lunedì 29 maggio 2023

Bari ( parte uno), ricordi de La pantera

 

Bari (Prima parte)


Scendo alla stazione di Bari, un pomeriggio di maggio 2023, ore 15 circa. Fa caldo ma il sole è coperto da strane nubi attraverso le quali riesce con fatica a filtrare rendendo le immagini che mi si parano davanti sotto un effetto seppia, quasi in bianco e nero. Uscendo dalla stazione, davanti, al centro della piazza che si chiama Aldo Moro, c'è una fontana che zampilla e un vento caldo grecale ne vaporizza gli spruzzi facendo sembrare le auto che passano veloci degli ectoplasmi in fuga dagli umani. Sui lati della piazza ci sono alcuni giardini cintati da alcune siepi con al centro delle palme altissime che rendono l'approccio con la città molto africano. Sotto le palme le panchine di pietra sono affollate di giovani multietnici che bevono Peroni piccole e fumano sigarette Winston Blue. Proseguo dritto di fronte a me, la stazione alle spalle, e mi infilo in una strada ammattonata grigia con vari bar sui lati ed al centro panchine stilizzate postmoderne con su seduti vecchi con cappelli tipo panama ma di paglia. Subito mi trovo di fronte a Piazza Umberto, costituita da un'ampia strada pedonale al centro e un mucchio di siepi contrappuntate da palme africane altissime , distribuite geometricemente. Sulle panchine molti africani, nigeriani, senegalesi. Abitano nei pressi e forse il parco è il loro giardino personale sotto casa. Invece di proseguire dritto per il parco della piazza, viro a sinistra, voglio andare a vedere la mia vecchia facoltà, dove mi sono preso una laurea più di trent'anni fa, con il professor Matteo Pizzigallo e Franco Cassano, grande sociologo, in commissione a farmi domande, curioso...tanto per parlare di due grandi menti che non ci sono più. A destra il parallelepipedo d'epoca dell'Università degli studi di Bari, le facoltà di Lettere e Filosofia. Cento metri più in là, sempre sulla destra, la facoltà di Giurisprudenza. Davanti ci sono transenne e lavori in corso e i soliti giardini con degli alberelli striminziti. Non li ricordavo. Salgo le scale del vasto palazzone, tutto sommato in stile tutt'ora moderno, non senza una certa emozione. Davanti c'è una vetrata che reca una scritta che recita così: Facoltà di Giurispudenza e, accanto, Dipartimento di Scienza Politiche. Sono un cronista del pianeta Terra, con gli occhi filmo, con il cervello registro e filtro. Le emozioni mi assalgono all'improvviso. Nello spiazzo interno che si apre fra le ali del palazzone c'è la statua di Minerva. E già all'epoca ti dicevano di non fissarla troppo se volevi laurearti. Sui lati , di fronte alla statua, ci sono delle scale metalliche a vista che portano ai piani superiori. Non le ricordavo. Salgo sulla scala destra e, in cima, sul pianerottolo, ci sono 4 ragazze androgine che discutono animatamente di amori e disamori. Entro scostando la porta a vetri. A sinistra un corridoio con aule chiuse e una invece aperta. E' piena di studenti e si sta tenendo un esame. Due o tre di loro hanno le gambe incrociate ed un principio di dissenteria incipiente. Ridiscendo dalla scala metallica, fra gli sguardi perplessi di alcuni studenti che si stanno chiedendo come mai uno con i capelli bianchi e la faccia da professore che evidentemente non è il bidello, si stia aggirando furtivo per i loro corridoi. Una volta ridisceso dalla scala, mi dirigo a destra, dove c'è Scienze Politiche, una facoltà che rifarei tutta la vita, nonostante non sia foriera di sbocchi professionali certi. Il bidello, molto più giovane di quello dei miei tempi, che si chiamava Gazzillo era tarchiato ed era di Adelfia, mi osserva anche lui con sospetto. Questo è più magro ma ugualmente tarchiato. Entro nella mia ex facoltà e le emozioni tornano ad assalirmi. Sono passati più di trent'anni, ma non è cambiato niente, sul piano laterizio. L'aula “Samarcanda”, all'epoca l'avevamo chiamata così, sempre piena di studenti e diretta promanazione del movimento studentesco “La Pantera”, la seconda a sinistra, è chiusa. Le porte chiuse marrone chiaro bardate di liste metalliche sono il simbolo di un passato che non tornerà più. Non tornerà più quel movimento animato da giovani pugliesi di tutte le province, ma anche lucani, che, emanazione del più vasto e nazionale movimento che prese nome “La Pantera” in onore di un felino scappato da un circo e mai più ritrovato, scesero in lotta contro una legge che voleva privatizzare le università ed emanata dall'allora ministro della pubblica istruzione, socialista, Ruberti. Una quantità assurda di ricordi mi si affolla nella mente, quasi da scriverci su un libro, per quantità e qualità: ricordo le assemblee, durante le occupazioni, con gli atenei di tutt'Italia che ci comunicavano momenti e risultati della lotta via fax ( allora internet non c'era). E ricordo che ci fu un corteo , a Roma, il cui spezzone più numeroso fu proprio il nostro, quello pugliese. E ricordo che sul palco a parlare per tutto il movimento salì, non senza qualche remora ed emozione, un giovanissimo Dario Ginefra ( che diventerà anni dopo deputato del Pd). Ricordo anche, fra le altre cose, che vennero ad osservarci molti giornalisti, lungo il corteo, fra i quali scorgemmo Giuliano Zincone, editorialista di punta del Corriere della sera, di quegli anni. Zincone, avendoci osservati e avendo parlato con noi, in seguito, si accorse che noi dell'università di Bari eravamo i più numerosi e i meglio organizzati. E lo scrisse. Scrisse che la Pantera aveva la testa al sud e che gli atenei che sarebbero stati più penalizzati dalla privatizzazione sarebbero stati quelli meridionali. Ricordo che avevo portato con me il tamburello e che suonai pizziche durante tutto il corteo. E infine, non per importanza, ricordo la faccia d quel lucano che pose a simbolo del movimento della Pantera di Bari, la frase di Corrado Alvaro, che recitava così: la più grande disperazione che possa impossessarsi di una società, è il dubbio che vivere onestamente sia inutile”. La ricordo ancora a memoria. E Google muto! Che faccia che aveva, quel mio amico. Ma non ne ricordo più il nome, come se il vento del tempo ne avesse scolorito i caratteri, di quel nome, scritti con spray rosso su uno dei muri della mia scatola cranica.

Esco dalla facoltà e ritorno in strada.


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