lunedì 2 dicembre 2019

Urban hiking

Urban hiking è un termine inglese che sta a significare "escursionismo urbano". Praticamente l'atto o pratica del camminare su un tracciato urbano.  Ora, a me piace oltre che andare in bicicletta anche molto anzi, soprattutto, camminare. Ma mi piace anche la lingua italiana, persino i dialetti , mentre l'inglese e questo profluvio di termini inglesi mutuati da internet, questi termini manageriali, aziendali, a me, che amo persino i dialetti italiani,ripeto, tutti, e la loro creatività onomatopeica, mi hanno del tutto fracassato gli zebedei. Per cui chiamerò questa mia attività escursionistica, sia in mezzo alla natura viva, alberi e campagna e uccelli e pesci fiori e frutta, che in mezzo alla natura morta, città, strade, automobili e pedoni, ma soprattutto pedoni, direi, camminare. Perché in definitivo l'atto del camminare è il dato prevalente di cotale attività. Anche se troverete il coglione di turno che lo chiamerà walking (senza essere Maurizio Damilano, tra l'altro). Nello zainetto metto occhiali da vista , portafogli , chiavi, cellulare e la copia della Repubblica acquistata stamattina presto mentre facevo la spesa. Esco, cielo terso, freddo ma sole, ore 9,30, tuta con pantaloni neri e giacchino grigio con cappuccio, dentro cui infilo la testa, occhiali da sole, zaino nero anch'esso in spalla, praticamente un writer. Porcazzozza ci casco anch'io nell'anglicismo, volevo dire quelli che disegnano sui muri con bombolette spray multicolori, sentite com'è immensamente più poetico e semplice e descrive bene a parole senza che usiamo una sola sterile parola che, siccome sappiamo da tv, internet e quant'altro, cosa e come sia un writer, non dobbiamo perdere tempo a descrivere con giri di parole. Proprio per questo dico, la filosofia della lentezza, invece, vale la pena, l'attitudine dello girare intorno, del prendere la rincorsa, della melina dell'Olanda di Crujff e Resembrink contro il contropiede dell'essenzialità becera di rapina all'italiana prima maniera, bradipo contro ghepardo, chi vive meglio e più a lungo? Pensate che il Bradipo defeca una volta al mese quando scende dall'albero, se ha voglia ed è l'essere più in saluta della terra. E nessuno lo chiama Sloth, in inglese, perché Bradipo è una parola lunga e quando l'hai terminata quell'essere dalla faccia simpatica è ancora lì facendosi beffe del tempo e della produzione.
A piedi percorro il naviglio di Corsico. Ed è bello vedere altri  camminatori, dei quali molti sono donne multietniche, donne che stanno a casa in attesa che i mariti tornino dal lavoro e approfittano di quell'oretta per mantenersi un po' in forma: camminatori, ognuno col suo passo, con le sue strategie, con gli auricolari, la musica in cuffia, o chi ascolta conferenze o la radio o niente o il traffico e si guarda intorno, chi muove ginnicamente le mani, chi si ferma per qualche esercizio(io che faccio Qi Gong)...e comunque camminare guarisce. Puoi andare avanti per ore, con il pilota automatico e pensare un milione di cose, potresti persino scriverti un libro in testa  o sentirti in un videoclip da cantante rap afroamericano, come mi capita passando da una deviazione direzione via Lorenteggio - e siamo già a Milano ovest-, sotto un ponte pedonale, istoriato di graffiti, sullo sfondo di grattacieli e capannoni industriali abbandonati...
Poi, a destra, caracollo verso l'Esselunga di via Lorenteggio , indicata fra le più economiche ed accorsate, vicino alla quale c'è un storico chiosco edicola che vende copie di Tex usate ad un euro...E di fonte c'è un Bingo, che di notte trabocca. Lungo via Lorenteggio ad un certo punto vengo superato da una donna con gli stivali e i tacchi che ha un passo più svelto del mio, che di per sé è già svelto. Cento metri più avanti, dopo avermi seminato, vira a destra per la mensa Pellegrini, probabilmente una dipendente, probabilmente in ritardo, probabilmente così si perde il gusto del camminare , perché dentro stai correndo e non pensi alla sequenza yogica dei passi, ma al cartellino da timbrare in orario.
Più avanti c'è via Inganni e la prendo svoltando a sinistra. Una bella e lunga strada con al centro a separare le corsie automobilistiche di andirivieni  tanti alberi di quercia, con foglie secche tendenti al color mattone come i palazzi di via Lorenteggio da poco lasciata, che ricorda le case di mattoni rossi descritte da Kerouac nei suo mille romanzi autobiografici da camminatore santo e buddhista dal cuore rimasto retrivamente cattolico-ma tant'è la Bibbia è colma di camminatori ed episodi che li ritraggono.
Giunto in fondo a via Lorenteggio prendo a destra per via delle Forze Armate. Incontro alcuni camminatori e joggers reduci dalla seduta di ossigenazione nel vicino Parco delle Cave e molti che camminano a piedi-non lo si direbbe a Milano-parecchi per altro, italiani e non solo stranieri privi di auto, moto e altri locomotori. Camminando lungo via delle Forze Armate giungo in piazza De Angeli, dove è in corso un mercatino di prodotti tipici sardi. Faccio sosta alla libreria Mondadori della prospiciente via Marghera, dove le gelaterie, complice la mite giornata soleggiata, vengono persino visitate da qualche avventore. Compro due libri di Salinger, "Il giovane Holden", che non ho mai letto e "Franny e Zooey". Ne ho sfogliata qualche pagina  di entrambi e mi sono sembrati molto ben scritti, scorrevoli, fotografici, ironici, scritti proprio come piace a me, secondo l'attuale mio gusto personale, volto ad apprezzare la scrittura elegante, semplice e chiara, al tempo stesso, capace di parlare al lettore abituato o alla gente comune. Che così deve essere scritto un libro.
Due ore di marcia, mi ero sparato sino a quel momento. 
Decido così di tornare. Piano piano e di buzzo buono eccomi dopo un' oretta circa nei pressi di via Zurigo. Ci sono arrivato prendendo per un pezzo l'autobus numero 63. Sul quale per una buona mezz'oretta, ho letto un po' la Repubblica, avendola tirata fuori dallo zaino. Sceso a via Zurigo, avendo riposto il giornale ben piegato come un capo di abbigliamento, religiosamente come una casalinga dell'intellettualità, dopo essere stato osservato dagli smatphonizzati sull'autobus come una specie di pterodattilo aliprivato, ho rifatto a ritroso tutta via Inganni. A metà mi sono fermato ed ho fatto un altro po' di Qi Gong. Qualche casalinga con carrello della spesa al seguito mi ha osservato non proprio come in un parco di Pechino alle sei di mattina. Lì tutti fano Qi Gong o Tai Chi tutti i dì a quell'ora. Di nuovo su via Lorenteggio, arrivato alla fermata del tram 24, alla dogana, vicino al Camst dove una volta ho mangiato con mio fratello-ottimo rapporto qualità-prezzo, ho preso per via Giambellino, storico quartiere popolare dell'ovest milanese. Una volta quartiere operaio , oggi molto multietnico, con frequentazioni rom e arabe-mai sentito di problemi di convivenza fra queste due etnie in questa zona...E' quasi l'una e mezza ed ho fame. Sto camminando da ore, senza sosta. Ma so dove andare per mangiare bene e salutare e spendere poco. C'è un Kebab che fa cibo da asporto ma puoi anche mangiare lì, anche se il luogo è angusto e scomodo, con qualche tavolino improvvisato. E'al 138 di via Giambellino. L'insegna quasi non si vede, lo conoscono in pochi. Ma a me, camminatore ed esploratore metropolitano urbano, non è sfuggito. Lo conosco da tempo. Entro dentro e c'è un bancone di vetro dietro il quale si vedono leccornie di ogni tipo, cibo arabo, nelle varie varianti egiziana e marocchine. Riso basmati, fagioli, lenticchie, patate lesse con carote e piselli, pollo arrosto, polpette di manzo e delle tortine d'uovo piatte tonde che contengono carne di manzo con verdura e cipolla che sono squisite. Mi faccio comporre un piatto misto, colmo di quel ben di Dio ,anzi, visto il pannello a lato del locale nero con scritte in arabo sicuramente di qualche verso del Corano, cibo di Allah. Il giovane arabo dietro al bancone mi serve prontamente. Sceglie due delle tortine meglio riuscite-noto il suo indugiare nella scelta, un indugiare proprio di chi mi ritiene un ospite, evidentemente unico italiano o raro italiano che capita in quel luogo, da trattare con estremo riguardo- e me le fornisce in un piatto, insieme ad un altro piatto di riso, lenticchie, fagioli, polpette. Mi siedo a fianco ad una donna con l'hijab, che sta assaporando un piatto di riso con dei merluzzi fritti e  fagioli. Mi osserva divertita. Si sta chiedendo come mai un italiano entra in quel pezzo di mondo arabo. Io assaporo il cibo, tutto condito con curcuma, che a me piace molto. Mentre da dietro il bancone osservo entrare di quando in quando altre donne con l' hijab, copricapo che lascia comunque in evidenza il volto, anzi, il velo così agghindato fa da cornice al quadro del viso. Scaricano in continuazione teglie metalliche di quel genere di cibi, provenienti dalle cucina retrostante. E nel frattempo con una rapidità inusitata, molti avventori arabi prendono cibo da portarsi a casa -straordinari i panini con melanzane arrostite appena fatte. Finisco il mio piatto. Fuori fa freddo ma lì dentro è caldo di cibi e umanità. Tutti mi sorridono apertamente senza essere troppo convenevoli. Mentre sto per andarmene, entra un giovane homeless-aridaje con gli anglicismi, porcazzozza. Dal somatico pare un tedesco, con zaino. Deve essere un globe trotter, un viaggiatore, un altro camminatore a più largo raggio, però. Chiede qualcosa da mangiare . Fa capire che non può pagare. Il ragazzo gli dice di accomodarsi. Gli riempie un piatto di platica di ogni ben di Dio. E glielo serve, accompagnato da una bottiglia di coca cola, di vetro, appena stappata. Nessuno dice nulla. Silenzio e approvazione. Evidentemente è una scena per loro consueta. Io pago dopo aver gettato tovaglietta e piatti nella spazzatura. Cinque euro, un prezzo da nulla, per tutto quello che ho mangiato. E per tutto quello che ho vissuto. E mi rendo conto che Allah o Dio o chi per essi, è lì, in quel luogo caldo, mentre fuori fa freddo, la produzione incombe e gli accoltellatori terroristi sono foto sgranate su giornali distribuiti gratis in metropolitana. Una metropolitana affollata, dove nessuno ha paura. Nonostante qualche coglione si tatui ancora l'aquila nazista sulla schiena.