domenica 7 maggio 2023

Anatomia dell'irrequietezza, quasi una recensione...

Anatomia dell'irrequietezza, quasi una recensione.


Sabato, maggio, fuori quasi trenta gradi. Oggi non lavoro e non posso proprio perdermi questa splendida giornata di sole. Da Corsico prendo l'autobus per Romolo. Da lì, dalla fermata della metro, scenderò in stazione centrale, a Milano. E' il giro classico che faccio quando vado a Milano e voglio fare il turista pur abitandoci a uno sputo. E fin qui, nulla questio. Ma voglio fare un esperimento. Porto con me il libro di Bruce Chatwin, Anatomia dell'irrequietezza. Lo leggerò in giro, sui mezzi, seduto su panchine di strada, in mezzo al bailamme della città. Un po' leggerò e un po' osserverò. Sarà come portarsi con sé un amico. A Corsico salgo sull'autobus 325. Ho atteso seduto su un muretto, che regge un' inferriata di un piccolo giardino di palazzi anni '50. Il caldo improvviso ha immediatamente passerellizzato i marciapiedi e puoi vedere un mucchio di ragazze che vestono mise provocanti e decisamente al risparmio di stoffa. Mentre sono seduto inforco gli occhiali da vista, tirandoli fuori dal marsupio verde militare. Apro il libro di Chatwin e inizio a leggere: “ In collegio avevo la mania degli atlanti e venivo regolarmente messo a bando per le storie incredibili che raccontavo. I ragazzi erano tenuti ad essere tanti piccoli conservatori, ma io non ho mai capito, né allora né adesso, le motivazioni del sistema di classe inglese. E nemmeno perchè, nel Guy Fawkes Day, del 1949 i maestri esortassero a bruciare in un falò l'effige di Clement Attlee, il primo ministro laburista. Io mi rammaricavo per Attlee e, mai, neanche nella mia fase capitalista, mi sono indotto a votare conservatore”. Potrei dire che sottoscrivo, penso. Richiuso il libro sono salito sull'autobus. Lungo il naviglio mi dirigo, sul mezzo, verso viale Cassala. Dall'altra parte del naviglio, in mezzo le acque popolate di imbarcazioni del famigerato circolo canottieri Olona, una stretta striscia di asfalto affollata di podisti, camminatori, ciclisti...alcuni a torso nudo. Sull'autobus affronto la prima parte del libro, dove Bruce narra tramite una lunga e meticolosa ricostruzione delle origini della sua famiglia. Ma lo scopo non è affatto quello di accreditarsi provenienze da lombi nobiliari. Viene da uomini e donne che sono state ai vertici della società ma anche ai margini e soprattutto da avventurieri e in particolare parla delle zie , zitelle, una delle quali, Jane, che aveva fatto l'infermiera, era stata un'artista. Pittrice , ritrattista e soprattutto grande lettrice di letteratura moderna. Diceva che l'inglese con cui scrivevano gli americani era più limpido di quello degli scrittori inglesi e che adorava la parola “arse”( culo), letta per la prima volta su un libro di Hemingway. La zia Gracie invece era amica della scrittrice Eleanor Dorly, che le aveva fatto conoscere il Circolo di Dublino. In viale Cassala devo scendere e l'autobus è affollatissimo. Due nere in abiti succinti e occhiali da sole alla Black Panthers fuori stagione, mi precedono nella discesa dall'autobus. E una ragazza mora, capelli fluenti, rossetto viola e cappello da strega con un abito dallo spacco vertiginoso che mostra un tatuaggio sulla coscia sinistra quasi del tutto scoperta.

Sceso nell'antro metropolitano, passo il tornello punzonando il biglietto e scendo sotto verso i treni. Resto in attesa in mezzo ad una Babele di asiatiche e peruviane. Osservo le asiatiche e le peruviane, le peruviane e le asiatiche...e alla fine non ne distinguo più la provenienza, dato l'esotismo dei visi alquanto confinante. Guardo le ragazze perchè sono più fantasiose nel vestire, più ardite, osano di più, in mezzo ad un nugolo di ragazzi maschi che vestono tutti uguali e anonimamente.

Arriva il treno per Stazione Centrale. Mi siedo appena il treno si ferma, nel primo sedile entrando a destra. Tutti si siedono nel sedile che almeno su un lato non confina con nessun altro essere umano. Potrebbe in questo caso derivare dalla giornata calda e dall'eccessivo affollamento dei treni dovuto al "Liberi Tutti" lanciato proprio oggi da tutti i media, riguardo al Covid. Riapro il libro a cui ho fatto un'orecchia, come ai vecchi tempi e senza improbabili segnalibri.

Per qualche tempo diedi ascolto al consiglio di seguire la tradizione familiare e studiare da architetto;ma essendo negato ai numeri avevo probabilità molto tenui di superare gli esami. L'ambizione di calcare le scene fu stroncata con garbo dai miei,” Direi che quanto ad assonanze con il sottoscritto, ci siamo in pieno. Mai sopportata la matematica. E non c'è insegnante che tenga: proprio negato. Ritorno indietro di qualche pagina per rileggermi con gusto Chatwin che parla di sua nonna, di Aberdeen, grande giocatrice alle corse dei cavalli , diceva che i cattolici erano pagani ed aveva un modo molto incisivo di esprimersi. Una volta di uno che si era affacciato a guardare nella cabina telefonica mentre telefonava disse che aveva la faccia come il culo di un bue senza lacoda a separarla. Sorrido di gusto e tutti intorno mi guardano come un pazzo. Intenti come sono a non ridere di un cazzo di niente compulsando i propri telefonini.

Per arrivare in Stazione Centrale è un lungo viaggio. Lungo le fermate salgono e scendono a decine. Presto l'aria all'interno del vagone si fa irrespirabile e l'odore acre del sudore diventa dominante. Non senza frammischiarsi ai profumi intensi con cui amano farsi il bagno la maggior parte di coloro che il bagno non lo fanno. E nemmeno la doccia. Nel frattempo leggo che Chatwin, poco interessato ai libri per ragazzi che gli capitava di leggere, tentò di scrivere un libro a sei anni. Il titolo era “sono una rondine” ma non sapevo ancora scrivere “fili del telefono”, aggiunge. In seguito frequentò biblioteche che gli schiusero le porte di libri di scrittori di viaggio: Baudelaire, Li Po e altri vagabondi cinesi, l'immancabile Rimbaud, Nerval e Blake.

Le fermate dove sale più gente sono Cadorna e Garibaldi, perchè lì si trovano gli snodi per le linee della metro di altri colori. Sono l'unico che legge un libro di carta. Una signora seduta a fianco sta scorrendo sul cellulare il rullo delle notizie che mischiano impietosamete l'Isola dei Famosi alle Bombe russe in Ucraina. Ad un certo punto resto folgorato da un pensiero di Chatwin. Mi pare chiaro che il libro è una raccolta di scritti, articoli, pagine di diari e racconti che vanno a formare una sorta di biografia letteraria dello scrittore, ma è questo pensiero che mi fa affezionare e mi fa capire la modestia dell'uomo, nonostante i successivi successi letterari: “A poco a poco l'idea di un libro cominciò a prendere forma. Doveva essere un'opera sfrenatamente ambiziosa e intollerante, una sorta di “Anatomia dell'irrequietezza”, imbastita intorno al detto di Pascal sullo starsene quieti nella propria stanzetta. Il discorso grosso modo era questo: l'uomo , umanizzandosi, aveva acquisito , insieme alle gambe dritte e al passo aitante, un'istinto migratorio, l'impulso a varcare lunghe distanze nel corso delle stagioni; questo impulso era inseparabile dal sistema nervoso centrale; e quando era tarpato da condizioni di vita sedentarie trovava sfogo nella violenza, nell'avidità, nella ricerca di prestigio o nella smania del nuovo. Ciò spiegherebbe come societa' mobili come gli zingari siano egualitarie, libere dalle cose e restie al cambiamento; e anche perchè, nell'intento di ristabilire l'armonia dello stato primigenio, tutti i grandi maestri-Buddha, Lao Tse e San Francesco- abbiano messo al centro del loro messaggio il pellegrinaggio perpetuo e raccomandato ai loro discepoli, letteralmente, di seguire la via.” Ma poi, successivamente Chatwin spiega che il libro pur lievitando, fu considerato impubblicabile e si sentì frustrato e fallito come scrittore. Già si manteneva lavorando nell'arte, per la precisione per la prestigiosa casa d'aste Soteby's. Per fortuna, pare dire. Perchè non si sente affatto competente. Ricordando, anzi, che si sentiva pervaso di un insano godimento, tutte le volte che individuava negli oggetti d'arte che i possessori volevano vendere a peso d'oro, che erano falsi. E questa attività alla casa d'aste, per il fatto stesso di esaminare centinaia di tele al giorno, secondo lui stesso, gli procurò un problema al nervo ottico e una temporanea cecità. Che fu attribuita a problemi psicologici . In particolar modo alla mancanza di sguardo sui grandi orizzonti. Fu così che cominciò a viaggiare. “Un pomeriggio dei primi anni settanta, a Parigi, andai a far visita a Eileem Gray, architetta e designer, che a novantatrè anni lavorava come niente fosse 14 ore al giorno. Abitava in Rue Bonaparte e nel suo salotto era appesa una carta della Patagonia. -Ho sempre desiderato andarci-, dissei. -Anch'io-, fece lei,-ci vada per me-. -Andai.-”. E fu la sua fortuna, con uno dei più bei libri di viaggi:” In Patagonia”.

Scendo in Stazione Centrale ed ho letto, rapito, un bel po' di pagine. Salgo in superficie su Piazzale Duca D'aosta, trovandomi alle spalle l'opera littoria della stazione con in cima leoni ruggenti paralizzati nel marmo. Nella mia mente ancora la scena di poco fa, mentre leggevo Chatwin:”(passando a Timbuctu) Il visitatore di passaggio si fa solo due domande: dove troverò da bere la prossima volta e perchè mai sono qui. Eppure mentre scrivo ricordo il vento del deserto che frusta le acque verdi; il cielo rivestito da una lamina di azzurro violento; le donne enormi che dondolano per la città nei boubous di cotone indaco chiaro; le imposte delle case dello stesso azzurro violento contro i muri grigio fango;gli uccelli del paradiso arancioni che tessono i loro nidi a cestello nelle acacie piumose; i lustri giardinieri neri che schizzano acqua dagli otri, amorosamente, su filari ci cipolle verdazzurre; i magri, aristocratici, tuareg, dall'aspetto soprannaturale, con scudi di pelle colorata e lance lucenti, le facce incorniciate nei veli indaco che come carta carbone tingono la pelle di un blu temporalesco; i mori selvaggi con i riccioli a cavatappo; le fanciulle dai seni sodi, fanciulle bela della vecchia casta schiava, nude fino alle vita, che pestano nei mortai segnando il tempo con un canto monotono; e le monumentali dame songhai con grandi orecchini a canestro, simili a quelli portati dalla regina di Ur più di quattromila anni fa...” e avevo alzato la testa e davanti avevo un nero del Mali in costume tradizionale che guardava il telefonino sorridendomi....come se mi stesse leggendo nel pensiero.

Due senegalesi mi si avvicinano chiedendomi se voglio qualcosa, qualsiasi cosa , dalla coca a donne , persino uomini. Imbocco via Vitruvio diretto verso corso Buenos Aires e a metà circa, una ragazza molto giovane , in calze a rete da film porno, piena di piercing, bionda, occhiali da sole, si sta specchiando in un negozietto di cannabis light.

Una volta in Corso Buenos Aires, la via dei negozi, una folla di persone mi sommerge impedendomi quasi di caracollare sul marciapiede. A metà circa del corso ,siedo su un sedile di legno che fa da corona a una pianta esotica ornamentale. Accanto a una donna peruviana con due bambine che strillano giocando con degli album da disegno. Intorno schiamazzi e traffico. Affronto un racconto di Chatwin, l'ennesimo, seduto lì: intorno un traffico pazzesco e chiasso insopportabile. Mi sono abituato da anni a leggere e scrivere in qualsiasi situazione. Il racconto dal libro in parola, Latte, narra di un americano che capita da qualche parte in Algeria e in un mezzo bordello conosce una donna bellissima ma male in arnese, Gerda, ex giornalista poi abbandonata dal suo giornale lì, licenziata. Diceva che odiava neri ed ebrei e che anche De Gaulle era ebreo e che amava solo gli arabi. In quel momento mi si siede accanto un marocchino, con i denti anneriti, fuma una sigaretta. Alzo lo sguardo sotto gli occhiali da sole a specchio e lui sgombra con tanto di scuse perchè si rende conto che mi sta infastidendo con il fumo. L'arabo rispettoso, lo battezzo all'istante. Ricorda i tanti neri africani con i denti colorati masticando noci di cola o altro. Per le strade dell'Algeria, Jeb, l'americano protagonista del racconto, beve latte da una donna nera macilenta che allatta il suo bambino. Latte di capra non sterilizzato, a rischio brucellosi. E poi ne chiede dell'altro, la donna fa sparire la moneta che le dà Jeb sotto il vestito blu cobalto. Che voglia di latte di capra. Lo trovo all'In's di solito e lo compro sempre, tutte le volte che faccio la spesa. Mai bevuto nulla di più dissetante. Mi rimetto in cammino e vicino al Mac Donad, quasi piazzale Loreto, due gay giovani si scambiano effusioni. Proseguo per la fermata della metro, dove , di lì a poco, prenderò il treno per tornare a casa....giusto il tempo per finire il libro e avere a che fare con i suoi fantasmi viventi.




 

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