lunedì 8 aprile 2024

Un mondo a parte, recensione

 Un mondo a parte, film di Milani  con A.

 Albanese e V. Raffaele. 


Sere fa ho visto il film di Milani, con Antonio Albanese e Virginia Raffaele,  Un mondo a parte. Un insegnante elementare di Lodi, Albanese , stanco di insegnare a Roma ottiene un distaccamento in un piccolo comune abruzzese dove familiarizza con una vocepreside dinamica e pragmatica dai modi spicci ma efficaci, la Raffaele. I due familiarizzano , nonostante le perplessità con cui tutto l'ambiente accoglie Albanese. Da quel momento accadono delle situazioni   che si dipanano vorticosamente secondo un catalogo dei problemi contemporaneo, esagerati dalle asperità antropologiche e climatiche del luogo: Razzismo( i profughi ucraini porteranno le zoccole), omofobia ( la sorella di un alunno è gay e avversata dalla famiglia e tenta il suicidio), antiambientalismo- la famiglia di un ex alunno si lamenta con la Raffaele, vicepreside, che il figlio invece di emigrare vuole aprire un'azienda agricola-, politica collegata a interessi economici- la scuola deve chiudere perché se no  la gente non iscrive i figli nella più vicina città  e il preside di questa scuola ha interessi economici nei supermercati in costruzione perdendo così potenziali clienti -immigrazione di prima generazione- marocchini integrati che ormai parlano abruzzese e che  pur essendo mussulmani adorano la tv a fibre ottiche-nuovi immigrati ucraini i cui figli impinguano le file della scuola del paese in questione evitandone la chiusura,  Insomma una fiaba contemporanea a lieto fine e insieme una satira pesantissima della società italiana contemporanea. Attualmente il film è campione di incassi e poiché la morale finale suggerisce il concetto secondo cui con l'impegno individuale o anche semplicemente di gruppo si può far fronte ai problemi della contemporaneità o almeno affrontarli,  mi chiedo se la maggior parte degli spettatori , visti i tempi che viviamo,  ne abbia capito il senso.  Oppure si è lasciata soggiogare dalla notorietà degli attori principali? A voi futuri spettatori l'ardua scelta. Buona visione...


giovedì 5 ottobre 2023

Il libro della pioggia, Martino Gozzi.


Il libro della pioggia, Martino Gozzi.

Il mio carissimo Gian Maria Garuti, che fra le sue tante virtù ha quella dell'essere uno scopritore di libri belli, giorni fa mi ha dato da leggere un paio di libri. Non avevo molta voglia di leggere libri che non mi ero procurato da me, ma un pò per rispetto del fiuto letterario di Gian Maria, un pò per curiosità, ho iniziato a leggere questo libro di Gozzi. L'autore , si legge nella quarta di copertina, è oggi direttore della scuola di formazione di scrittori Holden di Torino, e io, prevenuto come sono come lettore e per la mia veneranda età, ho alzato le orecchie come un cane che avesse fiutato il pericolo. Pericolo di autoreferenzialità, pericolo di testo a corredo di una carriera di docenza. Ma ho iniziato a leggerlo. Il mio coinvolgimento è stato lento. Gozzi, originario di Ferrara, narra in questo racconto autobiografico di generazione, l'autore ha superato da poco i quarant'anni, dei suoi trascorsi di traduttore e poi di scrittore non di grande successo, per le poche migliaia di copie vendute dei suoi libri ( ammesso che il successo in letteratura sia dato dal numero delle copie vendute). Sposato con Nina, una figlia, Clementina, l'io narrante autobiografico dell'autore ci trasporta in una storia personale che ha per protagonista assoluta, la morte di un amico, Stefano, un rocker emiliano, che tentava di scalare le vette di un possibile successo in campo musicale e che ad un certo punto della sua giovane esistenza viene colpito dalla leucemia. Mentre Stefano combatte il suo male, Martino (l'autore), va avanti con la sua vita. Cambia città, da Ferrara a Torino, per lavoro e si confronta con problemi di coppia e la gestione di sua figlia. Martino è ossessionato dal controllo, o meglio, dall'avere tutto sotto controllo, dalla necessità assoluta di tenere tutto insieme, sobbarcarsi i problemi di inserimento nel lavoro della sua compagna, la malattia dell'amico e soprattutto dalla necessità esistenziale di stare al mondo per aiutare e proteggere gli altri. Il racconto procede per flash back, con ricordi vividi di ore passate con Stefano a parlare di musica, di concerti storici vissuti insieme, ed altro e conversazioni con la piccola ma curiosissima figlia, Clementina. E mentre Stefano lotta contro la leucemia, Martino riceve una mail da Valeria, sorta di assistente di malati oncologici in un ospedale bolognese, il Malpighi. Gli chiede se sia possibile organizzare dei corsi di scrittura per i degenti del centro di cura. Martino non crede alle coincidenze ( e neanche io). Dopo un'iniziale perplessità, come può la scrittura curare o, addirittura, guarire dalle malattie, si chiede, infine accetta. Ed entra in un mondo di dolore ma anche di ricchezza di rapporti umani, che iniziano a scardinare questo suo celeberrimo controllo delle emozioni, questo pudore nel manifestarle, che gli deriva, tra le altre cose, da un'errata percezione della sua ammirazione per Obama, lo staff del quale aveva inventato il celeberrimo motto "No Drama. Obama" ( si cita nel racconto l'episodio in cui Obama dice ad un uomo della sua diplomazia che si era presentato non sbarbato in una insostenibile conferenza stampa di farsi la barba. Perchè anche nelle difficoltà estreme, bisogna essere professionali). Il libro va avanti per rimandi, con scene a volte commuoventi e toccanti, altre volte lasciando spazio alle idiosincrasie dell'autore, per i supermercati, ad esempio, il banco carni degli stessi in primis...e di altre sue ( e di Stefano) qualità peculiari riguardanti virtù salutiste, del non bere e non fumare, ad esempio. La scrittura è semplice, eppure intensa, genera emozioni e serenità, al tempo stesso, e una sorta di catartica accettazione del fatto che la morte fa parte della vita e che la scrittura, se non ti salva dalla morte, mentre stai morendo, è un appiglio necessario per chi sopravvive. E comunque la scrittura serve a dire quello che non riesci a dire a parole e magari chiude i conti emozionalmente con chi ti sta intorno. Per non lasciare niente in sospeso. Che pure lo stesso resta. Be' devo dire che questo è uno dei più bei libri letti di recente,( ed è un autore italiano, finalmente), leggendo il quale l'autore mi ho percepito , con la sua spietata sincerità verso se stesso e verso gli altri e la sua autenticità narrativa, sfiorata appena dalla fiction letteraria, mi ha fatto capire che la sua passione per la scrittura e la sua ossessione nel voler diventare scrittore merita di essere premiata...se non altro per questo riuscitissimo romanzo. Complimenti Martino Gozzi.



 

lunedì 25 settembre 2023

Mi raccomando tutti vestiti bene, di David Sedaris

 


Mi raccomando, tutti vestiti bene, di David Sedaris.


Libro delizioso e divertentissimo, scritto da uno dei più importanti scrittori comici contemporanei. Sedaris, americano di evidenti origini greche, divenne famoso dopo aver letto in una radio locale un racconto sulle sue vacanze di Natale tratto dal suo primo libro “Holidays on ice”. Il libro è degli anni '90 e dopo aver letto qualche straccio di questo in una radio privata che poi passò il podcast alle radio nazionali, da quel momento da scrittore scrittore ignoto fu invitato a scrivere sul New Yorker e pubblicò tutti i suoi libri. Scrittura autobiografica, la sua, di un umorismo devastante e sarcastico, trova in questo testo da poco finito di leggere un'apoteosi di risate. E non stento a credere che Sedaris riempia teatri ad libitum pieni di lettori che pagano per sentirgli leggere i suoi libri composti da racconti che diventano veri e propri monologhi umoristici. In “Mi raccomando tutti vestiti bene” Sedaris alterna racconti dell'infanzia con vicende attuali in una miscellanea di flash back che conferisce al libro la struttura di un romanzo di racconti. Tutto diviene motivo di risate, per Sedaris, dai vicini di casa che non guardano la tv , mentre sua madre e suo padre li approvano poco prima di sedersi davanti al telegiornale e guardare anche tutte le trasmissioni ad esso successive, alle vacanze in una località marina, con le sorelle che incontrano sempre per strada due ragazze, una molto in carne e l'altra magra, battezzandole immediatamente la “Chiatta sul tetto che scotta” e “Salta marea”, sua sorella Lisa che dopo aver sentito parlare di un film sulla vita dello scrittore cubano Reinaldo Arenas si rifiuta di vederlo perchè gli era stato riferito che all'inizio del film si vede un cane che muore e di fronte al racconto del film di suo fratello (Sedaris medesimo) che gli dice che il protagonista muore di Aids in un ospedale di Miami non riesce a dire altro che, povero cane, hanno avuto persino il coraggio di filmare la sua morte, a suo padre, capostipite Greco che si avventura in una storia di speculazioni immobiliari finita in un disastro a causa di un inquilino che trova mille scuse per non pagare l'affitto, incluso la pretesa di tagliare un albero a fianco al suo appartamento nel giardino perchè pieno di uccelli che cantando disturbano il sonno di suo figlio, dalla figlia meno che adolescente di una vicina di casa barista di notte che lo perseguita rubandogli oggetti di ogni tipo in casa ( è costretto a cambiare casa), al fidanzato Hugh che una volta gli lancia contro un bicchiere e mentre lui finge d svenire corre a prendere paletta e scopa per sgombrare i cocci, proseguendo con le scuse inventate mentre svolge lavori di pulizia in appartamenti ( uno dei mille lavori intrapresi per sbarcare il lunario in attesa di capire cosa si vuol fare della propria vita) mentre finisce per incendiare le tende o rompere oggetti fragili di valore (“ al proprietario diciamogli che è entrato uno scoiattolo in casa”, dice a qualche suo socio di lavoro) e sua madre, capace di dormire ovunque e vestita in tutti i modi, meno che con un classico tradizionale pigiama, che non s'accorge nemmeno dell'allusività dei figli quando gliene regalano uno, e che dire del fratello Paul che si sposa con una parrucchiera facendo celebrare il suo matrimonio da una medium che alla fine della cerimonia finisce col dire impunemente, si sono sposati, l'avevo previsto...e molte altre vicende raccontate in modo esilarante. In un'intervista, in una delle sue non rarissime apparizioni in Italia, quando gli hanno chiesto quali fossero gli scrittori italiani conosciuti in America, disse , si , certo, Bruno Vespa. Per poi aggiungere, scherzo, non è vero; e quando gli hanno chiesto cosa gli desse maggiormente fastidio la sua risposta ha lasciato tutti con le lacrime agli occhi per le risate:” non mi offende chi odia i gay, non me ne importa niente , sono stato in Francia e ogni giorno qualcuno parlava male degli americani e non me n'è importato niente, non mi offende chi insulta mia sorella, perchè di lei non mi importa niente, l'unica cosa che veramente mi offende è vedere degli animali con gli occhiali da sole, non per gli animali, di cui non mi importa niente, ma solo se portano gli occhiali da sole”. Che posso aggiungere, se siete un po' giù, la vita vi gira male, siete in un periodo no, leggete un po' di Sedaris, funziona meglio di un ansiolitico e non ha effetti collaterali.








domenica 24 settembre 2023

Donne d'Albania, Isabella Lorusso.

 



Donne d'Albania, di Isabella Lorusso , ed. Sensibili alle Foglie. 

Ho letto questo bellissimo, drammatico e interessantissimo testo di Isabella Lorusso e ne traccio qui una breve e accorata recensione. Si tratta di un libro di interviste che Isabella Lorusso ha realizzato in un certo lasso di tempo ad alcune donne vissute durante il terribile periodo della dittatura pseudocomunista in Albania posta in essere dal dittatore staliniano Enver Hoxha. Un lavoro antropologico, sociologico, ma anche politico. Il punto di vista femminile, giammai femminista, raccolto in interviste a volte dal vivo, in altri casi su Skype, con l'ausilio di un traduttore e molto spesso senza questo aiuto, dato che moltissimi albanesi parlano molte lingue, oltre alla loro,  e l'italiano è fra queste. Le interviste sono dei veri e propri racconti di vita di poetesse, scrittrici, ma anche avvocatesse, giudici, persone comuni, che hanno vissuto in Albania durante l'era del dittatore Hoxha e cioè dal 1944 fino all''85, anno in cui egli morì. Le voci di queste donne molte delle quali perseguitate da un regime dispotico che ad un certo punto si chiuse persino nei confronti degli altri paesi comunisti, sempre per volere di Hoxha, raccontano di un paese asfissiante, nel quale la metà della popolazione era costituita da spie di regime (la famigerata Segurimi) ricattate con metodi inumani ( si racconta persino di parenti che denunciavano altri parenti, pur di sopravvivere), pieno di orribili campi di lavoro, di oppositori al regime, spesso provenienti dallo stesso Partito del Lavoro d'Albania, molto spesso, rei solo di aver messo in discussione le politiche del dittatore, o rei soltanto della propria intelligenza e autonomia di pensiero, uccisi, torturati o messi in condizioni di non nuocere con continui spostamenti sul territorio e privati di ranghi precedenti e dignità ad un semplice battito di ciglia di Enver Hoxha, che non poteva tollerare critiche di alcun tipo al proprio operato, specialmente se portate da persone intelligenti e colte. E sullo sfondo della dittatura, che per ideologia, portò comunque molte donne ad elevarsi socialmente consentendo loro di rivestire prestigiosi incarichi pubblici che in quell'epoca in occidente ci si sarebbe sognati, il maschilismo, il patriarcato, il retaggio tribale costituito da leggi del taglione e primitivismi vari, che aggiungevano  persecuzione sessuale a persecuzione ideologica. Un lavoro interessantissimo, completo, in cui le voci narranti, appena interrotte dalle domande di Isabella Lorusso, raccontano anche del razzismo subito una volta che queste donne sono riuscite a fuggire dal quel regime dispotico, in Italia ( con qualche eccezione, s'intende) o altrove,  spesso vendute come schiave sessuali, via via lungo la storia di questo paese, con il racconto di carrette del mare rugginose colme di montagne di corpi dirette a Brindisi, in fuga dal paese Albania... e il cambiamento, alla dipartita del dittatore, con una spietata guerra civile dove si ammazzava senza nessun motivo o ritegno, e l'avvento della crisi finanziaria che ha mandato in bancarotta un paese che usciva da una dittatura secolare e assolutamente impreparato alle astuzie malefiche di un improvviso capitalismo senza regole, attraverso il famoso sistema delle Piramidi Finanziarie che ha ulteriormente impoverito questo bellissimo paese montano di mare. Sino alla consapevolezza amara, che dopo la caduta del regime, molti dei vecchi dirigenti sono rimasti in sella, al potere, riciclati ( destino di tutte le dittature che cadono nominalmente) e si preparano a vendere la propria terra ai migliori offerenti, in cambio di soldi e potere e niente per il popolo. E a restare in sella per sempre, fedeli alle vecchie tradizioni patriarcali all'interno delle quali le donne non devono contare niente...che persino sotto Enver Hoxha, ripeto, per spinta ideologica, addirittura, non accadeva. Nell'insieme il lavoro costituisce una ricerca sul campo di livello universitario, ma agile da leggere anche da chi volesse capire meglio, non solo la storia dell'Albania, ma questa stessa come archetipo per capire la storia dell'oppressione femminile nelle società patriarcali. A me personalmente non meraviglia affatto che questo libro sia stato scritto da una militante di sinistra, anzi  trovo che sia doveroso far luce su anni in cui , accecati dall'ideologia, si prendevano lucciole per lanterne e si ascoltava Radio Tirana come fosse il verbo del comunismo internazionale. E' la migliore risposta all'abbaglio collettivo di quegli anni e la miglior proposta per  una sinistra futura, più libertaria, più democratica e soprattutto aperta finalmente alle donne, ma non nominalmente, in concreto, abbracciando finalmente il loro punto di vista, nella politica e soprattutto, nella società. Concludo dicendo che sono meravigliato  e dispiaciuto del fatto che questo testo non sia stato presentato all'interno di importanti rassegne letterarie, come ad esempio, in “Un'emozione chiamata libro....”

martedì 12 settembre 2023

Boliviana

 


Boliviana


Eravamo seduti vicino ad un camioncino ambulante dei panini. In quel momento il camioncino era fermo e mi chiesi perchè avrei dovuto chiamarlo ambulante. Poi presi la definizione si stronzo e aggiunsi ambulante. Questo quadrava, Uno stronzo ambulante era uno stronzo dappertutto. Mi appuntai questa cosa nel mio dizionario mentale degli insulti. Eravamo seduti, io e Synthia, ad un tavolino e aspettavamo di ricevere dei panini che avevamo ordinato. La cuoca del camioncino ambulante fermo era marocchina. Faceva anche polpette, cus cus...Pensai a com'era vicino l'arabo al mio dialetto d'origine. Cus cus era quando noi volevamo dire di qualcuno che eravamo certi che fosse lui. Cus in dialetto era “questo”. Questo questo, sarebbe suonato.Ed era quasi sempre legato ad un indizio di colpevolezza di qualcosa. Synthia stava ordinando il secondo panino e questo era un indizio che riguardava la lentezza del mio pensiero. E l'appetito di Synthia. Nel frattempo lei aveva attaccato bottone con una tizia seduta ad un altro tavolino di fronte a noi, con due ragazzini , un maschio e una femmina, rapiti dai loro telefonini. Era una boliviana, scura di carnagione, tratti indigeni, vestita con pantacollant neri attillati. Rossetto vistoso. Era vistosa. Era bona. Non lo detti a vedere a Synthia. La latine sono così: diventi loro proprietà. Anche gli sguardi che lanci alle altre devono avere il loro imprimatur. Ma se il soggetto osservato è esteticamente interessante l'imprimatur viene ritirato con una bolla di esecrazione costituita da uno sguardo che assomiglia molto a quello dell'uomo torcia dei Fantastici Quattro prima di sparare fuoco con gli occhi.

La boliviana ci raccontò la sua storia in spagnolo. Io capisco lo spagnolo, non lo parlo bene, ma lo capisco. Un po' come i cani, non parlano la tua lingua ma capiscono quando stai per bastonarli. Era venuta in Italia, a Milano, con i suoi figli, per visitare la città. Si era fatta ospitare da una sua amica peruviana sposata con un italiano. Al termine dell'ospitata la sua amica le aveva chiesto 600 euro. Per l'ospitalità. Alla faccia dell'ospitalità, dissi io. Ah, particolare curioso, la boliviana abitava in Germania, non era venuta in Italia, a Milano, dalla Bolivia e questo sì, particolare ancora più curioso, si era portata con sé, viaggiando in autobus, una tv al plasma! Una tv al plasma? Chiesi io a quel punto della conversazione, mentre la marocchina, alta due metri con in fianco il marito alto un metro e mezzo mi serviva delle polpette non richieste. Sì, disse lei, io adoro la tv al plasma. Synthia mi osservò come se avessi fatto una domanda inopportuna. Tutto il mondo viaggiava e per di più in autobus, con una tv al plasma al seguito!

La boliviana andò avanti con il racconto ...se avessi dovuto pagare quella cifra me ne sarei andata in albergo, per sei giorni! E ora stava lì seduta dalle 10 di mattina, al momento di questa conversazione, ore 19,30 circa, in attesa di ripartire per la Germania via Francia. Ed era senza bagagli. La sua amica peruviana e suo marito italiano avevano pensato bene di trattenere le sue 6 valigie a titolo di risarcimento per il mancato pagamento dei 600 euro per sei giorni. Io non riuscivo a credere alle mie orecchie. Le chiesi se forse non era il caso di andare dalla polizia e lei ci raccontò un'altra storia incredibile. Aveva chiesto ad uno per strada dove fosse il comando di polizia più vicino. E il tizio , uno di mezz'età, per tutta risposta le aveva detto che egli stesso era un poliziotto e che doveva consegnargli il suo passaporto. In cambio la boliviana avrebbe dovuto pagare una non meglio precisata tassa di passaggio. Al che lei aveva preteso che lui le mostrasse un tesserino identificativo. E lui per tutta risposta le aveva detto che non ce n'era bisogno, perchè il poliziotto era lui ed era lui che chiedeva i documenti alla gente. A quel punto lei gli aveva detto che senza distintivo non avrebbe mostrato alcun passaporto. E alla fine vedendo che lui nicchiava se n'era andata e sembra non ci fossero state altre conseguenze. Ovviamente a quel punto di andare alla polizia le era passata la voglia. Così aveva deciso di comprarsi un biglietto dell'autobus per tornarsene in Germania. Aveva chiesto ad un tizio che pareva un conducente di autobus lì nei pressi. Eravamo alla fermata della metropolitana milanese, Lampugnano, che era proprio alle spalle della boliviana e di fronte al camioncino ambulante della coppia di marocchini articolo “il”. Ed anche io e Synthia eravamo lì per prendere un autobus che ci avrebbe dovuto portare in Puglia. Ma per la nostra partenza c'era ancora tempo. Mentre la boliviana continuava a raccontare. Insomma l'autista ha chiamato al telefono un altro personaggio. Poco dopo questo è arrivato. Ha detto che l'accompagnava a fare il biglietto e che lei, la boliviana, non avrebbe dovuto fare altro che dargli i soldi: 400 euro. 400 euro? Dissi io. 400 euro? Disse Synthia. Il panino è otto euro, disse allora, la marocchina bimetre. Di dove sei, aveva chiesto la boliviana all'uomo che doveva farle il biglietto, non sembri italiano. E lui le aveva risposto che era romano. Ma sia a Synthia che a me apparve chiaro che si trattava di un romeno. Lei prima di rispondere aveva fatto in tempo a dare un occhiata ai prezzi degli autobus per la Germania. Al massimo costavano sui 200 euro. Io e Synthia ci guardammo. Be', dissi io, che ne dici, feci rivolto alla boliviana, se scriviamo un reportage sull'accoglienza turistica in Italia? Nessuno rise. Facevo sempre battute troppo sofisticate e nessuno rideva mai. A parte io. Decisi che io ero il miglior pubblico per le mie battute esistente al mondo. Poi la boliviana ricevette una telefonata. Era il marito italiano della sua “amica” peruviana. Ti sto portando le valigie, udimmo dire distintamente dal viva voce del suo telefonino. Sono 150 euro, aggiunse il Babbo Natale italiano. Io detti un morso al mio panino. Synthia non si teneva più. La mia battuta di prima non sembrava più nemmeno sarcasmo. Poi non successe più molto. Nell'attesa del nostro autobus e del marito trasporta valigie attaccammo bottone con una coppia che era lì. Lui era napoletano e lei comasca. Lei era incinta e aveva in braccio un bambino piccolo e intorno altri tre figlioletti che ballonzolavano per i tavolini. Siamo venuti qui da Como a farci due passi, disse il napoletano. Quattro figli, dissi io, complimenti, alziamo la media italiana! Ce ne sono altri 4 a casa ad aspettarci, disse lui con un certo orgoglio. C'ho il cazzo grosso, che ci posso fare, aggiunse. Comprare i preservativi, fu la mia risposta.

Non so come sia finita fra il trasporta valigie e la boliviana e i suoi ragazzini avuti da un uomo marocchino che poi non ne aveva più voluto saper niente, le stavano finendo le batterie dei telefonini suo e dei figli. Nè del napoletano con la comasca. Spero solo che quando il medico, le aveva detto a lei, che era il caso che ricorressero al lattice, non abbia frainteso e non abbia chiesto magari al marito un bel materasso di quel materiale....







































domenica 27 agosto 2023

La Navi, di Antonio Lobo Antunes


 


Le Navi, di Antonio Lobo Antunes.


Lobo Antunes è uno scrittore portoghese molto particolare. Nato a Lisbona, nel quartiere Benfica, che ha dato il nome ad una delle squadre di calcio più importanti del Portogallo, e di cui Lobo Antunes, non a caso è tifoso, ha studiato da psichiatra ed ha partecipato alla guerra coloniale negli anni '70 in Angola, ex colonia portoghese africana. Esperienza, quest'ultima che lo ha segnato indelebilmente tanto che gli echi di quella guerra accompagnano moltissime delle sue narrazioni. Una guerra , quella coloniale del Portogallo contro i ribelli dell'Angola che ha consolidato in lui alcune delle idee che spesso espone nelle sue rare interviste: il regime salazarista dittatoriale che si riempiva la bocca di patria e nazione e paese, lo faceva in modo oltremodo retorico e falso, e abbandonò di fatto le truppe coloniali ad affrontare una guerra sporca e orribile le cui memorie in Lobo Antunes, tracciano nostalgici ricordi per i suoi compagni d'armi che spesso cita come coraggiosi, preparati militarmente e con i quali, ancora oggi, con i sopravvissuti di essi, periodicamente si incontra per delle reunion gravide di rimembranze e affetto reciproco. In questo libro, Le Navi, con la sua scrittura concentrica, per immagini, metaforica, spesso barocca, ma scorrevole nella sua partitura addirittura musicale, racconta il dramma dei coloni portoghesi che ritornarono in patria, a guerra finita e colonie perse, trovando un Portogallo povero, miserabile, terra di iene e sciacalli umani, trasformato da una guerra dispendiosa in una terra di reazioni avverse, spesso eccessive, come quasi sempre accade quando dopo anni di potere di una dittatura le forze contrarie prendono il potere scatenando vendette...una terra in cui la rivoluzione socialista diviene terreno di vendette personali, sotto le bandiere di un socialismo espropriativo di facciata. I vari personaggi sono descritti nei loro percorsi di sopravvivenza ai cambiamenti, spesso dopo trent'anni di vita in Africa, Mozambico, Angola, Guinea Bisseau o a Macao, colonia portoghese in Asia. Dall'uomo che sbarca a Lisbona con la bara del padre morto e non ha i soldi per seppellirlo finendo per venderlo come concime per piante medicinali di un tizio che le coltiva in casa e la sua casa è una foresta, in piena Lisbona, a chi torna a casa e la trova occupata da altri in nome di una rivoluzione socialista di cui a costoro non importa se non nella misura dell'avergli procurato una dimora, e c'è un uomo che vende la propria donna, mulatta, per ricavarne un biglietto per il traghetto diretto a Lisbona, ad un vecchio di ottant'anni affetto da paludismo e una volta ripensato all'iniquo scambio la sua donna si è ormai affezionata al vecchio,e poi ancora c'è chi arriva a Lisbona con la moglie mulatta ed un figlio e non può pagarsi l'albergo , così cede la moglie all'albergatore , e poi c'è chi trova una prostituta olandese e se ne innamora e proprio lì sul molo per partire per chissà dove con lei, mentre cerca di convincere un prete a sposarli, guarda la donna allontanarsi con un marinaio belga largo di spalle come un armadio e impazzirà per ricercarla in tutta Lisbona. Una Lisbona descritta quasi in modo fantasmatico e metafisico, con i suoi luoghi tipici pieni di umanità piangente, risate alcoliche, spacciatori di droga, albergatori imbroglioni, prostitute multietniche, eppure avvolta nel suo fascino decadente e imperiale, di un impero oramai inesistente. Un libro affascinante, la cui bellezza malinconica sta nei gorgheggi bizantini di Lobo Antunes , che non disturbano questa meravigliosa sensazione che comunque vadano le cose, pur nelle difficoltà estreme, la vita va avanti e cambia sotto gli occhi magici, spietati, sghignazzanti e sorridenti, della capitale lusitana, una città di disperati che non sanno dove altro andare, perchè per loro tornare a Lisbona è stato come ritrovare una madre vecchia e paralitica, che è capace ancora di posargli una mano sulla spalla, trasmettendo tutto il calore possibile che una madre può dare ad un figlio. Questo libro mi ha insegnato che cosa vuol dire scrivere, perchè sicuramente Lobo Antunes, ci avrà messo tanto a scriverlo. Mi sembra di vederlo piegato sulla sua scrivania in rua Conde Redondo, a Lisbona, dieci ore al giorno, fumando sigarette una via l'altra,nonostante abbia vinto un cancro ai polmoni, a correggere , correggere, correggere, finchè il libro non accetta più correzioni...ed è allora che è finito un libro, come ama sempre dire. Mi sembra di sentirlo, se gli chiedi che scrittori gli piacciono e lui dice: Tolstoj, Conrad...hanno scritto i loro libri con la fatica di minatori e ci hanno messo molto tempo, perchè la scrittura è fatica e il lettore non riesce ad immaginare la fatica che c'è dietro un libro. Il successo non ha niente a che fare con lo scrivere, con la letteratura. Be', scusate se è poco, unire il successo alla buona scrittura, di questi tempi, non mi pare poco. Consigliatissimo specie ai lettori che non riescono più a sentire la musica nei libri degli scrittori contemporanei.





giovedì 17 agosto 2023

Diario estemporaneo


 

Diario irregolare.


Non tengo un diario quotidianamente. Diario è tutto quello che scrivo, libri, pezzi, tutto quello che faccio, vignette, video di sit down comedy. Sit down comedy l'ho inventato per parafrasare il più celeberrimo stand up comedy, capite bene che si può stare anche seduti a cercare di dire cose che fanno ridere e riflettere, leggendole. Un po' Morettiana come cosa, ma ciascuno fa quello che può, in attesa di diventare un attore scespiriano. E in fondo la vita che cos'è se non un'attesa. Quando sei arrivato non hai più nulla da chiederle.


Osho Rajneesh diceva di non credere in Dio perchè in quanto essere perfetto aveva terminato la sua spinta a crescere. Non è male come concetto, perlomeno è più sincero dei cosiddetti atei per contrasto. Gente che in fondo ci crede ma fa finta di essere atea dichiarandolo coram populo mentre stringe il crocifisso in una mano e la mano nella tasca.


Con buona pace dei puri di spirito, delle anime belle che non si sporcano mai le mani e che sempre sono nel giusto, dopo quasi un anno di guerra, a me appare chiaro lampante palmare che questo conflitto sia nato per indebolire economicamente Russia ed Europa e  che chi trae giovamento dal conflitto sia l'Amministrazione americana ( il popolo non lo dirò mai). Lo diceva Lenin, sempre, guarda a chi giova e troverai il vero colpevole!Ci stanno affossando economicamente rendendoci quantomai dipendenti. E questo per un debito di riconoscenza di 70 anni fa?


In Venezuela fanno il pieno di benzina con 50 centesimi. Noi cammineremo con la benzina a 10 euro al litro. In attesa della beneamata auto elettrica, che, diciamola tutta, non risolverà il problema ambientale, se ad usarla saranno milioni di persone. Il problema ambientale consiste nel fatto che per andare dal salotto al bagno sentiamo l'esigenza di prendere la macchina. Di questo passo la prenderemo, oh, sì, quella per l'elettrocardiogramma!


D'altra parte per Putin non si può minimamente simpatizzare, pregno com'è di un'ideologia da uomo delle caverne. Ha paura dei transgender eppure non capisce che è lui il primo transgender della storia: ha il cazzo nelle gambe e la figa in testa! Più transgender di così...Ma a parte gli scherzi quando , l'uomo, imparerà ad aver rispetto per le persone non convenzionali? Quando avrà capito che non serve lenire le proprie frustrazioni , anche sessuali, perchè no, con un supposto senso di superiorità verso le persone non convenzionali? L' organo sessuale più potente è il cervello. E infatti a dare un'occhiata a Rocco Siffredi si capisce enormemente.


Il pensiero del giorno viene da Diogene: guarda quanto sono fortunato, diceva attraversando il mercato, guarda quante cose di cui non ho bisogno. E questo è collegato al discorso del consumismo sfrenato: avete mai fatto un trasloco? Io sì, diversi...avevo 72 paia di forbici che nemmeno sapevo di avere. Perchè comprare serve a riempirci del vuoto di cui siamo pieni...peccato che non siamo buddhisti. Per loro il vuoto è il punto massimo d'arrivo. Pensa che differenza.