giovedì 23 aprile 2020

La filosofia dello spumante

La filosofia dello spumante
Sono anni che leggo di Buddhismo. Una filosofia interessante. Lo studio come filosofia, non come religione. Ognuno creda un po' a quel che vuole, a Dio, Allah, al Principe Pavone o a Paperon de Paperoni, vedete un po' voi. Purchè non mi si entri in casa a dire cosa fare o cosa non fare. Quello è affar mio e, come dice mio padre, poi me la vedrò io col Padreterno!
Insomma leggo un po' di buddhismo, la mattina, un po' di ginnastica cinese, prima di uscir di casa ed andare a lavorare. Mi direte a che serve la ginnastica cinese? Com'è? L'ho imparata su Youtube. E' una ginnastica senza fatica, movimenti lenti, come alla Moviola. Non lo so se mi fa bene o male, so solo che la faccio appena sveglio. Massimo 20 minuti. Sarà l'unica ginnastica che mi concedo per tutto il giorno. Diavolo, una delle cose che ho imparato in 50 e passa anni di vita è che fare la spesa, le pulizie, lavare la macchina, salire le scale al lavoro, dirigermi a piedi da casa alla mi auto, può bastare per tenerti in forma. Non capisco quelli che dopo essersi ammazzati di cose da fare vanno in palestra. Hanno i muscoli stressati!Non capisco molte cose dell'essere umano. E molte di queste cose le ho fatte stupidamente per anni. Il che non vuol dire che uno un giorno non possa ritrattare le cazzate che fa. Direi che è qualcosa che può assomilgiare a una qualche forma di intelligenza. Penso. Ho detto “cazzate”...non è molto Buddhista.
Uscendo di casa mi ripeto mentalmente il mantra: “ qualsiasi cosa succeda, non devi arrabbiarti”. Già. Ce la posso fare.
Uscendo di casa trovo la multa carpetatta dietro al tergicristallo posteriore della mia auto. Ho parcheggiato in una zona dove stamattina c'era il lavaggio strada. La sera prima ero stanco e distratto e non me ne sono accorto. Non dice forse il Buddhismo di prestare attenzione pedissequa a alle cose che fai mentre le fai nel presente? Che il passato ormai è passato, rimuginare non serve a nulla e il futuro non lo conosciamo? Perdersi nel passato e nel futuro ci fa perdere il presente. Ma la mente se ne va per conto suo. Specie dopo che hai trascorso una giornata in un negozio a progettare e vendere mobili. E ti sono capitati clienti esigenti. Tutti i clienti sono esigenti. Capiamoci. Nel nostro sistema di vita, basta entrare in un luogo con una qualche capacità di spesa che subito subentra la spocchia del cliente. Dentro di sé pensa che poiché si accinge ad acquistare automaticamente devi assecondarlo in tutte le sue richieste. Perchè ti paga lo stipendio. In altre parole, ancora deve spendere e già ti ha acquistato.
-Scusi, scusi, volevo acquistare quella cucina, ma mi hanno detto che il colore che volevo io non c'è. Me lo potete creare voi?
Una signora di una certa età, elegante, forse fa palestra tutti i giorni. Forse fa cure di bellezza. Direi che è ben truccata, di giustezza.
Io la osservo attentamente. Questa titubanza e la mancanza di immediatezza di risposta da parte mia, già la indispongono. Io comunque metto in pratica le mie letture
buddhiste e penso, devi essere gentile, devi avere pazienza, devi provare misericordia.
-Buongiorno...dico.
-No, dico, vorrei una cucina fucsia, perchè si intonerebbe alle mie pareti, quanto ci mettete a farmela?
-Buongiorno, ripeto. Ma lei non coglie la sfumatura della mancanza di saluto da parte sua. Poi dentro di me recito il mantra:”qualsiasi cosa succeda ,non devi arrabbiarti”.-Ecco, vede , Signora, noi purtoppo produciamo arredamenti standardizzati, per cui non siamo , al momento, in grado di soddisfare questa sua cortese richiesta, proseguo.
-E io come faccio adesso? Mi avete creato una difficoltà!
-Mi dispiace enormemente , Signora...provi a scegliere una cucina di un colore ugualmente abbinabile...ne abbiamo di diversi colori, sa...
-Noooooooooo, io la voglio fucsia e voi me la dovete fare!
“Qualsiasi cosa succeda , non devi arrabbiarti”, penso.
-Signora, se vuole la posso consigliare...
-Ma se non c'è FUCSIA che cosa cavolo mi vuol consigliare?
-Si faceva così, per gentilezza, Signora, magari scopre che ci possono essere altri colori ugualmente abbinabili...
-Noooo, la voglio FUCSIA...mi faccia parlare con un suo responsabile!
“Qualsiasi cosa succeda , non devi arrabbiarti”, penso. Però in circolo nel mio organismo hanno incominciato a circolare sostanze sconosciute, sostanze velenose, SOSTANZE TOSSICHE. E senza nemmeno i piaceri dello sballo.
Moltiplicate questo incontro per decine di incontri al giorno e vi risulterà la somma del mio stato d'animo. Voleva la cucina FUCSIA, sennò erano guai. Nel mondo ogni giorni muoiono milioni di bambini per fame, ma il suo problema era la cucina FUCSIA. E noi non l'avevamo. Ma io non mi devo arrabbiare. La rabbia è un veleno, fa male alla salute. Lo dice anche il buddhismo.
Poi torno a casa , a sera. Logicamente la mente è allo sbando. Non riesco molto a concentrarmi su quello che sto facendo e vivendo. La mente se ne va per conto suo. E' dotata di un suo pensiero. Il buddhismo spiega che bisogna educarla, allenarla.
Scendo dalla macchina, entro in casa. Il cane dei vicini sta abbaiando e si sente fastidiosamente. Vorrei togliermi gli abiti da lavoro, farmi la doccia e leggere qualcosa. Il cane abbaia in sottofondo. La vicina di casa esce e lo lascia solo in casa. Una volta mi ha detto che è un Beagle di quelli liberati dai laboratori di sperimentazione e che ha sofferto molto. In quanto a gestirlo senza che interferisca sul palazzo...non una parola.
Mi spoglio. Faccio la doccia. Bau, bau, bau, bau...un abbaiare secco , stridulo.
“Qualsiasi cosa succeda , non devi arrabbiarti”, penso.
Il cane ha abbaiato sino a notte inoltrata.
Penso a quella volta che la vicina di casa proprietaria del cane , suonò alla porta e dopo che le lebbi aperto, sorridendomi, mi disse-penso di farle cosa gradita...le ho portato dei tappi da mettere nelle orecchie!
-Lei conosce il Buddhismo?Le chiesi.
Lei, una signora bassina, un po' tozza, riccia, accento foggiano, alito di sigaretta, disse-no, sono Cattolica.
-Be', il Buddhismo dice che la rabbia può far ammalare fisicamente e seriamente una persona.
-Si metta i tappi, così non si ammala, disse.
Con ineusaribile lentezza chiusi la porta sulla sua faccia.
Il cane continua ad abbaiare. Mi vesto ed esco di casa a fare due passi. E' notte inoltrata. Ho parcheggiato l'auto distante da casa. Per via delle strade che devono essere lavate.Ogni giorno della settimana c'è una strada da lavare. Quindi si fa la roulette russa dei parcheggi. A piedi passo in una strada ai lati della quale ci sono villette con giardino. Un cane mi abbaia violentemente da dietro le inferriate di una di queste villette.
VAFFANCULO, urlo.
Il cane si acquieta. Sono sicuro che l'ha sentito dire tante di quelle volte che ora pensa che quello sia il suo nome.
Insomma che vi devo dire. Io ci provo a mettere in pratica la filosofia Buddhista. Provo a non arrabbiarmi. Ma si devono vedere le cose da un punto di vista troppo elevato. Troppo elevato persino per me.
Ognuno deve trovare la propria via. Il Buddhismo è una grande filosofia e non cesserò di studiarla. Ma, ripeto, ognuno deve trovare la propria filosofia. La mia filosofia è quella dello spumante: se lo agiti troppo, be', non ci sarà bisogno di forzare il tappo perchè se ne venga fuori ...

Lasciatelo fare a me

Lasciatelo fare a me
Tempo fa, andavo al liceo in quel di Ostuni. Be', era d'estate e volli fare un viaggio in Grecia. Presi il Ferry Boat che navigava da Brindisi a Corfù, Ero un ragazzo magro, e peloso. I peli sono rimasti.Mi piace pensare, come disse quella giapponese a Sean Connery in uno storico 007 di cui non ricordo il titolo “ agli uccelli piace fare fare il nido sugli alberi frondosi”, che a volte non tutti i mali vengano per nuocere. Stando alle giapponesi, per esempio.
Comunque mi presentai all'imbarco con bermuda , canottiera e zaino con sacco a pelo annesso. Posto ponte. Avevo i capelli lunghi imbionditi dal sole estivo.
Presi posto sul ponte e il battello salpò in direzione di Corfù. Vidi Brindisi che si allontanava piano piano e prendemmo il largo. Sul ponte c'erano govani di un mucchio di paesi. Di italiani non eravamo molti. Nessuno d'estate dalla Puglia va in Grecia. Ma io sono sempre stato un'anticonformista. C'erano tedeschi, olandesi, svedesi, norvegesi, danesi, qualche francese, poi non ricordo altri. Il mio inglese era rudimentale-ed è rimasto tale-mi è sempre piaciuta la lingua italiana , il greco antico. E pensare in dialetto. Ancora oggi, passati i 50 , penso in dialetto. Parolacce, per lo più. Di recente ho inviato un tweet a Trump con l'appellativo di “pezzarone” (pronuncia “pzzaron”). Va da sé che alcune parole sono onomatopeiche e non lasciano presagire nulla di rassicurante, per chi le riceve. Mi ha risposto con un cuoricino. Segno che avevo colto nel segno.Dicevo del mio inglese...be', comunque mi consentiva di comunicare un po' con tutti. Volevo conoscere le altre culture, le usanze e i modi di pensare di altri paesi. Presi a chiacchierare con un biondino-le biondine olandesi, per lo più, non mi si filavano, intuivo, per la pessima stampa di noi italiani. Era svedese. Ciarlammo un po', di ragazze, di vacanze, di posti belli da visitare in Grecia. Gli detti alcune dritte sulla Puglia. Ad un certo punto, così, d'emblèe, se ne venne fuori , sorridendo non senza un certo sarcasmo, con le solite equazioni che riguardavano la mia apartenenza al ceppo italico. “Italiani=spaghetti, mafia”.
“Hai dimenticato il mandolino”, dissi in inglese.
Lui sorrise, ma non ritirò quello che aveva detto.
C'erano degli altri ragazzi, intorno, svedesi e olandesi,tedeschi che mi osservavano. Assentivano con il capo. Come a voler confermare che erano in linea con il pensiero del biondino scandinavo(non ricordo il nome,boh, forse non me lo disse). Credo si aspettassero una mia reazione. Credo che s'aspettassero che reagissi in modo violento. A dire il vero, l'età ingenua, gli ormoni e l'orgoglio ferito in quel momento mi avrebbero suggerito di spaccagli la faccia. Ma ebbi un sussulto di lucidità e freddezza. Percepii che se avessi reagito in tal modo , loro, l'avrebbero avuta vinta comunque. E si sarebbe confermato quello che pensavano. Dunque, io venivo da una buona famiglia borghese. Gente che lavorava, intendiamoci, non Paperon De Paperoni. In casa entravano sempre un paio di quotidiani, regolarmente. Ero informato, diciamo. Mi piaceva leggere. Certe malattie si contraggono da piccoli. E c'erano cose per cui non andavo fiero del mio paese. Gli spaghetti , però, decisamente, non rientravano nelle cose di cui non andare fiero. Il “mafioso” , però, rientrava. Detto così, poi, sghignazzando, poteva suonare come un'offesa. Dentro di me sentivo che volevano che reagissi con violenza. Per trovare conferma a quell'epiteto malefico.
Tutt'intorno si fece silenzio. E c'era anche un altro tizio, un italiano della mia età, che aveva assistito alla conversazione. Aspettava anche lui. Pronto a menar le mani. Lo osservai.Non sembrava aver argomenti dialettici da suggerirmi. A parte una nutrita teoria di calci nel culo allo svedesino. Gli altri attendevano. Lo svedese sorrideva. E non aveva l'aria di volersi scusare.
Noi italiani brava gente abbiamo sempre avuto un certo complesso di inferiorità e i luoghi comuni su di noi e sugli altri quasi ci seppellivano. Gli svedesi avevao una buona fama. Avevano avuto Olof Palme,un politico illuminato che aveva esteso servizi pubblici gratuiti ed efficienti in tutto il paese, creando un modello di società invidiabile. Noi avevamo avuto Andreotti (non mi ricordo l'anno ma ricordo che Andreotti c'era sempre in tutti i governi),che aveva esteso servizi pubblici di raccomandazioni a tutto il paese. Direi che ero in difficoltà. Ma io, come ho detto, leggevo. E la conoscenza, a volte, può avere lo stesso effetto di una pistola fumante.
“Credo che voi svedesi fondiate il vostro benessere sull'esportazione di armi in tutto il mondo. Siete il primo paese , al mondo, come esportazione di armi. Se noi siamo mafiosi, be', le pistole per sparare ce le avete vendute voi. Sfido, io, che andate a curarvi gratis negli ospedali le vostre emorroidi”. Ci misi un pò a completare la frase. Dovetti dare una scorsa al dizionarietto di inglese, perchè, in quel momento, non mi ricordavo a memoria come si diceva“emorroidi”.
A quel punto il biondino mi guardò con la faccia dell'emoticon del “wow”(all'epoca non esistevano, ovviamente, ma in quest'emoj rivedo la sua faccia sorpresa). L'italiano mi guardo esterrefatto. Certo, sentivo dalle sue vibrazioni , che restava dell'opinione della teoria di calci nel culo.Gli olandesi ridacchiarono all'indirizzo dello svedese. Avevo pareggiato.
“Non dovreste ridere”, dissi agli olandesi, “visto che la droga che spacciano i mafiosi la fornite voi”. Si fecero seri. E qualcuno mi mandò a quel paese. Lo svedese non sapeva cosa dire. Certo, non era un luogo comune , sugli svedesi, quello che mi era venuto di dire. Non era stato come dire, mangiaringhe (mi tengo 100 volte gli spaghetti),o, che ne so, dove le tenete , le renne, nella stiva?
Poi mi incazzai. Quando pensai che anche i tedeschi non avevano proprio nulla da ridere. Se volete criticare il mio paese, be',cavolo, lasciatelo fare a me...
Me ne stetti sulle mie. Mi preparai il sacco a pelo. E mi accinsi a passare la notte. L'Unione Europea, per quanto mi riguardava, era finita senza neanche iniziare.

Vivere ai tempi del Coronavirus

Vita ai tempi del Coronavirus 2
Chiuso in casa. Abbiamo mangiato maccheroni con lenticchie. Piatto unico. Economia di guerra. Fuori c'è l'epidemia. Metto la testa fuori dalla finestra sull'esterno. Sulle case limitrofe. A 50 metri c'è una villetta a 2 piani. Anni fa dalle sue finestre uscivano voci che cantavano:” meno male che Silvio c'è”. Ora adagiata sul davanzale c'è una candela che si consuma. Come le nostre vite. Eppure più vive che mai. Costretti a pensare. Rimetto la testa dentro nella calotta della mia abitazione. Sono una tartaruga. Non prima di aver visto i bidoni della spazzatura mai così pieni. Involucri di pizze sono lingue che fuoriescono. Le teste delle bottiglie di plastica pinguini seminascosti. O presepi contemporanei. Mi stendo a letto e leggo. “Le navi”, di Antonio Lobo Antunes. Mi sembra di vederlo in Rua Conde Redondo, a Lisbona, mentre scrive per dieci ore al giorno , fumando le sue sigarette, nonostante abbia combattuto e guarito il cancro. Psichiatra in Angola, al seguito delle truppe coloniali Portoghesi (dal 1961 al '64). Ha già vissuto il suo inferno. E ne ha scritto e ne scrive da anni. O come dice lui, lascia che le sue voci interiori ne scrivano.
Leggo di un uomo seduto su un molo di Lisbona, in mezzo a gabbiani e nibbi di mare, seduto sulla cassa da morto del padre. Appena tornato dalla Guinea Bissau. In attesa di un baule su una nave, con le sue cose di quelle terre. Leggo di un meccanico che cedette sua moglie minorenne ad un uomo di ottant'anni, per un biglietto su una nave per Lisboa. Per partire da quelle terre perse per sempre. Leggo del suo cambiare idea prima di partire, quando vede sua moglie, una mulatta longilinea e felina, accudire quell'uomo che poteva essere il suo bisnonno, a letto con la malaria, come mai aveva fatto con lui. Vuole ritrattare lo scambio.
“E io vidi i quasi inesistenti mobili di sempre che si coprivano di sargassi negli angoli, le cornici di latta con cartoline di attrici in costume da bagno, le cianfrusaglie di artigianato africano che lui vendeva di caffè in caffè, di piazza in piazza, i galli di ceramica, il lavandino sbeccato e il mio compare che trasudava nel letto un odore di cuoio vecchio, con le papille sfuocate dalla miopia della febbre. Mi sono beccato una schifosa crisi di paludismo, è dall'altro ieri che mi trascino a vomitare. E mia moglie, rendetevi conto, figlia di un commerciante bianco, figlia del proprietario dell'unica cantina nel raggio di un chilometro che gli applicava compresse di garza fresche sul torace e sulla fronte, molto più sottomessa e sollecita di quanto non fosse mai stata con me in nessuna occasione, nemmeno l'inverno prima quando mi sono contorto di dolore per sei giorni nel letto prima di espellere pietruzze dalla vescica, mia moglie che asciugava maternalmente, a lui che poteva essere suo bisnonno, le gocce di sudore sul pizzo e sui baffi...”
Ricevo una telefonata da Lisbona. Un mio amico brasiliano andato da anni a stare nella capitale lusitana. Dalla sua finestra, dice, si vede una nave da crociera con 1600 passeggeri. E' bloccata. A bordo c'è un epidemia di Coronavirus. Lui dovrà riprendere a lavorare fra qualche giorno. Lavora in un catering che serve gli ospedali. In bocca al lupo, amico mio. Boa sorte, gli dico. Che si può fare, dice...non ho fatto il militare. Sto facendo la guerra. Lo saluto. Riprendo a leggere. Fuori è grigio. Piove. Ma Lobo Antunes mi delizia con la sua allegra malinconia barocca. Con la sua scrittura concentrica. Mi sembra di vederlo, seduto mentre scrive a mano. Ho visto cose che vuoi umani...pensa. Questa l'ho già sentita. Proviamo a dirlo diversamente. Come lo direi io:”quando era tornato nella stanza , la moglie, seduta sul bordo del letto, stava aggiustandosi la crocchia con una montagna di forcine. Allora le aveva annunciato, immergendo in una brocca il sacchetto del tè come digestivo. Tra dodici giorni ci imbarchiamo per l'Europa.”
Interrompo la mia lettura, vado in bagno. Apro la finestra. Un vecchio attraversa la strada. Solitario. Non indossa né mascherina di protezione, né guanti. Come tutti i vecchi deve anch'egli aver vissuto qualche inferno. E non gli importa più nulla. Ne' di sè. Ne'della pioggia. Ne' degli altri, c'è da dire.

E' come vivere in un cartone animato...

E' come vivere in un cartone animato.
Per la terza volta in quasi 25 giorni esco a fare la spesa. Ho provato ad ordinare online. Gli ordini hanno una tempistica siderale. Se trovi qualcosa che ti porti qualcosa online. Bardato di mascherina chirurgica e guanti in auto, mi avvio verso il supermercato dove vado di solito. Ore 9,30. Parcheggio. C'è la fila. Si entra pochi per volta. Ha aperto da qualche minuto. Mi metto in coda. Una signora è dietro di me a incollatura di carrello. La osservo con sospetto. Troppo vicini, dico con gli occhi. Ma lei non capisce. E certo, con gli occhiali da sole pretendo di parlare con gli occhi. Pretendo di parlare con gli occhi a chi non mi capisce di solito a parole. Mi allontano. E mi avvicino a una ragazza davanti. Mi guarda male. Ciascuno che si crede al sicuro perchè non ha sintomi tipici teme di essere contagiata da chi si crede al sicuro perchè non ha sintomi tipici. Milioni di pensieri affollano la mente. Stamattina ho visto sul rullo di Rainews le notizie che scorrevano. Il principe Carlo e Placido Domingo sono guariti. Chissene.Per loro tamponi a gogò. Ve li immaginate a fare la fila per un respiratore in un ospedale? Io no. Che ci volete fare. Non sono io. E' la mia mente. Del resto, se quello che dici non dà fastidio a nessuno, è probabile che tu non abbia detto niente. La mia mente (non certo io) due mesi fa mi aveva detto, alla fine dell'epidemia di Coronavirus, l'Afghanistan avrà un prodotto interno lordo superiore agli Stati Uniti. La mia mente, com'è noto, non ha molte mediazioni. Io non mi compiaccio di ciò. Perchè moriranno i deboli, gli indifesi, i fragili, i poveri. Come sempre. E credetemi, anche se morisse Trump mi dispiacerebbe. Non so cosa pensi, tutt'ora , la mia mente , di ciò. Non me l'ha ancora comunicato. E questa bella figliola che ho davanti? Che mi guarda in cagnesco (mi scusino i cani)? In democrazia tutto è lecito. Ha delle belle forme. Per cui io la guardo in cagnesco. In cagnesco in calore, per la precisione. Ma non ci tengo a restare intubato. E nemmeno lei ci tiene. E sono sicuro che anche prima della faccenda della pandemia, nemmeno lei ci avrebbe tenuto. A farsi intubare. Devo leggere meno Bukowski e più la Bibbia. A proposito qualcuno sa spiegarmi perchè ad un certo punto della Bibbia il SIGNORE ha deciso che Abramo si sarebbe dovuto chiamare Abraamo? E' un mistero. Sarà questo il mistero della fede di cui si canta in chiesa durante la messa? Dopo circa 40 minuti di coda, tocca a me. Infilo un gettone per lavaggio auto nella fila dei carrelli e ne ritiro uno. Entro nel supermercato. In filodiffusione a scadenze temporali fisse, si ode un messaggio che recita più o meno così”distanziarsi di un metro una volta arrivati in cassa”. Già. E tutti quelli che mi stanno addosso mentre peso verdura e frutta? Dico ad alta voce. Faccio al figura di quello che al casello autostradale parla con la voce preregistrata che ti saluta. E tu ripartendo la mandi a quel paese. Parli al nulla. Con pazienza cerco di attendere il mio turno alle bilance. Senza accalcarmi. Portano tutti la mascherina e guardano tutti gli altri malissimo. Tutti seri. Nessuno ride. Non noto nessuna differenza tra ORA e PRIMA. Anche prima non è che si ridesse molto. Poi con le zucchine a 3 EURO c'è poco da ridere.Faccio una spesa massiccia. Per una quindicina di giorni. Meno si esce meno occasioni ha IL BASTARDO di beccarti. Ci metto un' ora e mezza buona per prendere tutto l'occorrente. Non c'è alcol, amuchina, varichina e , questo è grave, mancano le uova. Devo andarle a prenderle dall'ARABO, un altra fila ad un altro supermarket non la reggo, dice la mia mente. Ogni tanto la mente dice cosa sagge.
In cassa finalmente ho la sicurezza di essere almeno ad un metro. Mi posiziono sull'apposita striscia gialla. Un senegalese bardato di tutto punto, con la divisa della Sicurezza, gestisce le code. Sta molto attento a distanziare bene. In cassa. Dentro al supermercato è anarchia totale. Sembro Brontolo.
Esco e ci metto un quarto d'ora a sistemare la spesa in macchina in appositi sacchetti che conservo da molto ,all'uopo. La fila fuori si è allungata. Adesso fa una “U” intorno al parcheggio. Fuori c'è il sole. E' una bella giornata. Una ragazza in coda, trent'anni, carina anche con la mascherina (dai, la fisionomia del viso si riesce a scorgere, no?) un po' distante da me, parla al telefono con la madre. Deve urlare perchè non si toglie la mascherina. La voce esce fuori potente ma con un effetto auto-tune. Sembra Sfera Ebbasta. No, mamma, non puoi uscire di casa per andare a fare le condoglianze. Telefonagli! Urla.
Finisco di caricare l'auto. Mi muovo lentamente uscendo dal parcheggio. Un paio di chilometri, in linea d'aria e sono vicino dall'ARABO. Per strada poche auto. C'è un atmosfera irreale. In tv in questi giorni passano film a tema. Ieri Blade combatteva una stirpe di supervampiri cui un virus aveva centuplicato i poteri malefici. Blade, mezzo vampiro e mezzo umano viene da un fumetto. Perchè, forse, non stiamo noi vivendo in un cartone animato?
L'ARABO, come lo chiamo io, per brevità, è il macellaio egiziano che sta proprio vicino casa. Ma vende un po' tutto. Nella bottega si entra uno alla volta. Ma non c'è nessuno. E LE UOVA CE L'HA.E' un signore avanti con gli anni e spesso quando entro qui, nella bottega, ha in sottofondo versi recitati del Corano. Oggi c'è silenzio. Gli chiedo come mai oggi niente Corano.
Prego dentro di me. Dice. Prego nella mente. Prego per tutti. Dio è per tutti. Dio è di tutti. Mi da nel sacchetto due confezioni di uova. Le lascia su un apposito tavolino dietro la linea gialla. La mia linea di GAZA personale. Ritirando i miei soldi e lasciandomi il resto. INSHALLAH

Sociale

Sociale
Passo le giornate in casa. Ogni tanto mi affaccio alla finestra del bagno. Non ho un balcone. Mai come in questo periodo ne sento l'esigenza. Cinthya ha triturato il pane che stava ammuffendo. Esci nel prato del condominio e regalalo agli uccelli, dice. Le donne sono nate francescane. Esco con mascherina e guanti. Sembra che io debba fare i chilometri. Invece devo scendere di un piano e andare nel prato che si apre sotto la finestra. Incontro sempre vicini di casa che tendono a trastullarsi, scambiare impressioni. Mai come in questo momento, a epidemia in corso, la socialità è nemica della salute pubblica. Ma non lo capiscono: perchè è tipico degli italiani occuparsi della faccenda quando hai i saraceni alle porte e ti stanno appiccando fuoco alla casa. Ma anche in quel momento non pensano che tocchi a loro. E' la sindrome dello Stellone italico, la stella bianca a cinque punte simbolo della Repubblica Italiana e del suo fulgido destino.
Oddio, ci sono un paio di personaggi, nel mio condominio, con cui mi è sembrato di avere un distacco da quarantena anche in assenza di virus. Ma questo è normale. Mi hanno sempre detto che sono un tipo SOCIEVOLE. Che parola ruffiana!
Non incontro nessuno. Tutte le maniglie delle porte che devo aprire sono mie nemiche. Anche perchè nessuno usa guanti o le apre con i gomiti. Sembro un ipocondriaco, ma non si è detto che il virus sulle superfici metalliche resta fino a quattro giorni prima di tirare le cuoia?
Una volta nel prato, come San Francesco, spargo le briciole. I merli, le cornacchie, i colombi e persino le gazze osservano dai cornicioni dei palazzi. Ma non scendono certo a mangiare dalle mie mani. Ci sarà un motivo se sono sopravvissuti agli umani. CI CONOSCONO.
Risalgo velocemente. Nessuno in giro. Zero auto nelle strade limitrofe. I mie polmoni sono rimasti intossicati dalla purezza dell'aria. Sento come se i polmoni mi dicessero, ma cos'è questa roba? Infatti, sembra droga. Stordisce. Mai visto un cielo così terso. Sarò l'unico al mondo ad aver fatto questa constatazione? Basterà a capire che stavamo vivendo nel peggiore dei modi? Non credo. Dentro i palazzi , dietro le porte, dietro le finestre, come centometristi giamaicani, sono pronti a scattare e tornare sulle piste della vecchia vita. Del vecchio andazzo. Aspettano solo la conferenza stampa della Protezione Civile. E quando sarà il caso: via di corsa verso il meraviglioso mondo fatto di smog,hamburger e cocaina. Meriteremmo di estinguerci. Sì, forse non sono un tipo SOCIEVOLE.
Mentre mi infilo nella scala, noto con la coda dell'occhio la discesa degli uccelli dai cornicioni , dai terrazzi, dai giardini. E mi si riempie il cuore.
Torno in casa, Cinthya mi spruzza sulle mani del disinfettante.
Mi toglie la maschera chirurgica. Come mai non ho mai visto il DOTTOR HOUSE con la maschera? Così, mi sovviene. Quando si ha molto tempo per pensare , in percentuale, aumenta il numero delle baggianate che ti vengono in mente. E questa è la Legge Del mio Io Sociale e non Socievole.
Coniata fresca fresca.
Mi metto una tuta, per stare più a mio agio. Mi distendo sul letto. Mi accingo a leggere. Prima do un'occhiata dalla finestra. I corvidi banchettano della grossa. Che bello avere qualcosa in comune con San Francesco. Se penso che un proverbio di cacciatori pugliese recita”San Francesco, il tordo al fresco”. Vedete perchè preferisco essere SOCIALE?
Prima di restare rapito da “Il vicerè di Ouidah”, meraviglioso racconto di Bruce Chatwin su Dom Francisco Manuel Da Silva , da cui è tratto “Cobra Verde” di Herzog, agguanto lo smartphone e do una scorsa ai social.Già: lo stato della nazione! Dopo cinque minuti poso lo smart. Tralascio “Il vicerè” e agguanto un altro libro che ho sul comodino. Apro a caso.
“...io odio litigare, ma mi nausea ugualmente constatare quanto la gente sia ORGOGLIOSA delle proprie idee e come ti ci vogliono infilzare come fossero spade, e come ne vogliano parlare parlare parlare. Non si rendono conto che si prova un semplicissimo piacere nello stare seduti in una stanza a bersi una birra in silenzio, sentendo il mondo che scorre fuori, e stare seduti lì, semplicemente seduti in pace....”
Giro il libro in mano per guardarne la copertina: “Urla dal balcone”, lettere volume primo. Charles Bukowski.
Bene.
Posso tornare sul “Vicerè”. SOCIALE. SOCIALE.

Parolacce

Parolacce
Ore 9,30. Sveglio già da un'ora. Mi affaccio alla finestra del bagno. Fuori silenzio assoluto. Ferragosto senza essere a Ferragosto, da queste parti, Milano Ovest. Un merlo si posa sull'inferriata che separa un orto dove un vecchio armeggia, di solito, curando i suoi ortaggi con incredibile dedizione, dal pozzo di luce dal quale sono solito godermi la mia porzione di cielo. Lo osservo. Mi osserva. Harry Potter riesce a parlare con i rettili, perchè io non potrei comunicare con i merli? Provo a dirgli, vai nel prato, ci sono le briciole di pane che ho disseminato ieri. Per tutta risposta si gira su se stesso e vola via in un'altra direzione.Niente. Non riesco a parlare agli animali. Non riesco a parlare agli umani, come potevo pretendere di riuscire a parlare agli animali?
Si sentono sempre meno ambulanze. Segno che la pandemia, lentamente, sta calando. Ma quanti morti sul selciato della storia!Nessuno ci restituirà i nostri vecchi. Qualcuno ha scritto da qualche parte, che quando muore un anziano è come se andasse a fuoco una biblioteca. Già. I vecchi, con le loro storie, le loro esperienze di vita. Con il loro umorismo nero.Un mondo popolato di vecchi e bambini sarebbe un mondo migliore. Gli uni non hanno molto tempo da perdere e dicono tutto ciò che gli passa per la testa. Gli altri hanno un sacco di tempo da vivere per rimediare alle cose pure e istintive che “sparano” senza lasciarsi intimorire da quella parolaccia chiamata MEDIAZIONE! In mezzo tutti noi.
Sapete, mi manca il balcone. Sono venuto in Lombardia a seguito di una delle tante ondate migratorie, dalla Puglia altosalentina. Ma non sono riuscito a trovare una casa con il balcone. Erano tutte occupate, le case con i balconi. Mi ricorda la corsa con cavalli e carri per le terre intorno a cui mettere i paletti nei vergini Stati Uniti . Gli ultimi beccavano le terre poco fertili , lontane dai fiumi.
Dalle mie parti il contagio si diffonde perchè la gente soffre di iperattivismo. Non sanno stare quieti, tranquilli. Se non fanno muoiono. E non gli importa se stiamo vivendo in un tempo in cui muori se fai. Che poi che cosa avranno mai da fare? Mi ricordano quella barzelletta sui vigili urbani che mettono la sirena e fanno il diavolo a quattro per andare al bar a prendersi un caffè. Non capiranno mai che la vita non è il caffè. Ma tutto quello che avviene tra te che esci di casa e il caffè al bar. E proprio non volete godervela questa vita.
Rientro la testa da tartaruga nel carapace del mio bilocale. Do un'occhiata al mio smartphone. Catene e catene di cose inutili. La memoria del mio telefono è in tilt. Sospetto che mi sveglierà nel sonno per dirmi: basta, terminami. Anche sui social non si scherza mica. E' pieno di gente che denuncia che ci sia troppa gente fuori, nonostante i divieti delle autorità. Già. C'è gente fuori che si indigna se altri violano i divieti violandoli a sua volta. Sembra la metafora del nostro paese:non vogliamo fare la nostra parte se anche gli altri non la fanno.
Dunque, non sto lavorando. Vorrei fare qualcosa per dare una mano. Telefono ad una onlus della mia zona e chiedo se vogliono un volontario per la distribuzione alimentare ai bisognosi. Mi rispondono chiedendomi se ho precedenti esperienze. E aggiungono che necessito di una formazione. Ma andiamo, dico, per caricare la pasta su un furgone devo avere una formazione? Sì, risponde secca la voce dall'altro capo. Beh, sì, una formazione ce l'avrei, dico: Zoff, Gentile, Cabrini, Collovati, Scirea, Oriali, Bruno Conti, Tardelli, Rossi, Graziani, allenatore Bearzot e Presidente Pertini: quel tizio che ha detto “si svuotino gli arsenali si riempiano i granai.” E chiudo il telefono. E niente, anche i posti da volontario sono occupati. Non ho L'ABILITAZIONE. Nella settimana prima di Pasqua, noi, Occidentali Europei, in ossequio alle NOSTRE COMUNI RADICI CRISTIANE, dovremmo cercare di non dire parolacce. Già: NOSTRE COMUNI RADICI CRISTIANE. Ops! Mi spiace, non sono riuscito a non dire parolacce!

In rosso

In rosso
Stare chiusi in casa. Già. Si pensano un mucchio di cose. Sento nell'aria tanta voglia di ricominciare a vivere. Ci sono persone per le quali il lavoro è tutto. Per loro il lavoro è vita. E non ho niente contro. Purchè vivere non diventi il lavoro. Altrimenti dovremmo chiedere scusa agli zombies.
A volte io credo che se scrivessi per professione potrei dedicare molte energie a questa attività e potrei farlo meglio. Magari ECCELLERE. Eppure sento dentro di me che non riuscirei a scrivere un solo rigo. Per scrivere ho bisogno di vivere. Di vedere gente. Di deludermi ulteriormente circa le capacità di giungere alla saggezza della maggior parte degli esseri umani. Me compreso.
Per cui si pensa ai tempi andati. Che non si sa se e quando torneranno. La famiglia sopra di me sta facendo i conti , oltre che con la quarantena, anche con la convivenza con il proprio cane. Un cane irrequieto. In passato, quando non c'era il virus in giro e non erano obbligati a stare in casa tutto il tempo, uscivano spesso e lasciavano il cane a casa. La bestiola abbaiava tremendamente tutto il tempo. Un'ottima colonna sonora, per chi sta a casa negli appartamenti contigui magari nel giorno di riposo infrasettimanale, intento a leggere o a rilassarsi. Ora li sento redarguire l'animale tutte le volte che accenna un guaito. La qual cosa, avverto, deve risultargli stressante. Si saranno chiesti quanto dovesse essere stato altrettanto stressante tutto il tempo trascorso in casa, per gli altri inquilini, quelle volte che abbandonavano la creatura? Sembro Peter Handke, uno che scrive sottoforma di domande.
Si pensa ai tempi andati. E una volta abbassatasi la soglia dei contagi? Torneremo a vivere come prima? Io credo di sì. Perchè viviamo in un sistema che ci ha abituati a essere ciò che possediamo.
In passato mi sedevo spesso al Cin Cin bar in Corso Buenos Aires a Milano. Prendevo un caffè o un Crodino, cose così. Su quel marciapiede dove mi sedevo a degustare le mie cose, in un'ora possono passare fino a tremila persone. E a me è sempre piaciuto osservare la gente. E' un abbonamento gratuito a SKYUMANITA'. E c'era sempre qualcuno che parcheggiava un Suv dopo aver fatto trenta metri da casa in auto, lì davanti al Bar. Scendeva dall'auto, la guardava e rimirava come la Pietà di Michelangelo. Si sedeva ad un tavolino del bar. Tutto tronfio. Cinque minuti dopo parcheggiava una Maserati. E lo vedevi diventare pallido in viso. Gli vedevi spegnersi il sorriso. E anche io avevo così davanti un altro tipo di capolavoro. Un altro tipo di PIETA'. Quella provata da me.
Tornando al lavoro. A me in genere piace lavorare. Facendo un lavoro di contatto diretto con il pubblico, ora sono fermo, causa pandemia. A me in genere piace lavorare, ma non sempre. Un giorno non è come un altro. E ci sono giorni in cui non è cosa. Le bollette però hanno sempre una gran voglia di arrivare puntuali come un cantone svizzero. Per cui a volte, anche quando non ti va, lavori. Però c'è da constatare una cosa, riguardo al lavoro. Che anche se ce l'hai e sei fortunato ad avercelo , non puoi mai svolgerlo al ritmo che ti è più congeniale (parlo per me). E questa cosa, a fine giornata, ti svuota di energie! Bisognerebbe che ci fosse una legge che imponesse a tutti i lavori di lasciare inalterate alcune energie per terminare la giornata in BELLEZZA.Ci sono molte cose di cui abbiamo bisogno. BISOGNO è ciò che il nostro sistema di vita considera solo come sinonimo di deiezione.
Comunque non sento il bisogno di adunate oceaniche, di bagni di folla. La GENTE in massa mi destabilizza. Meglio pochi per volta. Se li puoi scegliere. Osservarli, insieme, è un conto, averci a che fare, insieme, è un altro conto: ed è in ROSSO.

Campioni del mondo

Campioni del mondo...
Vigilia di Pasqua. Il paese sta risorgendo, pur ferito a morte. Enrico Toti combattè tra le file italiane durante il primo conflitto bellico contro gli austriaci, privo di una gamba, come volontario, con la divisa senza stellette. E' il simbolo del nostro paese. Forse con gli austriaci saremmo stati meglio. Ma noi non siamo austriaci. Siamo italiani. E siamo stanchi di essere messi dietro, all'ultimo banco, dell'aula europea. Stiamo resistendo. I nostri medici , i nostri infermieri, i giornalai, gli addetti ai supermercati e i corrieri postali sono i nostri eroi senza stellette. Gli unici che ci hanno aiutato sono medici e infermieri delle odiate dittature comuniste. Non una mascherina dagli USA. A pacche sulle spalle sono buoni tutti.Non parlo di politica. SONO FATTI. E certo un uomo elegante, poco avvezzo alle furbizie della politica, un pugliese orgoglioso che appare in video per parlare al paese-il volto bianco segnato dalle nottate insonni-dopo ore passate a leggere i rifiuti europei( rifiuti come immondizia, anche), rappresenta in questo momento il nostro essere italiani: un uomo solo al comando, Giuseppe Conte. Come Fausto Coppi...ma la borraccia di Bartali è rimasta nelle pieghe di odi, invidie e stupide strumentalizzazioni politiche.
Dobbiamo farcela da soli. Ciò che non ti uccide ti rafforza. Non abbiamo bisogno di elemosina. Ed è meglio un tozzo di pane regalatoci dai più poveri di noi-benchè interessato-che pacche sulle spalle e sblocchi di vendita di mascherine in un primo tempo ferme. In attesa di un'asta al rialzo per il miglior offerente.
Sapete, non sono mai stato un patriota in senso classico. Uno che ama il proprio paese a prescindere. E l'inno nazionale mi ha fatto venire la pelle d'oca solo una volta. Durante la finale dei mondiali di calcio del 1982 in Spagna. Nel 2006 non fu per me la stessa cosa.
Non mi piace la retorica delle celebrazioni a prescindere.
Non mi piaceva l'alzabandiera mattutina durante il servizio militare. Coincideva con l'alzarsi troppo presto per giocare ad una guerra che non avremmo mai potuto combattere.
Una volta all'alzabandiera in piazza Unità d'Italia a Trieste ( si svolge tuttora tutti i giorni, mi dicono), io ufficiale dell'esercito (di complemento), guidai il mio plotone. Guidai i movimenti classici di un plotone in modo perfetto(mi dissero poi i comandanti). All'ammainabandiera il trombettista non volle aggregarsi. Lo lasciai in caserma. Andò tutto bene. Il Colonnello comandante del Battaglione a cui ero aggregato , il giorno dopo mi chiamò. Come mai non c'era il trombettista all'ammainabandiera, chiese. Non è voluto venire, dissi. Perchè non l'ha punito? Lo osservai bene in viso:”ci sono punizioni peggiori che essere puniti. Sa, in caserma, questi ragazzi si annoiano a morte. Fare qualcosa come presiedere ad un alzabandiera, provare i movimenti e ripeterli dal vivo in una piazza splendida come quella di Trieste, perlomeno è un diversivo. Impiegano membra e mente per qualcosa di utile per se stessi”.
“Perchè non l'ha punito? Ora io dovrò punire lei!”, disse il Colonnello.
“Faccia come crede. Per me la punizione ,il ragazzo, l'ha già avuta. Mi è bastato osservare il biasimo con cui i suoi commilitoni lo hanno guardato di ritorno dall'ammainabandiera. E lui si è vergognato. Non è questione solo di bandiera, signor Colonnello: è questione di essere tutti nella stessa barca. Questo dovrebbe essere un concetto patriottico, credo”.
Il Colonnello non mi punì. Anzi. All'alzabandiera in caserma, il mattino dopo, mi elogiò davanti al battaglione. Perchè sia pure senza trombettiere, era andato tutto bene. E il silenzio dell'assenza della tromba, per sentito dire, era stato più rispettoso della litania del silenzio suonato con la tromba. Dopotutto si trattava di un'ammainabandiera. Non del funerale della nostra bandiera. E il giorno dopo si sarebbe innalzata ancora una volta, garrula nel vento. Con me mezz'assonnato imprecante in silenzio.
Ho raccontato questo episodio perchè in questo momento mi sento come davanti a quel Colonnello. Bisogna parlare con il cuore al paese. Bisogna sentirsi nella stessa barca: lasciare le ataviche furbizie levantine nello scantinato della nostra storia, passata e recente. Educare il popolo, si diceva una volta. Con l'esempio dei più pronti di spirito. E senza aneliti disfattisti. Benchè nel criticare gli altri siamo campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo (cit Martellini).

Solo per la maglia

SOLO PER LA MAGLIA.
In casa. Nulla da fare. Fuori impazza il virus, sia pure in fase calante.
Si pensa molto. Si ricorda molto. I ricordi fluttuano nella mente. Secondo i buddhisti la mente non risiede nel cervello, ma altrove. Non oso immaginare in quale parte del corpo risieda la mente di taluni politici. Me ne farò una ragione.
In questi giorni mi tornano in mente parecchie cose. Una di queste è il calcio. Da ragazzo un po' ho giocato, ma non sono riuscito a fare carriera. Ma poi volevo veramente fare carriera?
Comunque il calcio giocato mi è servito moltissimo. Ero un ragazzo un po' introverso, sempre perso nei miei pensieri, nei miei sogni. Non interagivo molto con gli altri. Sotto questo aspetto sono stato sempre un isolazionista. Il calcio mi ha aperto verso il mondo. Il calcio è uno sport collettivo e al fine del conseguimento del risultato di squadra ti costringe a collaborare anche con chi magari non ti sfagiola troppo. Poi a fine partita e durante la settimana, nemici come prima. Fino a qualdo, lentamente, le tenebre nel rapporto si diradano e o si addiviene ad una scazzottata salutare o cambi aria. Poichè al calcio non si rinuncia facilmente, perchè è la forma d'arte plastica più popolare che esista dalla notte dei secoli, solitamente , con quelli che ti stanno sul groppone, si stabilisce un modus vivendi accettabile per entrambi. Nel calcio metti da parte la tua individualità al fine di conseguire il risultato. Segnare e vincere. Nessun grande campione ha mai vinto nulla senza un portatore d'acqua. Nonostante il talento. Questo mi ricorda molto il fatto che noi come squadra Italia, pur se torneremo ad odiarci, detestarci e criticarci, al fine del conseguimento del risultato finale (battere il Coronavirus), dobbiamo stare al gioco di squadra. Rispettare le regole e stare in casa! Lasciamo la nostra individualità creativa alle mille forme di autoprotezione con maschere per snorkering o ricavate da mutandine di mamme ,sorelle , mogli o fidanzate ( e viceversa, pensando al femminile)...non vogliamo mica lasciare i nostri psicoterapeuti privi di lavoro?
Per me il calcio è il Lecce . Trattandosi di squadra dovrebbe declinarsi al femminile. Si chiama Lecce, al maschile, perchè la società si chiama U:S. Lecce, ossia Unione Sportiva Lecce. Deduzione aristotelica.
Mio padre , nato a Milano da genitori entrambi leccesi ed emigrato al contrario verso la Puglia Salentina, a dodici anni, è stato sempre un grande tifoso del Lecce. E anche del Milan. Poi quando i successi della squadra della città in cui era nato hanno cominciato ad essere usati al fine di giustificare eclatanti carriere politiche, è rimasto con l'unico vero amore che aveva sempre avuto(posto che quando si giocava Milan-Lecce tifava comunque per i giallorossi), il Lecce.
Nel corso degli anni vissuti insieme, ma anche quando per studio o lavoro, rientravo in terra appula da ognidove, si andava a vedere il Lecce. Spesso in B, ma anche in serie A.
Si parcheggiava l'auto dove si riusciva e si percorreva Via Del Mare. Lo stadio, l'infuocato catino che prende il nome dall'omonima via presso cui sorge, lì ad attenderci. Ricordo ogni tipo di sciarpa, cappellino, venduto sul percorso per lo stadio da vari ambulanti con le loro facce olivastre e ridanciane. Ricordo i suffumigi di marijuana salentina dietro i drappelli di tifosi diretti alla mitica Curva Nord. Ricordo l'ingresso nello stadio. Ricordo gli ambulanti con il caffè Borghetti che passavano tra gli spalti. Ricordo il sole che rendeva il verde del prato erboso incandescente prima dell'inizio della partita.
Ricordo, ero ragazzino, il bomber Sergio Magistrelli, barbuto capellone comasco, negli anni '80, avvicinarsi alle aree di rigore avversarie a testa bassa come un muflone impazzito.
Ricordo tifosi e giocatori listati a lutto dopo l'incidente stradale che tolse la vita a due grandi giallorossi, Lorusso e Pezzella.
Ricordo un 3 a 2 in B tra Lecce e Genoa (stagione 2006-07), con un gol spettacolare al '90 del brasiliano Juliano, tutto lo stadio in piedi impazzito e Zeman, allenatore del Lecce, seduto in panchina che fumava impassibile l'ennesima sigaretta come se niente fosse accaduto.
Ricordo gli argentini Barbas e Pasculli quando tolsero lo scudetto dal petto della Roma, andando a vincere all'olimpico, pur essendo il Lecce già retrocesso, guadagnandosi l'ammirazione perenne dei tifosi.
Ricorso Pietro Paolo Virdis che dopo una carriera nei massimi club di seie A ha giocato nelle file del Lecce alcune delle sue migliori stagioni (da stagionato).
Ricordo il bomber uruguagio Ernesto Chevanton che giocò una delle migliori stagioni del Lecce in serie A segnando 19 gol, nel 2003. Tornò poi a giocare a Lecce nel 2012, visto che il suo cuore era stato rapito dalla figlia di uno degli stopper più rocciosi di sempre: Sergio Bruno..leccese doc anche lui.
Ricordo la dolorosa retrocessione in serie C a causa del calcio scommesse. E la pittoresca figura del barbutissimo attaccante italo-belga Davide Moscardelli (ancora in circolazione in B con il Pisa a 40 anni suonati). Memorabile l'episodio di Papini nel campionato Lega Pro 2015, che segna al Benevento ed esulta infilandosi la maschera barbuta di Moscardelli (immagine indimeticabile che ha fatto il giro del web) , in quel momento squalificato e simbolo di fratellanza e unione di gruppo.
Lunghi anni di purgatorio , poi la risalita in B (2017). Oggi in serie A, agli ordini del “Comandante” Liverani.
Con mio padre e mio fratello ci siamo visti tutte le partite di vari campionati nell'inferno della serie C (Lega Pro) , su internet. E c'è gente che da Lecce è andata in trasferta nei mille campi del purgatorio calcistico italico nazionale.
Sicuramente ho dimenticato tanti particolari, tanti bravi calciatori e allenatori, perchè ho scritto questo racconto pescando a caso immagini dal mio caleidoscopio mentale ( uhm, spero che la mia mente fosse nel posto giusto), vai a capire come seleziona i fotogrammi il cervello.
Ma era un omaggio dovuto. Al Lecce e ai suoi colori.
Sapete, io lavoro in un mobilificio e una volta avendo a che fare con un cliente svizzero, mi ha raccontato che suo figlio , nato in Svizzera da genitori svizzeri e senza alcuna origine italiana, teneva per il Lecce. Ma proprio fanatico, aggiunse piccato il padre, non comprendendo la ragione di tanto affetto. Ma io non mi meraviglio. Sono i colori che ti scelgono. Il calore dei tifosi : e i loro mille gruppi e striscioni, compreso il caratteristico “Afrika sballata” e i mille slogan scritti con lo spray e le bandiere giallorosse...Giallo e rosso, i colori della nostra Giamaica nazionale: IL SALENTO!
Ho scritto questo racconto perchè, recluso e tenuto in ostaggio dalla pandemia, nell'ovest milanese, volevo rendere omaggio a mio padre, recluso ad Ostuni, altosalento pugliese. Mi manca molto.
Già, mio padre che mi ha trasmesso il morbo giallorosso. Con i suoi 87 anni il Lecce è rimasta una delle sue poche gioie di vivere. Ho scelto per lui quello striscione in curva che vidi quella volta e che recitava così:” solo per la maglia”. Ed è così che rispondo a tutti i salentini che incontro a Milano e tifano per Milan, Inter o Juve. Dovreste ricordare da dove venite, non foss'altro che : SOLO PER LA MAGLIA.

Seduta spiritica

Seduta spiritica
Mai creduto all'esistenza di un mondo parallelo. Agli spiriti. Credo solo a ciò che vedo. Quando sto male credo a tutto. Ma immagino che ciò derivi dalla vigliaccheria dell'uomo comune. Bene, archiviamo il fatto che io sia un uomo comune e andiamo avanti.
Intorno al '91 svolgevo il servizio di leva come Ufficiale di Complemento in quel di Trieste. Bellissima città, Trieste. Ci hanno vissuto Svevo, Saba e Joyce. Ma anche Elisa, la cantante, Gianni Cuperlo, Cesare Maldini e, di recente, il povero Giulio Regeni. Belle ragazze, una di loro poteva sembrare due ragazze una sull'altra, tanto erano alte. All'epoca c'erano ancora le Osmize, trattorie tipiche dove potevi mangiarti tagliatelle al sugo di capriolo. Il vino era ottimo e la Slovenia era ad un tiro di fionda con le sue aragoste tirate dietro a pacchi a due lire in croce. Nonostante la guerra dei Balcani. Ma era una questione tra Serbi e Croati.
Svolgevo il servizio in San Giusto, battaglione di Fanteria. Addestravo le reclute a marciare a fare giuramenti, sorvolando, complice, sul fatto, che al momento giusto avrebbero gridato “l'ho duro” al posto del patriottico “lo giuro”. Già allora pensavo che il patriottismo si dimostra nella SOSTANZA. E infatti avevo, nonostante la mia giovane età (26 anni), conosciuto abbastanza gente, nella mia vita, ineccepibili nella FORMA, che al momento giusto se la faceva nelle mutande. Mi importava che marciassero evitando che marcissero. Facevo anche qualche lezione di educazione civica. Erano nel programma ma ero l'unico ufficiale a tenerle.
Il resto del giorno si bighellonava e si spendevano i soldi dell'Esercito in cene luculliane o per andare nell'unica discoteca decente della zona. Che era a Monfalcone e si chiamava Hippodrome. Faceva parte di una catena di discoteche internazionali. Un'altra disco della stessa catena dove ci andrò dopo qualche anno era a Londra.
Gli ufficiali che provenivano dalle varie Accademie, di carriera, inizialmente tendevano a non mescolarsi con noi. Noi eravamo ritenuti di serie B. Dovevamo stare un anno e andare via. Loro invece erano destinati a fulgide carriere di attenti e risposo, stipendi consistenti e rischi quasi nulli. In tempo di pace. La cosa più rischiosa che avevo visto fare a qualcuno di loro era pagare una “boccia” (solitamente bottiglie di whiskey) al Circolo Ufficiali (ogni caserma ne aveva uno) per qualche cappellata capitata durante gli addestramenti formali.Parlo sempre in tempo di pace. I veri ardimentosi, si sa, qualche conflitto lo hanno poi affrontato. Ma verso la fine del servizio eravamo diventati amici e fuori dalle mura della caserma si faceva bisboccia insieme. E si scoprivano gli altarini di tutti. Eravamo terribili, noi del complemento. Paradossalmente eravamo molto più abituati alla guerra della vita civile che all'ovattata guerra di chi aveva trascorso gran parte della propria vita in un caserma.
Ma come detto, avevamo molte ore libere. E quando non si usciva avevamo dei locali, noi Ufficiali di Complemento, dove ci riunivamo a cazzeggiare. Specie la sera.
E una di queste fatidiche sere, non ricordo a chi venne in mente, ci mettemmo a fare una seduta spiritica. Non vi dico il mio scetticismo. Decisi che lo avrei preso come un gioco di società. Del resto cosa potevo temere? Le uniche entità spiritiche che avevano popolato il mio alloggio erano state una serie di flatulenze conseguenti ad una dieta a base di leguminose.
Non ricordo adesso in quanti fossimo. Eravamo noi tutti Ufficiali di Complemento. Smontanti, chi stava per congedarsi e montanti, chi era arrivato da poco a sostituirli. Ma per qualche mese si conviveva. Uno di loro, di Alberobello, macilento di natura e nero di carnagione come il carbone, che soprannominavamo “Lo SMILzo”, si incaricò di organizzare la cosa. Scrisse delle lettere su degli appositi foglietti di carta e li dispose sul tavolo. Al centro pose un bicchiere. La seduta si darebbe dovuta, a suo dire , svolgere in questo modo: Due di noi avrebbero messo una mano sul bicchiere e altri avrebbero formulato delle domande. Qualsiasi domanda sarebbe stata lecita.
Cominciammo. Chiedemmo un pronostico calcistico. Il bicchiere sotto la mia mano e quella dello SMILzo cominciò a muoversi verso alcune lettere componendo delle parole. Vi assicuro che il dannato bicchiere, si muoveva.
All'inizio venne fuori che lo spirito che ci rispondeva fosse un avo di uno di noi. Un ufficiale degli smontanti di cui diverrò molto amico in seguito e che adorava la sua ragazza, fissato col fetish del fumo di sigaretta, florido, ridanciano, siciliano, studi di chimica farmaceutica, che chiamerò Germando, sbiancò in viso. L'entità, o quel che era, o lo SMILzo che muoveva il bicchiere disse di essere un suo trisavolo. Componeva parole in latino. Io conoscevo il latino. Lo SMILzo no. Io non avevo mosso il bicchiere. Il bicchiere si era mosso. Ma non poteva essere stato Lo SMILzo. Non conosceva il latino.Io comunque cercavo una spiegazione razionale. Germando continuava a sbiancare. Le parole componevano frasi che per lui e per le sue origini avevano un senso. Tutti ci facemmo seri. Poco dopo le parole diventarono italiane. Una serie di parole che riportavamo su un foglio di carta. La mano mi faceva male. Il bicchiere girava. Che girava era sicuro. Magari eravamo noi che inconsciamente lo muovevamo. Non l'ho mai capito . Venne fuori che in quel luogo in cui eravamo c'era un INSEPOLTO. Chiedemmo spiegazioni. Io guardavo Lo SMILzo sperando che scoppiasse a ridere. Ma non rideva affatto. Un giovane, disse il nome, intorno ad un qualche anno del 1500, in quel luogo era morto bruciato. Ecco perchè INSEPOLTO, disse Germando. Già dissi io. Lo SMILzo non disse niente.
Ve beh. Finimmo la seduta spiritica. Germando tornò negli alloggi tra il perplesso e il sospettoso. Immaginava che io e lo SMILzo gli avessimo fatto uno scherzo. Io e lo SMILzo andammo verso i nostri alloggi. E così altri che non ho citato perchè avevano partecipato alla seduta sonnecchiosamente o sghignazzando, comunque di straforo.
Lo SMILzo mi guardò e disse:” è tutto uno scherzo, ero io che muovevo il bicchiere”.
“Ma tu conosci il latino?”, dissi.
“No, pensavo che in quel momento il bicchiere lo muovevi tu”.
“Io non ho mosso un cacchio”.
“Uhm”, disse.
“Comunque hai visto le facce degli altri. All'inizio ridevano, poi seri, drammatici”, aggiunse.
“Già. Qualcuno però aveva la stessa faccia anche nella versione da normale”.
Lo SMILzo non rise. Strano, pensai.
Il giorno dopo seppi che si era chiuso a chiave nell'alloggio e non si era presentato all'alzabandiera dandosi ammalato. Lo vedemmo due giorni dopo.
Era sorridente. Mi venne incontro:” sei un figlio puttana, ci hai fregati a tutti, con quello scherzo della seduta spiritica”, disse.
“Ma se io non sapevo nemmeno come si faceva, una seduta spiritica”.
“Basta, dai, lo scherzo è finito”.
“Già”,dissi.
Poi lo SMILzo mi guadò e disse:”dai , stasera ne facciamo un'altra?”.
“No, dissi.
“Perchè?”.
“Perchè non ho abbastanza tempo per rompere i coglioni agli umani, figuriamoci se devo pure farlo con gli enti soprannaturali”.
“Serio, dici?”.
Non dissi niente.
Da allora non ho più partecipato ad alcuna seduta spiritica. Ed ho l'impressione che a LORO vada bene così...

Ciao Luis...

Ciao Luis.
Ebbene, Luis Sepulveda non ce l'ha fatta. Ho letto quasi tutti i suoi libri. “Un nome da torero” mi è piaciuto tantissimo. Ma in “Patagonia Express” ci sono alcuni passi per me immortali. Sepulveda incontra Chatwin in un caffè a Zurigo, prima di recarsi in viaggio in Patagonia, una regione che occupa un vasto lembo meridionale del continente sudamericano: “un inglese e un cileno. E come se non bastasse, due tipi con scarso affetto per la parola 'patria'. Un nomade e un esiliato. 'Dio mio'! Qualcuno dovrebbe proibire questo genere di incontri, o per lo meno assicurarsi che non avvengano in presenza di minorenni”. I due restano in silenzio ad osservarsi. E poi, in sequenza:”come fanno due cani quando si incontrano per la prima volta? Non latrano, non uggiolano, non dicono nulla, si limitano ad annusarsi il posteriore, a volte fermi, altre girando.”
Luis Sepulveda ha avuto una vita avventurosa. Dal Cile, dov'era nato, andò in Unione sovietica dalla quale fu cacciato perchè trovato a letto con la moglie di pezzo grosso del Politburo. Tornato in patria, si infervorò alle idee di Salvador Allende e divenne una delle sue guardie del corpo personali. Imprigionato e torturato dagli sgherri del dittatore Pinochet, fu costretto ad espatriare. Poi partecipò alla guerriglia sandinista, in Nicaragua, infine militò in Greenpeace. Prima di diventare uno degli scrittori mondiali più conosciuti.
Un uomo di cui avere rispetto. E che ha vissuto molte vite. Una cosa non ho detto, che invece va detta:scriveva bene. Scriveva degli ultimi. E in qualche modo , evangelicamente, li ha riscattati, facendoli diventare protagonisti dei suoi libri. Gli ultimi saranno i primi. Già, almeno ne ha parlato nei suoi libri.
Metto la testa fuori dalla finestra del bagno. Una signora , mascherina e guanti, apre il cancello elettronico. Seguono due infermieri vestiti e bardati come i soldati di Dart Fener di Guerre Stellari. Uno di loro due spinge una carrozzina sulla quale è seduta una donna anziana. Probabilmente la madre della donna che ha aperto il cancello. Lentamente si avviano verso un'autoambulanza.
La signora anziana è vigile. Sembra lucida. E anche lei indossa una mascherina chirurgica. Le linee nemiche indossano travestimenti familiari. E' un nemico che indossa i panni del tuo vicino di casa. Non puoi far altro che aspettare. E rendere la vita dura “al nemico”.
Rientro dentro e mi metto sul portatile. Ho bisogno di scrivere. Scrivere è la terapia dell'attesa.
Mia madre ha letto sul giornale di Bukowski. Finalmente abbiamo visto una sua foto, mi raccontava al telefono. Poi è andata nella mia stanza. Ha cercato un libro di Bukowski. E si è messa a leggerlo: “A sud di nessun nord”, è il titolo.
Si può entrare in contatto con i propri cari in molti modi. Persino con i libri preferiti di chi, per il momento, non c'è.
Scrivere è magia, per me.
Tempo fa fotocopiai una frase da un libro di Bukowski, “Factotum”, sullo scrivere. La porto piegata nel portafoglio. Fa così:”Se hai intenzione di provare, vai fino in fondo. Altrimenti non cominciare neanche. Potrebbe voler dire perdere la ragazza, la moglie, i parenti, il lavoro, e forse anche la testa. Potrebbe voler dire non mangiare per tre, quattro giorni. Potrebbe voler dire gelare su una panchina del parco, potrebbe voler dire la prigione, potrebbe voler dire la derisione, lo scherno, l'isolamento. L'isolamento è il premio. Tutto il resto è un test di resistenza, per vedere fino a che punto sei veramente disposto a farlo. E tu lo farai. Nonostante i rifiuti e le peggiori probabilità di successo, e sarà meglio di qualunque cosa tu possa immaginare... Se hai intenzione di provare, vai fino in fondo. Non c'è una sensazione al pari di questa. Sarai da solo con gli Dei, e il fuoco incendierà le tue notti. Cavalcherai la tua vita dritto verso una risata perfetta. È l'unica battaglia buona che ci sia.”
Ogni tanto la tiro fuori dal portafoglio e la rileggo. E' il mio talismano. Mi tira su, mi riempie il cuore.
La scrittura deve riempirti il cuore e farti sorridere. Ridere sarebbe meglio...
Anche leggere mi riempie il cuore. Ma devi leggere gli scrittori giusti. Come lo capisci? La pagina che stai leggendo è come se prendesse fuoco. Ecco, i libri di Sepulveda sono così. Persino le sue fiabe, fanno prendere fuoco alle pagine: e senza averci draghi dentro.
Caro Luis, ti immagino seduto in un bar dell'al di là, a fianco a Bukowski. Mentre tutte le altre divinità della terra trapassate cercano di leccare il culo agli Dei intorno per un posto di rilievo anche da quelle parti. Fumate e bevete una birra. Seduti. In silenzio. Mi mancherai molto. Non mi mancheranno le bacheche dei social piene di condoglianze di chi non avendo mai letto un tuo rigo, scaccia la paura del virus, con la gloria del santino della celebrità.

Tecnoleso

Tecnoleso
Eccoci qui. C'è il Coronavirus in giro, ancora. Non possiamo mollare proprio ora. Anche se gli italiani ricordano la barzelletta del pazzo che scavalcando il novantanovesimo cancello dei cento verso la libertà, dice al suo compagno d'evasione: “sono così stanco che torno indietro”.
Ci si organizza per uscire il meno possibile. Uno dei supporti che dovrebbe aiutarti, in questo, è la tecnologia.
Un vecchio libro , “L'uomo a una dimensione”, di Marcuse sosteneva che la rivoluzione industriale ci avrebbe reso schiavi dei consumi. Stiamo parlando del 1964! Naturalmente aveva ragione. Oggi non sappiano rinunciare alla pastasciutta, che innesca un ciclo biochimico insulinico che crea dipendenza. Il colesterolo è alle porte. Ma ci sono I FARMACI! Altre spese. Farmaci per metabolizzare la pastasciutta e combattere il colesterolo. Ma i farmaci hanno effetti collaterali. Che problema c'è? Ci sono I PROBIOTICI, che fanno meno male (ma non costano meno)...e poi c'è il movimento fisico. Non la camminata in campagna. Troppa grazia. PALESTRA...sottotitolo, ABBONAMENTO IN PALESTRA. La palestra è quella catena di montaggio ludica dove devi fare la fila per usare la CHEST PRESS. O come diavolo si chiama. E nel frattempo devi bere un'ENERGIZZANTE. Sennò che FIGO sei? Mentre ti guardi allo specchio(sperando che qualcuna posi il tuo sguardo sulla tua muscolatura da copertina)...Tra parentesi, dove sono le palestre di una volta dove con solo panca e bilancieri si diventava campioni del mondo? Roccky Balboa contro Ivan Drago: tutta la vita BALBOA!
E I GUANTINI? Non vorrai mica che ti vengano i calli usando le macchine da palestra! Poi ti viene uno strappo perchè esageri: che problema c'è? C'è Voltaren. Altre spese. Ma ci vuole una dieta bilanciata ! (per i bilancieri). Ci vogliono CIBI BIOLOGICI! Quelli che costano di più. Ma hanno maggiori componenti nutritive! Ah, dimenticavo: e GLI INTEGRATORI? Mai più senza gli integratori. Dopo tre mesi sei più o meno quello di prima. Con un conto in banca in rosso e nessuna bellona che ti guarda attraverso lo specchio. Quando scopri che più che ai muscoli mira alla tua Credit Card, beh, sei già in protesto!
Ovviamente, dovendo restare a casa, ripeto, ci si attrezza per uscire il meno possibile. Provi a fare la spesa con la carta di credito. Macchè...i circuiti sono intasati, i supermercati non riescono ad evadere gli ordini. Vabbeh, c'è la Cassa Integrazione. L'anticipo. Ma lo devi richiedere. Apri il pc portatile (che fare tutte queste operazioni con lo smartphone ci si sente come King Kong che smanetta sul telefonino di Big Gim in cravatta), scarichi i moduli. Fotografi i documenti. Compili i moduli. Non li puoi compilare. Non hai il dato programma per la compilazione direttamente sul Pc. Cerchi di scaricarlo. Ma è A PAGAMENTO. Ma non mi dire. Paghi, lo scarichi. Non funziona. Due ore per attivarlo. Chiami il numero verde della Banca per un aiuto. Dopo un'ora risponde un'operatrice. Ma va, dice, lo compili a mano, poi lo scannerizza e ce lo invia. NON HO LO SCANNER. Scarichi il programma, dice. A PAGAMENTO. Quello gratis non funzionava, ovvio, ma che... ci provo pure?
Dopo 8 ore forse ho fatto e mando la mail di richiesta per l'anticipo sulla cassa integrazione. La tecnologia libererà l'uomo dagli affanni quotidiani. Ditemi chi lo ha detto che lo metto nella lista dei miei NEMICI! Più tardi devo pagare la rata del condominio. IDEA: bonifico da casa. Scarico l'applicazione della banca sullo smartphone. Ma, indovinate un po'? Ci vuole un PIN e gli unici che possono darti il PIN sono quelli della tua banca. Telefono alla banca. Dopo due giorni risponde qualcuno. Una voce dall'oltretomba. Si può venire in banca solo su appuntamento. Ok, dico. Tra tre giorni, dice. LA TECNOLOGIA LIBERERA' L'UOMO DAGLI AFFANNI QUOTIDIANI.
Esco , vado all'edicola. Compro la Repubblica. Trent'anni che leggo Repubblica. Sul cartaceo. Prendo in mano il giornale. Ne saggio la consistenza, il numero di pagine. CHE BELLA COSA. UNA COSA VIVA. L'ODORE DEL PETROLIO MI INEBRIA LE NARICI.
LA TENOLOGIA, A VOLTE, SPINGE L'UOMO A CAPIRE QUANT'E' BELLO ANDARSI A COMPRARE IL QUOTIDIANO.
Ecco, direi che suona meglio...

giovedì 19 marzo 2020

Vita al tempo del Coronavirus.

Cari amici vicini e lontani. Viviamo tempi bui. Non so se la natura si sia ribellata all'uomo, non so a quale diavoleria stiamo assistendo. So di non sapere. Intuisco che in questo momento bisogna essere umili. Sono in casa con la mia compagna. Lei è venezuelana ed è venuta a stare da me dal 21 febbraio, separandosi dalle sue sorelle, con cui viveva abitualmente in settimana ( mentre prima veniva a stare con me solo nei week end).Cerchiamo di tenerci su a vicenda. Ci alziamo presto e facciamo un po' di esercizio fisico o le pulizie. Poi io leggo e studio , lei parla con i suoi parenti in Venezuela tramite whatsapp. Ieri abbiamo ricevuto dei video da dei suoi parenti, venivano da Caracas e mostravano individui in divisa, forze di sicurezza Bolivariane, che pattugliavano la città muniti di maschere protettive e guanti, armati. Pattugliavano le strade della città e imponevano a tutti di stare in casa e di non uscirvi per alcun motivo, pena l'arresto. In Venezuela ci sono solo 30 casi di Coronavirus e nessun morto. Doveva ancora arrivare lì da loro questo maledetto virus che tutti erano già in giro con mascherine e guanti e si stavano preparando a ricevere il nemico come un esercito ancora in quiete.Io esco da solo a fare la spesa. In due settimane sono uscito due volte. E tutte le volte in cui sono uscito ho visto gruppi di cazzaggiatori solenni che se la chiacchieravano fra loro senza mascherina o guanti e a distanza di pomiciata. Alla Coop tutte le cassiere indossavano maschera e guanti ed erano separate dai clienti da un pannello di plexiglass. Per terra davanti alle casse c'erano delle strisce giallonere ad un metro di distanza l'una dal'altra ad indicare la cosiddetta distanza di sicurezza. Ho preso le cose essenziali, per consentire a tutti di fare comunque una spesa completa, evitando l'accaparramento. Anche se meno compri più devi uscire per rimpolpare la spesa e più esci più rischi. Tornando a casa le traiettorie dei passanti, cazzeggiatori o usciti per spesa o farmacie (le mascherine sono più esaurite di chi se le vuol comprare), si fanno sghembe, ad evitarmi, evitarci. Una volta si evitava la gente perchè la si detestava, e quindi , in un certo senso, per il nostro bene e basta. Oggi la si evita per il bene di tutti. Siamo autorizzati a scansare il prossimo per il bene comune. Paradosso di questi tempi.
Una volta in casa si deve ammazzare il tempo, prima che il tempo ci ammazzi. Mi sono messo a riordinare le mie librerie. Ho prodotto due sacchi enormi di libri inutili o doppioni, che non sapevo di avere, perchè me li compravo non ricordandomi di averne. Quando lavori tutto il giorno non hai molto tempo per ricordarti e nemmeno cercarti libri che pensavi di avere. Quindi te li ricompri. E nemmeno ti ricordi di averli già letti. Che scoperta sconcertante. In un paio d'ore le mie librerie sono rinate a nuova vita. E io mi sono liberato di libri inutili ( o perlomeno inutili per me o a me).E quanti tesori ho ritrovato (dopo ho riletto d'un fiato “Un anno terribile “del grande John Fante).
C'è un'altra cosa che puoi fare quando invece hai tutto il giorno davanti a te. Uscire a fare sport. Io non lo sto facendo, ma dalla finestra di casa e andando a fare la spesa -abito a Corsico, sul naviglio-ho visto branchi di joggers, camminatori e ciclisti impenitenti darsi da fare per smaltire calorie o rilassarsi un attimo. Da censurare, di questi tempi, chiaramente. Ma allora non è vero che nessuno fa sport. Forse non ne abbiamo il tempo, lavorando tutto il giorno. Lavoriamo più dei cinesi, da queste parti! Se lavorassimo di meno e facessimo lavorare i robots al nostro posto realizzeremmo l'utopia perfetta. Ma noi uomini possediamo questa proprietà intrinseca che si chiama stupidità. Caratteristica che si estrinseca nel non sopportare di vedere gli altri felici.
A sera chiamo i miei vecchi al telefono. Sono ad Ostuni, altosalento pugliese e alle loro venerande età pensavano di aver visto tutto. Sono da soli e con i figli a distanza siderale. Siderale non in termini spaziali (mio fratello vive in Emilia e io nel milanese), siderale in termini emozionali. Non possiamo andare a trovarli,per ovvi motivi, viviamo nell'epicentro italiano della diffusione del virus. Loro sono due antiche querce attaccate dal tempo, 87 anni mio padre 83 mia madre. Di solito parlo con mia madre, al telefono. Sere fa mi sono commosso. Ho visto il grembiule che mia madre indossava quando veniva a stare un po' con me a Corsico ed ho avuto nostalgia. Mia madre al telefono , lucida e montalciniana, nel mostrarsi ottimista non ha potuto fare a meno di farmi notare che sta morendo un'intera generazione. La loro. E che anche se loro, lei e mio padre, hanno fatto la loro vita, beh, forse questo non era il momento giusto per titare la cuoia:”sarebbe un casino, non potreste venire nemmeno al nostro funerale. E un mondo senza funerali è un mondo che è morto prima dei morti”. Le lacrime mi sono scese copiosamente, ma al telefono non si vede ed ho mascherato bene la mia voce. Poi ho parlato con mio padre:” Danì, sui giornali, non riportano nemmeno gli allenamenti del Lecce, è tutto fermo”. Già, il Lecce, la sua passione. Una volta mi disse, “figlio mio in questo mondo le ideologie sono morte, lasciatemi almeno il Lecce. Parlo dei colori, nemmeno di società e giocatori che cambiano continuamente”. Quanto mi manchi, Papà. E non so quando potrò riabbracciarti. Riabbracciarvi.
A sera la mia compagna dice le sue preghiere prima di addormentarci. Io sono sempre stato uno scettico. Ma in questo momento mi viene in mente il libro orale di mio padre (la somma dei racconti , detti e aforismi raccontati a me e mio fratello per una vita), mentre dice :” figlio mio, io non ci credo, ma ci penso”. Vi abbraccio tutti.