Sabato,
maggio, fuori quasi trenta gradi. Oggi non lavoro e non posso proprio
perdermi questa splendida giornata di sole. Da Corsico prendo
l'autobus per Romolo. Da lì, dalla fermata della metro, scenderò in
stazione centrale, a Milano. E' il giro classico che faccio quando
vado a Milano e voglio fare il turista pur abitandoci a uno sputo. E
fin qui, nulla questio. Ma voglio fare un esperimento. Porto con me
il libro di Bruce Chatwin, Anatomia dell'irrequietezza. Lo leggerò
in giro, sui mezzi, seduto su panchine di strada, in mezzo al
bailamme della città. Un po' leggerò e un po' osserverò. Sarà
come portarsi con sé un amico. A Corsico salgo sull'autobus 325. Ho
atteso seduto su un muretto, che regge un' inferriata di un piccolo
giardino di palazzi anni '50. Il caldo improvviso ha immediatamente
passerellizzato i marciapiedi e puoi vedere un mucchio di ragazze che
vestono mise provocanti e decisamente al risparmio di stoffa. Mentre
sono seduto inforco gli occhiali da vista, tirandoli fuori dal
marsupio verde militare. Apro il libro di Chatwin e inizio a leggere:
“ In collegio avevo la mania degli atlanti e venivo regolarmente
messo a bando per le storie incredibili che raccontavo. I ragazzi
erano tenuti ad essere tanti piccoli conservatori, ma io non ho mai
capito, né allora né adesso, le motivazioni del sistema di classe
inglese. E nemmeno perchè, nel Guy Fawkes Day, del 1949 i maestri
esortassero a bruciare in un falò l'effige di Clement Attlee, il
primo ministro laburista. Io mi rammaricavo per Attlee e, mai,
neanche nella mia fase capitalista, mi sono indotto a votare
conservatore”. Potrei dire che sottoscrivo, penso. Richiuso il
libro sono salito sull'autobus. Lungo il naviglio mi dirigo, sul
mezzo, verso viale Cassala. Dall'altra parte del naviglio, in mezzo
le acque popolate di imbarcazioni del famigerato circolo canottieri
Olona, una stretta striscia di asfalto affollata di podisti,
camminatori, ciclisti...alcuni a torso nudo. Sull'autobus affronto la
prima parte del libro, dove Bruce narra tramite una lunga e
meticolosa ricostruzione delle origini della sua famiglia. Ma lo
scopo non è affatto quello di accreditarsi provenienze da lombi
nobiliari. Viene da uomini e donne che sono state ai vertici della
società ma anche ai margini e soprattutto da avventurieri e in
particolare parla delle zie , zitelle, una delle quali, Jane, che
aveva fatto l'infermiera, era stata un'artista. Pittrice ,
ritrattista e soprattutto grande lettrice di letteratura moderna.
Diceva che l'inglese con cui scrivevano gli americani era più
limpido di quello degli scrittori inglesi e che adorava la parola
“arse”( culo), letta per la prima volta su un libro di Hemingway. La zia
Gracie invece era amica della scrittrice Eleanor Dorly, che le aveva
fatto conoscere il Circolo di Dublino. In viale Cassala devo scendere
e l'autobus è affollatissimo. Due nere in abiti succinti e occhiali
da sole alla Black Panthers fuori stagione, mi precedono nella
discesa dall'autobus. E una ragazza mora, capelli fluenti, rossetto
viola e cappello da strega con un abito dallo spacco vertiginoso che
mostra un tatuaggio sulla coscia sinistra quasi del tutto scoperta.
Sceso
nell'antro metropolitano, passo il tornello punzonando il biglietto e
scendo sotto verso i treni. Resto in attesa in mezzo ad una Babele di
asiatiche e peruviane. Osservo le asiatiche e le peruviane, le
peruviane e le asiatiche...e alla fine non ne distinguo più la
provenienza, dato l'esotismo dei visi alquanto confinante. Guardo le
ragazze perchè sono più fantasiose nel vestire, più ardite, osano
di più, in mezzo ad un nugolo di ragazzi maschi che vestono tutti
uguali e anonimamente.
Arriva
il treno per Stazione Centrale. Mi siedo appena il treno si ferma,
nel primo sedile entrando a destra. Tutti si siedono nel sedile che
almeno su un lato non confina con nessun altro essere umano. Potrebbe
in questo caso derivare dalla giornata calda e dall'eccessivo
affollamento dei treni dovuto al "Liberi Tutti" lanciato proprio oggi
da tutti i media, riguardo al Covid. Riapro il libro a cui ho fatto
un'orecchia, come ai vecchi tempi e senza improbabili segnalibri.
“ Per
qualche tempo diedi ascolto al consiglio di seguire la tradizione
familiare e studiare da architetto;ma essendo negato ai numeri avevo
probabilità molto tenui di superare gli esami. L'ambizione di
calcare le scene fu stroncata con garbo dai miei,” Direi che quanto
ad assonanze con il sottoscritto, ci siamo in pieno. Mai sopportata
la matematica. E non c'è insegnante che tenga: proprio negato.
Ritorno indietro di qualche pagina per rileggermi con gusto Chatwin
che parla di sua nonna, di Aberdeen, grande giocatrice alle corse dei
cavalli , diceva che i cattolici erano pagani ed aveva un modo molto
incisivo di esprimersi. Una volta di uno che si era affacciato a
guardare nella cabina telefonica mentre telefonava disse che aveva la
faccia come il culo di un bue senza lacoda
a separarla. Sorrido di gusto e tutti intorno mi guardano come un
pazzo. Intenti come sono a non ridere di un cazzo di niente
compulsando i propri telefonini.
Per
arrivare in Stazione Centrale è un lungo viaggio. Lungo le fermate
salgono e scendono a decine. Presto l'aria all'interno del vagone si
fa irrespirabile e l'odore acre del sudore diventa dominante. Non
senza frammischiarsi ai profumi intensi con cui amano farsi il bagno
la maggior parte di coloro che il bagno non lo fanno. E nemmeno la
doccia. Nel frattempo leggo che Chatwin, poco interessato ai libri
per ragazzi che gli capitava di leggere, tentò di scrivere un libro
a sei anni. Il titolo era “sono una rondine” ma non sapevo ancora
scrivere “fili del telefono”, aggiunge. In seguito frequentò
biblioteche che gli schiusero le porte di libri di scrittori di
viaggio: Baudelaire, Li Po e altri vagabondi cinesi, l'immancabile
Rimbaud, Nerval e Blake.
Le
fermate dove sale più gente sono Cadorna e Garibaldi, perchè lì si
trovano gli snodi per le linee della metro di altri colori. Sono
l'unico che legge un libro di carta. Una signora seduta a fianco sta
scorrendo sul cellulare il rullo delle notizie che mischiano
impietosamete l'Isola dei Famosi alle Bombe russe in Ucraina. Ad un
certo punto resto folgorato da un pensiero di Chatwin. Mi pare chiaro
che il libro è una raccolta di scritti, articoli, pagine di diari e
racconti che vanno a formare una sorta di biografia letteraria dello
scrittore, ma è questo pensiero che mi fa affezionare e mi fa capire
la modestia dell'uomo, nonostante i successivi successi letterari: “A
poco a poco l'idea di un libro cominciò a prendere forma. Doveva
essere un'opera sfrenatamente ambiziosa e intollerante, una sorta di
“Anatomia dell'irrequietezza”, imbastita intorno al detto di
Pascal sullo starsene quieti nella propria stanzetta. Il discorso
grosso modo era questo: l'uomo , umanizzandosi, aveva acquisito ,
insieme alle gambe dritte e al passo aitante, un'istinto migratorio,
l'impulso a varcare lunghe distanze nel corso delle stagioni; questo
impulso era inseparabile dal sistema nervoso centrale; e quando era
tarpato da condizioni di vita sedentarie trovava sfogo nella
violenza, nell'avidità, nella ricerca di prestigio o nella smania
del nuovo. Ciò spiegherebbe come societa' mobili come gli zingari
siano egualitarie, libere dalle cose e restie al cambiamento; e anche
perchè, nell'intento di ristabilire l'armonia dello stato
primigenio, tutti i grandi maestri-Buddha, Lao Tse e San Francesco-
abbiano messo al centro del loro messaggio il pellegrinaggio perpetuo
e raccomandato ai loro discepoli, letteralmente, di seguire la via.”
Ma poi, successivamente Chatwin spiega che il libro pur lievitando,
fu considerato impubblicabile e si sentì frustrato e fallito come
scrittore. Già si manteneva lavorando nell'arte, per la precisione
per la prestigiosa casa d'aste Soteby's. Per fortuna, pare dire. Perchè
non si sente affatto competente. Ricordando, anzi, che si sentiva
pervaso di un insano godimento, tutte le volte che individuava negli
oggetti d'arte che i possessori volevano vendere a peso d'oro, che
erano falsi. E questa attività alla casa d'aste, per il fatto stesso
di esaminare centinaia di tele al giorno, secondo lui stesso, gli
procurò un problema al nervo ottico e una temporanea cecità. Che fu
attribuita a problemi psicologici . In particolar modo alla mancanza
di sguardo sui grandi orizzonti. Fu così che cominciò a viaggiare.
“Un pomeriggio dei primi anni settanta, a Parigi, andai a far
visita a Eileem Gray, architetta e designer, che a novantatrè anni
lavorava come niente fosse 14 ore al giorno. Abitava in Rue Bonaparte
e nel suo salotto era appesa una carta della Patagonia. -Ho sempre
desiderato andarci-, dissei. -Anch'io-, fece lei,-ci
vada per me-. -Andai.-”. E fu la sua fortuna, con uno dei più bei
libri di viaggi:” In Patagonia”.
Scendo
in Stazione Centrale ed ho letto, rapito, un bel po' di pagine. Salgo
in superficie su Piazzale Duca D'aosta, trovandomi alle spalle
l'opera littoria della stazione con in cima leoni ruggenti
paralizzati nel marmo. Nella mia mente ancora la scena di poco fa,
mentre leggevo Chatwin:”(passando a Timbuctu) Il visitatore di
passaggio si fa solo due domande: dove troverò da bere la prossima
volta e perchè mai sono qui. Eppure mentre scrivo ricordo il vento
del deserto che frusta le acque verdi; il cielo rivestito da una
lamina di azzurro violento; le donne enormi che dondolano per la
città nei boubous di cotone indaco chiaro; le imposte delle case
dello stesso azzurro violento contro i muri grigio fango;gli uccelli
del paradiso arancioni che tessono i loro nidi a cestello nelle
acacie piumose; i lustri giardinieri neri che schizzano acqua dagli
otri, amorosamente, su filari ci cipolle verdazzurre; i magri,
aristocratici, tuareg, dall'aspetto soprannaturale, con scudi di
pelle colorata e lance lucenti, le facce incorniciate nei veli indaco
che come carta carbone tingono la pelle di un blu temporalesco; i
mori selvaggi con i riccioli a cavatappo; le fanciulle dai seni sodi,
fanciulle bela della vecchia casta schiava, nude fino alle vita, che
pestano nei mortai segnando il tempo con un canto monotono; e le
monumentali dame songhai con grandi orecchini a canestro, simili a
quelli portati dalla regina di Ur più di quattromila anni fa...” e
avevo alzato la testa e davanti avevo un nero del Mali in costume
tradizionale che guardava il telefonino sorridendomi....come se mi
stesse leggendo nel pensiero.
Due
senegalesi mi si avvicinano chiedendomi se voglio qualcosa, qualsiasi
cosa , dalla coca a donne , persino uomini. Imbocco via Vitruvio
diretto verso corso Buenos Aires e a metà circa, una ragazza molto
giovane , in calze a rete da film porno, piena di piercing, bionda,
occhiali da sole, si sta specchiando in un negozietto di cannabis
light.
Una
volta in Corso Buenos Aires, la via dei negozi, una folla di persone
mi sommerge impedendomi quasi di caracollare sul marciapiede. A metà
circa del corso ,siedo su un sedile di legno che fa da corona a una
pianta esotica ornamentale. Accanto a una donna peruviana con due
bambine che strillano giocando con degli album da disegno. Intorno
schiamazzi e traffico. Affronto un racconto di Chatwin, l'ennesimo,
seduto lì: intorno un traffico pazzesco e chiasso insopportabile. Mi
sono abituato da anni a leggere e scrivere in qualsiasi situazione.
Il racconto dal libro in parola, Latte, narra di un americano che
capita da qualche parte in Algeria e in un mezzo bordello conosce una
donna bellissima ma male in arnese, Gerda, ex giornalista poi
abbandonata dal suo giornale lì, licenziata. Diceva che odiava neri
ed ebrei e che anche De Gaulle era ebreo e che amava solo gli arabi.
In quel momento mi si siede accanto un marocchino, con i denti
anneriti, fuma una sigaretta. Alzo lo sguardo sotto gli occhiali da
sole a specchio e lui sgombra con tanto di scuse perchè si rende
conto che mi sta infastidendo con il fumo. L'arabo rispettoso, lo
battezzo all'istante. Ricorda i tanti neri africani con i denti
colorati masticando noci di cola o altro. Per le strade
dell'Algeria, Jeb, l'americano protagonista del racconto, beve latte
da una donna nera macilenta che allatta il suo bambino. Latte di
capra non sterilizzato, a rischio brucellosi. E poi ne chiede
dell'altro, la donna fa sparire la moneta che le dà Jeb sotto il
vestito blu cobalto. Che voglia di latte di capra. Lo trovo all'In's
di solito e lo compro sempre, tutte le volte che faccio la spesa. Mai
bevuto nulla di più dissetante. Mi rimetto in cammino e vicino al
Mac Donad, quasi piazzale Loreto, due gay giovani si scambiano
effusioni. Proseguo per la fermata della metro, dove , di lì a poco,
prenderò il treno per tornare a casa....giusto il tempo per finire
il libro e avere a che fare con i suoi fantasmi viventi.