il rumore della saracinesca rompe il silenzio del mezzogiorno di fuoco privo di pistole , ma con vento di tramontana a scuotere la polvere degli angoli dei marciapiedi. Subito dopo, a piedi, torna. Ha indossato i guanti da lavoro, nel frattempo. Prende la gomma da cambiare e fa per tornare verso l'officina. Ma prima dice:" venga con me, c'è un bagno nel retrobottega , così può lavarsi le mani". Mi guardo le mani. Sono nero carbone. Lo ringrazio e lo seguo. Mentre cambia la gomma tubolare sostituendola con un'altra usata gli dico:" ci scusiamo se l'abbiamo importunata nel momento della sua pausa pranzo".
"In effetti avevo il piatto in tavola. Era un piatto che non si poteva mangiare freddo".
Sorrido e vado a lavarmi le mani nel retrobottega.
Quando esco lui era già uscito a cambiare la gomma . Aveva già fatto tutto e risistemato il ruotino incriminato nel portabagagli. Gli chiedo quanto gli devo per il disturbo.
"Mi pago solo la gomma...vanno bene venti euro". Gli do 50 euro e mi dà il resto. Venti euro, il prezzo della riparazione di una foratura , a Milano. Ci stringiamo la mano e sono le 14,30.Siamo ancora in tempo per andare verso Lecce e mangiare qualcosa.
"Le persone sono ancora meglio di internet", sentenzia mia madre in auto, mentre ci avviamo . Non posso che darle ragione. Il vecchio con la coppola in bici ha battuto persino whatsapp. E persino qualche malevolo spirito evocato da malintese mie recenti letture di Gurdjieff.











giovedì 7 marzo 2019

Il teorema del villaggio mediterraneo

Camminavo per e strade di una cittadina del nord Italia. In mezzo a parchi, a fianco ad alberi. Sento la necessità di camminare in compagnia degli alberi, sono presenze vive, vitali e sento che mi irradiano di energie positive, fosse solo per il fatto che attraverso la fotosintesi donano ossigeno e si nutrono di anidride carbonica. Uno scambio straordinario. Cammino sempre, quasi tutti i giorni, è la mia forma di meditazione. Lasciamo stare il ritmo , anche se preferisco camminare a ritmo sostenuto, comunque sento che camminare mi fa stare bene. Lasciamo le ricerche in campo medico a parte. Le ricerche in campo medico sono sopravvalutate, cerchiamo di essere medici di noi stessi secondo il principio, se mi fa stare bene a lungo allora fa bene, se fa bene nell'immediato e non a lungo, allora significa solo stimolare endorfine nell'immediato senza benefici a lungo termine. Droga, quindi. Ecco oggi per l'appunto, mentre camminavo ad andatura sostenuta, in questa giornata di marzo quasi invernale, che accennava a pioggia, che conferiva al paesaggio l'aspetto dagherrotipico di una foto in bianco e nero, ho incontrato due ragazzi, due giovani non ancora trentenni. Una coppia, lui parlava al telefono, capelli ricci barbetta accennata, con accento meridionale diceva a qualcuno al  cellulare che nella zona non sembravano esservi uffici postali. Lei una moretta capelli lunghi sciolti, confermava aggiungendo che più avanti di sicuro avrebbero trovato "una posta". Due giovani meridionali sbarcati al nord in cerca di fortuna, proiettati in un altro mondo qualche migliaio di chilometri dallo stesso mondo che è un altro mondo. Una ridda di pensieri mi ha affollato la mente, di questi tempi bui in cui i processi di automazione e internet faranno perdere lavoro a milioni di persone imponendo una generazione invertebrata di telelavoranti che non sapranno far altro se non cliccare dei tasti. Intendiamoci i ricchi resteranno ricchi, è una questione sistemica, le sliding doors della borghesia (perdonate la categoria veterottocentesca) faranno sempre passare i dirigenti d'azienda da un'azienda all'altra senza che essi minimamente si accorgano di aver cambiato lavoro. E magari faranno figli, andranno in pensione, faranno le loro settimane bianche e vivranno in un sogno dorato dove raccontare di una storta durante l'ultima sciata in montagna potrà rappresentare il più entusiasmante dramma narrativo dal quale sono usciti indenni, narrato magari davanti ad un caminetto di una baita in montagna dove un drone servirà loro l'ultimo rum direttamente da La Habana. Ma i soldi non hanno mai prodotto nulla. Semmai sono le idee che hanno prodotto soldi. Ed ecco che vorrei dire a quei due ragazzi , fermatevi, tornate al borgo mediterraneo da cui siete partiti, per venire al nord a far da schiavetti a questa genia di invetebrati. Ho immaginato che cominciassero anche loro a camminare tutti i giorni. E che cominciassero a coinvolgere in queste camminate quotidiane altri loro compaesani, migliorando la qualità della vita del paese, abbassando le spese sanitarie di tutti, le spese di tutti. Migliorando la salute generale del paesello , del borgo mediterraneo. Ma come fare soldi senza soldi. Come procurarsi delle risorse? Come dare ausilio economico a quelle loro terre abbandonate da Dio e dal mondo? Ammesso che i campi agricoli non siano miniere d'oro a cielo aperto da cui tirar fuori tesori nutrizionali da vendere a chi questi campi non ha più, edificati , sia pure ad edilizia iperecologica e tecnologica, inquinati e quindi incoltivabili, brulla terra sterile pregna di diossina. Il sistema si alimenta attraverso le gerarchie, per cui nel nuovo mondo nel quale tre stronzi occhialuti e brufolosi che siedono davanti a dei computerini in una sperduta valle della California, a Cupertino, hanno bisogno di gente che non pensa niente per perpetuare il loro geniale sogno di niente :hanno bisogno delle borghesie nazionali i cui figli devono portare avanti questa economia del virtuale, in cui i parrucchieri, i coltivatori, i panettieri , gli orologiai, sembrano scomparsi. L'umanità si sta suicidando. Ma ecco che i nostri due giovani del borgo mediterraneo dopo aver migliorato la salute e abbassato le spese ai loro compaesani, hanno un'altra idea. Trovano una casa abbandonata e cominciano a vedersi. Vogliono fare teatro. Cominciano a fare teatro. Piano piano compongono una piece teatrale. La portano nel teatro di un borgo vicino. Al pubblico piace ed hanno successo. Così vanno di teatro in teatro, fino ai più grandi teatri, dove i figli della borghesia d'adozione cupertiniana pagano cifre esorbitanti per non perdersi la rappresentazione di questi giovani del borgo mediterraneo che sono diventati bravi. Da Cupertino sono preoccupati. Il nuovo mondo del vecchio privilegio si sta piegando allo spettacolo più antico e primitivo del mondo: il teatro. Così lavorano sulla grafica del computer e mandano in visione in tutto il mondo piece teatrali in hd create con la computer grafica.
Ma non funziona. Non ha lo stesso successo dello spettacolo teatrale con le persone in carne ed ossa. Con le persone che incespicano nei dialoghi e il pubblico le applaude perché se ne accorge. Con gli attori che una volta sono in forma, un'altra meno ma ce la fanno lo stesso, magari con la fronte imperlata di sudore per un imminente attacco di diarrea. La borghesia Cupertiniana deve segnare il passo. Deve dividere il mondo, deve dividere il suo potere con i giovani di Copertino (provincia di Lecce), lo dico per assonanza , anche geopolitica.
Imbocco il viale che mi riporta  a casa, a passo svelto, respirando profondamente, mentre il sogno nella mia mente è ancora vivido, i due ragazzi del sud sono ormai lontani. Ho in mente che andrò a tagliarmi i capelli dalla mia amica cinese cui chiederò di insegnarmi qualche altra parola nella sua lingua. Poi andrò da Ahmed , il macellaio egiziano e gli chiederò un paio di bistecche di manzo da scottarmi alla piastra. Prima di rientrare a cucinare passerò dal forno dei calabresi e prenderò un chilo di pane calabrese. Magari mi farò dare ancora un po' di 'nduja. Così, una volta finito di mangiare, metterò un po' in ordine, laverò i piatti a mano. La manualità porta troppo lontano , disse una volta in un verso di una sua poesia Rimbaud. Be', aveva ragione. Queste cose in California non le sanno. In California, a dirla tutta, non hanno mai saputo proprio un cazzo, in generale.