domenica 7 aprile 2019

Gli spiriti di San Cesario

In macchina sulla 379. Con i "vecchi"si va a San Cesario, patria d'origine di mio padre, detto affettuosamente "il boss". Temine mutuato dai tempi in cui significava "capo famiglia", non certo "capo clan". E mia madre, donna Germana. Due  rocce di 86 anni mio padre e 81 mia madre, che resistono con l'involucro madreperlaceo resiliente al tempo avvoltolato al corpo delle loro anime. Il boss ci sente poco e usa mia madre come ripetitore . A volte pare di ascoltare un navigatore che ripete ad libitum. In realtà , come succede per alcuni anziani quella di mio padre è una sordità selettiva. Acquisisce i dati che gli conviene acquisire. Gli altri li rimuove da sonoro e vista sui movimenti labiali.  Mia madre ride di questo . Anche mio padre ride. Ridere ancora insieme, ecco il segreto di una longevità sentimentale. Per strada guido  piano, ci godiamo il sole, la vista del mar adriatico a sinistra, dei carciofeti a destra. Carciofeti sottoposti al fall out della centrale a carbone di Cerano. E poi finiscono sulle nostre tavole. E sulle tavole di tutti quegli imbecilli socialisti reali network dipendenti che postano foto di ulivi, natura, mare, con il chiaro intento di far rabbia a chi è emigrato. Constatavo con i miei che dal centro storico mirando la vista della marina di Ostuni le macchie grigie del cemento negli anni si apprestano a pareggiare quelle verdi degli uliveti . Eduard Limonov avrebbe detto che che ci vorrebbe una guerra termonucleare per impedire l'avanzata dell'ingordigia del genere umano . Io penso di essere più buddhista dello scrittore russo che si è fatto 4 anni nelle carceri speciali per tentativo di golpe in Kazakistan. Mi illudo che nel momento del punto di non ritorno l'essere umano rinsavirà. Spero. Anche Che Guevara credeva nell'uomo , ma a quanto abbiamo appreso non ha avuto riscontri positivi in materia. Tanto vale tentare con la meditazione. E i sorrisi di commiserazione . Tanto non la fermiamo la guerra. Finisci solo per dar ragione a Darwin . La vera rivoluzione , direi, a questo punto, è la gentilezza. Purchè non finiscano per esploderti gli zebedei. Arrivati a Lecce , la città ci accoglie con il suo ingresso da Addis Abeba europoccidentale, un tantino mediterranea, con quelle palme che te la rendono  esotica, non fosse per il traffico istambuliano. Decidiamo di attraversare la città dirigendoci verso San Cesario . E una volta lì al cimitero degli avi paterni. Una volta giunti in paese con la punto bianca del boss, facciamo tappa al bar Natale, giusto nella piazza della cittadina salentina ad uno sputo da Lecce. Di fronte c'è la sede del comune, una antica costruzione popolata nei suoi pertugi da una colonia di taccole che gracchiano giusto in testa a due vigili urbani che hanno tutta l'aria di due tizi che morranno a 150 anni. A causa della cura dello stress mai subito. E, giusto di fronte al bar, sulla destra, una chiesa in gialla pietra leccese. E una palma altissima e filiforme come una modella etiope in un giardino a sinistra.
Entriamo nel bar e i mie prendono il loro classico decaffeinato macchiato . E si accorgono che in bella mostra dietro al vetro trasparente del bancone giace provocatoriamente ina vaschetta di "pettole". Nel Salento le pettole  , palline di pasta lievitata fritta, le trovi tutto l'anno, non solo a Natale. Ma Natale è il nome del bar, noto. Quindi cerchiamo di non scomodare coincidenze sciamaniche alla Castaneda e di vivere al meglio i momenti presenti . Gustiamoci queste pettole . "Pittule" specifica campanilistico il barman. Pettole è in italiano , dice la ragazza sua aiutante. Che precisa essere lucana, però. Ehi ma stiamo parlando da alcuni minuti e on vedo nessuno in giro con lo smartphone. Cose che capitano come per magia, ancora, in questi lidi.
Dopo il rifocillamento , se così si può dire , riprendiamo la macchina e ci dirigiamo verso il cimitero.
Attraversiamo la città di case bianche , giallo pietra leccese tenue , miniville con giardino e qua e là qualche palma altissima, agavi e zie Anita che si preparano a cucinare polpette di carne di cavallo, case antiche, dimore semplici  di massimo un piano, lungo marciapiedi consunti davanti ai quali file di macchine di ogni epoca giacciono come relitti di navi fuori uso in lontani porti albanesi anni '80. Poco dopo attraversiamo un passaggio a livello e in piena campagna, sulla destra, imbocchiamo un viale di cipressi. Poco dopo, il parcheggio semivuoto del cimitero di San Cesario. Le alte mura del cimitero occultano la vista delle tombe all'interno . Su internet avevo visto che lorario di apertura era 9-17, orario continuato. Però davanti al vecchio portone d'ingresso metallico, spalancato, c'era un cartello con su i vecchi orari , che indicavano una chiusura alle alle 12,30 e riapertura alla 15.30. Così entrando mia madre scorge un tizio con indosso un gilet arancione che aveva tutta l'aria  di essere il custode. E gli chiede conto degli orari . Lui con accento romano di periferia conferma però l'arco orario 9-17, senza pausa in mezzo . Così rassicurati di non restar chiusi in quel luogo prima del tempo ci addentriamo in mezzo a queste tombe monumentali ,con cancelli scultorei, iscrizioni latine e vetrate trasparenti   modello acquari giganti frammisti a complessi di lapidi comuni in blocchi di pertinenza di antiche "società operaie"o di nessuno o di tutti. Segno evidente di quanto il genere umano nemmeno dopo morto si rassegni all'eguaglianza di status. Negli edifici comuni , quelli destinati a chi, al netto di inutili vanità, non ha voluto farsi costruire faraoniche tombe di famiglia, ma ha preferito non necessariamente , per un fatto economico, ma spirituale, ci sono i parenti di mio padre. Ma anche altri di famiglie in vista del paese ...e persino del sindaco di cui mio padre è parente come è parente di tutti i Coppola di San Cesario. Sostiamo via via davanti alle lapidi con foto di tutti i parenti del boss. Da mio nonno "Pippi" Coppola, poliziottone alla mobile a Milano durante il fascismo, di poche parole, avvezzo al  mezzo toscano che gli si spegneva in bocca restandogli infilzato tra le labbra tutto il giorno, a mia nonna paterna , Linda, passando per lo zio Cesarino, fratello di mio nonno, sindacalista comunista alla manifattura tabacchi , più loquace del cognato  detta del boss, e prodigo di racconti storici narrati davanti alla luce fioca di un lumino votivo nascosto in casa sua davanti all'immagine in bianco e nero di Giacomo Matteotti, sino a Giovanni Coppola, il capostipite, che mi padre ricorda ottantacinquenne e ancora dritto come un parafuso, fascio di muscoli e nervi. Sempre abbronzato e in piedi davanti alle foglie di tabacco stese a seccare al sole del Salento più antico e profondo. Dopo un po' di recitativi da parte di mia madre e mio padre di "eterno riposo", ci avviamo verso l'uscita del campo santo. Il custode ci saluta allegramente e anche quest'anno abbiamo reso omaggio ai morti. "Quando non ci saremo più chissà se verrete ancora a visitarli, questi morti", dice mia madre, a chiosa. Quelli di mia madre, essendo ad Ostuni, dove abitano "i vecchi", ricevono di certo più compagnia.
Fuori, nel parcheggio, mentre salgo in macchina, per rimettermi alla guida, un colpo di vento di tramontana improvviso rischia scuote lo sportello rischiando di rompermi il collo. Per fortuna paro il colpo con il braccio.
Silenzio e vento, dopo la camminata e l'eco dei nostri passi ascoltato nel deserto sonoro del dedalo cimiteriale. E improvvisa pelle d'oca nell'atmosfera spettrale. Che mi fa sovvenire un pensiero assurdo: le anime dei miei parenti sono adirate con me. Per qualche motivo che non riesco a decifrare. Provo questa sensazione solo per un attimo. Dev'essere la mia parte Junghiana che prevale su quella Freudiana. Una cosa del genere. In auto ci prepariamo a riattraversare il paese. Prendo tutti i sensi unici e un vigile urbano ci indirizza in una strada a destra perché da una scuola lì nei pressi sciamano alunni. E ad un certo punto mi accorgo che abbiamo forato. Impreco e scendo . Nel breve volgere di qualche minuto metto su tutto lo spettacolino di cric e quant'altro ad uso e consumo dei curiosi che cominciano ad affollarsi. I miei per il momento sono tranquilli . Un tizio anziano in bicicletta si ferma prodigandosi per aiutarci. Pare sinceramente dispiaciuto. Dopo una decina di minuti mi accingo a sostituire la gomma forate con il "ruotino" d'emergenza. Ma dopo vari tentativi non riesco ad inserirlo. Dev'essere così, ho fatto qualcosa di sbagliato nella mia vita, penso. Un po' autoironico il tizio anziano ha mollato la bici. E si è messo a fare il tifo per me. Proprio prova un dispiacere partecipato e dice in dialetto, mi dispiace , hai una faccia da brava persona . Io gli sorrido e mi rimetto all'opera. Nel frattempo il vecchio della bici pedalando, con una mano a reggersi la coppola, per la velocità, corre a chiedere aiuto ! Io dopo dieci minuti in cui mi colpevolizzo perché credo di essere un manualmente disabile , mi accorgo che il ruotino è di una misura sbagliata. Nel frattempo "il cristiano" bicicappellato torna con una buona notizia: lì vicino c'è un gommista e lo ha avvertito. Ma dice che è in pausa pranzo e al momento non si schioda....perché ha il sacro piatto in tavola. Mio padre impreca ad alta voce contro tutto e tutti. a causa della sordità (visto che l'apparecchio acustico  si rifiuta di metterlo). Alla mia disabilità manuale nel frattempo vogliono mettere riparo un paio di tizi con visi e corpulenze penitenziarie. Al netto  di giudizi lombrosiani. Ma con fare spiccio e pratico s'accorgono anche loro che il cerchione non combacia. Rilassiamoci tutti, avrebbe detto Buddha, a quel punto. Non resta che attendere il gommista al termine del fiero pasto pastasciuttesco. I due che ci aiutano tentano di vedere se una gomma di scorta di una macchina che devono rottamare può fare al caso nostro. . Il più raccomandabile fisiognomicamente dei due si allontana in bici-che bello che in questi paesi pianeggianti molti si spostino in bicicletta- tornando subito dopo costernato . Gomma e cerchione non sono compatibili. Quello dei due più anziani mi guarda in viso, con il suo viso abbronzato, i capelli lunghi completamente bianchi, il baffone da brigante: "stai tranquillo, quello , il gommista, è un tipo particolare perché è testimone di Geova. Ma mò viene", dice. E lo dice con un'espressione calma e serafica che mi fa vergognare di averlo giudicato in base a parametri chirurgoplastici. . Del resto i più efferati criminali con buona pace del Lombroso, avevano tutti facce angeliche. Mi stringe la mano  e si allontana con il suo amico ( sempre in bici).
Ci sediamo e aspettiamo. Potrei chiamare il pronto intervento ma , misteriosamente, non lo faccio. Sento di aver fiducia nel gommista. E nel vecchio che l'ha avvisato e che nel frattempo si è vaporizzato. Forse ora alle prese con il piatto caldo in tavola. Ma sapete una cosa? Aspettare nel silenzio prandiale di una strada salentina è stato come un satori, per me. Vivono meglio. Hanno il ritmo giusto, la giusta distanza tra lavoro e siesta. Cinque minuti dopo avviene il miracolo. un uomo alto e robusto  in tuta blu da meccanico si avvicina, anche lui in bicicletta.
"Che è successo?", chiede una volta vicino. Gli spiego la situazione. "Vuole una mano?", mi offro.
"Non ce n'è bisogno", dice. Torna indietro di 50 metri in bici. Solleva la saracinesca della sua officina. Il rumore della saracinesca rompe il silenzio del mezzogiorno di fuoco privo di pistole , ma con vento di tramontana a scuotere la polvere degli angoli dei marciapiedi. Subito dopo, a piedi, torna. Ha indossato i guanti da lavoro, nel frattempo. Prende la gomma da cambiare e fa per tornare verso l'officina. Ma prima dice:" venga con me, c'è un bagno nel retrobottega , così può lavarsi le mani". Mi guardo le mani. Sono nero carbone. Lo ringrazio e lo seguo. Mentre cambia la gomma tubolare sostituendola con un'altra usata gli dico:" ci scusiamo se l'abbiamo importunata nel momento della sua pausa pranzo".
"In effetti avevo il piatto in tavola. Era un piatto che non si poteva mangiare freddo".
Sorrido e vado a lavarmi le mani nel retrobottega.
Quando esco lui era già uscito a cambiare la gomma . Aveva già fatto tutto e risistemato il ruotino incriminato nel portabagagli. Gli chiedo quanto gli devo per il disturbo.
"Mi pago solo la gomma...vanno bene venti euro". Gli do 50 euro e mi dà il resto. Venti euro, il prezzo della riparazione di una foratura , a Milano. Ci stringiamo la mano e sono le 14,30.Siamo ancora in tempo per andare verso Lecce e mangiare qualcosa.
"Le persone sono ancora meglio di internet", sentenzia mia madre in auto, mentre ci avviamo . Non posso che darle ragione. Il vecchio con la coppola in bici ha battuto persino whatsapp. E persino qualche malevolo spirito evocato da malintese mie recenti letture di Gurdjieff.











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