domenica 18 giugno 2023

Il sol dell'avvenire, di Nanni Moretti

 


Il sol dell'avvenire, di Nanni Moretti.


Dunque, trovate un paio d'ore libere, al Cinema Centrale, in via Torino a Milano, sono riuscito a vedere l'ultimo film di Nanni Moretti. Devo dire che sono entrato un po' prevenuto, perchè le ultime prove di Moretti, il Moretti de “La Stanza del figlio” e “Tre piani”, non mi avevano convinto pienamente. Forse perchè ero abituato al Moretti autobiografico di “Caro Diario” e “Palombella Rossa”, ero abituato al Moretti che, piacesse o meno, metteva in scena il suo sguardo sulla vita, sulla società, persino sulla storia, dal punto di vista di un intellettuale militante del Partito Comunista Italiano . Dato che la mia famiglia viene da quel milieu, un ambiente sociologico base di un partito che ha rappresentato un' affascinante utopia nel panorama dei partiti comunisti del mondo occidentale, capace di produrre quadri dirigenti intelligenti e colti e preparati, che hanno avuto la forza ed il coraggio di tagliare il cordone ombellicale con l'Unione Sovietica, capace di rompere con l'idea che il riferimento del comunismo mondiale dovesse essere quello sovietico, scegliendo una via riformista e originale che, sotto la guida sapiente di Enrico Berlinguer, fatto unico, questo, divenne il più votato partito comunista in occidente ed il primo partito in Italia, all'inizio degli anni '80. Tanto da costringere Aldo Moro a prendere atto di questa forza ed a cercare di coinvolgerlo nella gestione e nel governo del paese. Ma veniamo al film. Giovanni, il semiautobiografico protagonista del film , si prepara a girare un film sulla rivolta in Ungheria, nel '56, quando il popolo ungherese insorse contro il governo filosovietico e i comunisti sovietici invasero il paese nel tentativo, purtroppo riuscito, sanguinoso, molto sanguinoso, di ristabilire l'ordine. Protagonista del film di Giovanni , il regista, è un redattore dell'Unità, organo storico del Pci, interpretato dal bravissimo Silvio Orlando e la sua compagna, militante del partito da tempo immemore, interpretata dalla fantastica Barbora Bobulova. Il redattore comunista riesce ad invitare nel quartiere dove è anche segretario di sezione, un circo Ungherese. Durante lo svolgimento degli spettacoli circensi, la tv trasmette le drammatiche immagini della rivolta in Ungheria e i componenti del circo si schierano con i ribelli ungheresi. Questo fatto pone la moglie del redattore in contrasto con lui, dal momento che gli ideali dei comunisti italiani sono democratici e ben lontani dall'ortodossia sovietica. La sua compagna, quindi, lo spinge a prendere posizione contro il partito. Il film prosegue con il racconto delle vicende biografiche del regista che mentre gira il film si trova alle prese con una crisi matrimoniale. Sua moglie, interpretata dall'ottima Margherita Buy, che è anche sua produttrice, ritiene che lui sia un uomo troppo rigido, troppo impegnativo, troppo autoreferenziale e va da uno psicanalista perchè lo aiuti ad avere il coraggio di lasciare il marito. Qui entrano in scena tutte le idiosincrasie e le ossessioni di Moretti , per i sabot da donna , per esempio, che detesta, perchè il piede della donna se è coperto davanti deve esserlo anche da dietro, la fissa per identificare quartieri romani come scenari ideali per riprodurre la Budapest del '56, segue la moglie che sta producendo il film di un regista giovane di quelli in voga che girano film violenti e ferma una scena , davanti ai finanziatori coreani del film, che doveva prevedere un omicidio, come scena finale, con un colpo di pistola sparato in fronte ad uno dei personaggi. Cita “Breve Film sull'Uccidere” di Kieslowski in cui avviene l'omicidio di un taxista con modalità lunghe e truculente, tali da indurre lo spettatore ad abbandonare per sempre l'idea della violenza, per contro alle facili esecuzioni con pistole automatiche che non fanno altro che esaltare l'amore reale per la violenza dei registi della nouvelle vague del cinema contemporaneo. Scena lunga, intensa , esilarante a tratti, ma che fa riflettere e illustra la posizione di Moretti e la sua idea sulla violenza nel cinema. Ad un certo punto Pierre, un francese che doveva finanziare le riprese del suo film viene arrestato per bancarotta. Il film sulla rivolta d'Ungheria del '56 con le ripercussioni sui comunisti italiani, mostrate nella dinamica di coppia Orlando-Bobulova, rischia così di non essere concluso. La crisi di Giovanni con la moglie nel frattempo si aggrava e lei va a vivere da sola. Ma i due continuano a frequentarsi, perchè lei lo vuole aiutare a concludere il film, nonostante tutto. La scena del dialogo fra i produttori di Netflix, giovani rampanti che parlano quel gergo contemporaneo mix di italiano tecnico e inglese americanizzato e Giovanni, mentre cercano di dirgli che sono disposti a finanziare il suo film con delle modifiche che introducano, per esempio, un momento “what the fuck”, mi ha fatto quasi cadere dalla poltrona in una saletta del cinema completamente vuota, eccetto che per una signora in là con gli anni che a fine film ha detto che si sentiva in stato confusionale, è paradigmatica di quanto alla fine certe idiosincrasie accomunino Moretti con persone come me, per esempio. Non certo per questioni ideologiche ma per decenza linguistica. E questo a prescindere dallo schieramento politico di appartenenza. L'ipotesi Netflix, quindi, tramonta e Moretti si trova a fronteggiare una nuova situazione tragicomica, che vede la sua giovanissima figlia, esecutrice , tra l'altro, delle musiche del suo film, fidanzarsi con un console polacco sessantenne che di nome fa Jerzy. Nonostante tutto sembri andare per le terre, la moglie di Giovanni convince i coreani a finanziare il suo film. Un film che doveva avere un finale drammatico ma che Giovanni cambia in corso d'opera con un capolavoro di contenuti e immagini a dir poco commuovente. Che ha il potere di riconciliare Giovanni e Moretti, con la storia, con il mondo e con tutte le sue inaspettate variabili. Ripeto, un Moretti ai massimi livelli, comico, polemico, satirico, autoironico, in un film dove le risate incontrano le lacrime di commozione con una scena finale catartica. Assolutamente da vedere.




giovedì 8 giugno 2023

Bari parte 4, Basilica di San Nicola, conclusione

 Bari (parte 5). La basilica di San Nicola, conclusione.


Ritrovatomi nello spiazzo antistante la basilica di San Nicola,mi trovo di fronte all'imponente facciata di questa bellissima chiesa visitata molto spesso in passato dai russi, soprattutto per le sue ascendenze ortodosse. Entro nella chiesa e all'interno dell'enorme costruzione ammiro pareti e colonne in stile quasi catacombale, e , per contrasto, il soffitto , decorato di immagini sacre bordate di oro. In questo momento è in corso un matrimonio. Mi trovo proprio nel momento del fatidico sì. Così, Fabio e Iolanda, si sposano sotto gli occhi tripudianti dei parenti e dopo aver fatto la promessa al parroco che li sposa, che, d'ora in poi, andranno a messa ogni domenica. Come riferisce il don...non si sa mai che andando di giovedì, oltre che di domenica, compiano peccato d'eccesso di fede da ostentare...


Al ritorno rifaccio lo stesso percorso, diretto alla stazione ferroviaria. In via Sparano, un tempo si sarebbe ironizzato cambiandole l'accento in Spàrano, riferito alle guerre criminali, ora sembra lontano ricordo, ripasso trovandomi sulla destra la chiesa di San Ferdinando. Fuori c'è un carro funebre. Appoggiati all'auto funeraria, due uomini in completo blu, elegantissimi, sono a contatto col mezzo , piuttosto  svaccati. Sbadigliano della grossa, come questi gesti facessero parte della loro normale routine quotidiana. 


In piazza Umberto mi siedo su una panchina. Dal mio marsupio tiro fuori il pacchetto di toscanelli. Ne prendo uno e lo accendo. Come Pepe Carvalho, il detective di uno dei miei giallisti preferiti, don Manuel Vasquez Montalban. Una coppia di giovani nigeriani, lui più basso di lei, passeggino con bambino annesso si fermano sulla panchina di fronte. Il bambino poco dopo sgambetta verso i vicini scivoli e giochi per bambini. In mezzo a noi un'aiuola con una siepe circolare e al centro una palma filiforme e alta. La nera si avvicina ancheggiando in modo per lei naturale. Ha i capelli raccolti a ufo in un cappellino di lana, jeans e maniche corte.

“Scusa, hai un accendino, per favore?”, mi chiede.

“Certo”, dico.

Glielo do. Lei si accende una sigaretta handmade e mi restituisce l'accendino.

“Sei di Bari?”, mi chiede mentre si allontana.

“No”, rispondo.

“Lo sapevo che non eri di Bari, perchè qui la gente è troppo ignorante”, fa.

Poi mentre fuma rilassata, si dirige verso i giochi, a controllare il suo bambino. Il marito o uomo, fate vobis, resta seduto sulla panchina, stanco, forse reduce da qualche cantiere edile della mattina. Manca poco alla ripartenza per Ostuni, ore 18,30, ed ho il treno alle 19,02. Mentre fumo in santa pace il mio toscanello, sulla panchina alla mia destra si siede un arabo. Mi guarda con circospezione. Ho un viso sconosciuto, occhiali da sole a specchio. Dopo un po' giudica che se ne deve fregare. Si prepara una canna di hashish con dovizia. Per base usa il tabacco di una sigaretta sventrata. Poi gli si avvicina un altro arabo. Si salutano come noi del sud del mondo, mano e baci sulla guancia. Si passano il joint. Alle loro spalle una pattuglia della Finanza chiacchiera, sul ciglio della strada trafficata, di chissà che cosa. Il traffico scorre incessante. Come la vita. Come la morte. Come i matrimoni e i funerali. E i miei pensieri sono fiumi in piena. Pellicole di un documentario su una città che è cambiata, restando, tuttavia, fedele a se stessa.

sabato 3 giugno 2023

Bari (parte tre), Via Sparano, Bari vecchia.

 


Bari ( parte 4) Via Sparano e Bari vecchia.


Continuo a camminare imboccando via Sparano, la via dei negozi delle catene multinazionali. Giovani ragazze in pantaloncini attillati e magliettine corte a lasciar capolinare ombelichi, giovani skaters obesi dopati di MacDonald, due nere nigeriane enormi che ricordano le matrone simboli di fertilità e costrette ad ingrassare per questo, come si incontrano in certi racconti africani di Chatwin, nigeriani magri con magliette colorate e dreadlocks tipo giamaicani. Sui lati della strada un negozio United Colours Of Benetton, di fronte al quale spuntano sedili tondeggianti a forma d basamenti di colonne marmoree mozzate alla base. Poi Swatch, Stroili, Kiko, Tezenis e una serie infinita di negozi grandi firme multinazionali della moda di massa...La strada è un ammattonato grigio-una volta c'erano alberi di palme, trent'anni fa-; a destra svolto per via Abate Gimma e, in fondo in lontananza, si staglia la facciata del teatro Petruzzelli restaurato dopo un incendio di parecchio tempo fa. Vado in direzione del Petruzzelli e poco dopo sbuco in corso Cavour, la strada dei negozi commerciali locali. Prendo a sinistra e attraverso la strada, dirigendomi verso il mare, ammirando il bellissimo teatro Margherita, posto proprio sulle acque marine, un tempo retto da palafitte. Se ne sta seduto sul porticciolo dei pescatori baresi. Mi avvicino al Giardino Fabrizio De Andrè, anch'esso con alcune palme alte e filiformi che ricordano le sagome delle nere africane disegnate stilizzate su batik, ritratte con fardelli in testa e , giusto sulla sinistra, osservo una tettoia che di solito ospita il pescato appena portato in mattinata pronto per essere venduto, ma poiché siamo nel pomeriggio inoltrato, è ora vuoto. In cima alla tettoia, all'inizio della stessa, campeggia una scritta a caratteri corsivi che recita così: “San Nicola proteggici da le rizz vacand”. Sorrido quando la leggo e mi viene in mente che questa scritta è il messaggio scritto nel fumetto del cartoon di questa città e ne rappresenta in pieno lo spirito estrememente ironico e spietatamente autoironico. A destra do uno sguardo al lungomare Imperatore Augusto, che costeggia il mare e mostra i muscoli cementizi di enormi palazzi residenziali, sedi di uffici, condomini di lusso e alberghi. Ma non lo percorrerò, per oggi. Non ho abbastanza tempo, ho un treno da prendere per il ritorno ad Ostuni. Mi infilo, quindi, fra il teatro Margherita e l'ex mercato del pesce, sbucando in piazza del Ferrarese, dove, sulla facciata di un edificio d'epoca, sulla destra, proprio in cima, mentre cammino, mi cade lo sguardo su un orologio enorme, le cui lancette sono ferne sulle 9. Se non ricordo male l'edificio si chiama Palazzo del Sedile e fu sede di consigli comunali ante litteram già nella prima metà del '500. Mi muovo sulla piazza, in mezzo, al centro storico murattiano e intorno ci sono pizzerie e ristoranti, sempre aperti e a sinistra del palazzo del sedile, noto Lo Spazio Murat, edificio che ospita mostre di ogni genere. Passo lasciandomi a destra Matiti, un ristorante che si definisce Bistrot della Pasta. In mezzo ai tavolini protetti da una tettoia, davanti all'ingresso, mi sorride, zigzagando tra i tavoli una cameriera filippina. Mi insinuo tra i vicoli del quartiere murattiano ( da Gioacchino Murat, generale napoleonico, che quando governò queste terre vi lasciò pure un segno indelebile del suo passaggio, se non altro nel dialetto francesizzato). Ad un tratto mi volto a destra e noto un cartello enorme vergato da un enorme scritta a mano che informa: “Panzerotti 2 euro”. Continuo a camminare, tra queste strade di Bari vecchia, e l'ammattonato si è fatto chiaro, color pietra, quasi marmo e passo sotto un ponte che si apre come il boccaporto di un antico galeone da cui potrebbe uscire la bocca di un cannone e per un pezzo esco sul lungomare. Sono diretto verso la basilica di San Nicola. A destra scorgo la muraglia di Bari Vecchia e dietro la muraglia, lassù in alto rispetto alla mia posizione sul marciapiedi del lungomare, un vecchio balcone di una vecchia abitazione mostra garrulo al vento uno striscione sul quale con lettere gotiche c'è scritto: “ QUI NESSUNO E' STRANIERO”. Giro a sinistra, il mare alla mia destra, e ripasso sotto la muraglia, nel mio percorso a serpente, sotto un altro ampio arco, ritrovandomi quasi subito nello spazio antistante la basilica di San Nicola.


Continua...

venerdì 2 giugno 2023

Bari (parte tre) La Feltrinelli.

 


Bari ( terza parte) La Feltrinelli.


Mi dirigo verso la libreria Feltrinelli, che è lì nei pressi, proprio in via Melo, un paio di centinaia di metri. Con passo lento e dinoccolato, un passo sud del mondo di chi è in vacanza ed ha tutto il tempo...e a causa dell'afa, appena attenuata da uno strano vento alzatosi all'improvviso, eccomi entrare nella storica libreria dell'editrice fondata da Giangiacomo Feltrinelli. Dal marsupio verde militare su cui ho infilata una spilletta che rappresenta un caro ricordo, una stella rossa che sormonta le lettere nere bordate d'oro EZLN, Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, donatami anni fa da un militante dell'organizzazione durante un corteo a Milano, per il 25 aprile, tiro fuori gli occhialetti da presbite e comincio a monitorare i libri sistemati negli scaffali o poggiati su banchetti e gradini in bella mostra... Per brevità sintetizzo così: nessun Montalban o Palhaniuk e parecchi Carofiglio e Genisi, due giallisti baresi piuttosto in voga, e vorrei vedere. Seduto su uno scranno da qualche parte dentro il vasto falansterio bipiano della libreria, sfoglio un libro preso a caso. In realtà mi sono messo ad origliare una conversazione fra due signori distinti, dei quali, uno impeccabile, quanto al look, giacca e cravatta, passati non di poco i cinquanta, l'altro più casual, passati invece , lui, quest'ultimo, i sessanta, un po' di chierica al centro della testa, barba incolta da pensatore sofferto. Il pensatore sofferto  sta monologando di politica internazionale, sta parlando della guerra fra Russia e Ucraina, alla luce di un'analisi curiosa quanto originale. Ad alta voce racconta al suo affascinato interlocutore che la guerra non finirà finchè i russi non mollano la presa sulla Siria e non cessano di proteggere l'Iran...E' una questione molto complessa, fa, in perfetto e marcato accento barese, ci sono di mezzo anche rivalità fra diverse famiglie ebraiche...Gli askenaziti, di origine est europea, migrati negli Stati Uniti, molto ricchi...si vocifera che ricattino Biden e non gli permettano accordi con i russi. Spingono perchè Zelensky vinca la guerra totalmente...e poi ci sono i sefarditi, sempre ebrei anche loro, ma di origine araba, molto presenti in Spagna...questi sono di avviso opposto...si vocifera persino del fatto che i sefarditi finanzino Conte e i 5 stelle. L'interlocutore elegante lo osserva con deferenza. Mi piacerebbe creare un gruppo per discutere queste cose con te, dice rivolto al pensatore sofferto. E questo, sorridendo fa, d'accordo, però ti avviso che io non sono un animale sociale, rifuggo le adunate e i gruppi, sono uno che ama confrontarsi con le persone individualmente, conclude. Io sono un registratore, un cronista del pianeta terra, come già detto, e riporto per iscritto tutto quello che ascolto.

Esco dalla libreria e torno verso piazzale Umberto. Lo percorro al centro, diretto verso via Sparano, la Corso Buenos Aires di Bari, per fare un paragone. Solo che via Sparano è completamente pedonale.


Continua...