mercoledì 7 dicembre 2022

Roma

 Con il treno Italo, in tre ore sono a Roma, un sabato di dicembre. Ci starò due giorni. Sceso alle 11,25 in stazione termini prendo la metro per andare a trovare Ros, un mio amico di vecchia data, saranno trent'anni che non lo vedo. Compro un biglietto per usare tutti i mezzi che voglio per 48 ore. Lo punzono ed entro nella metro, direzione Jonio , devo scendere a Libia. Ho dato prima un occhiata alla libreria immensa in Termini, quintali di volumi affastellati gli uni sugli altri e fuori in vetrina pannelli pubblicitari degli scrittori di grido che fanno i soldi scrivendo....ma chi ci crede, ormai non legge proprio più nessuno e questi per sbarcare il lunario devono fare trasmissioni tv, ospitate e omaggiare Bruno Vespa e tutti i suoi libri, che diciamolo, non è che in una biblioteca ideale sarebbero immancabili! I ritmi dei viaggiatori metropolitani romani sono caotici come in tutte le metropolitane ma rispetto a Milano, ad esempio, se la prendono calma, pur nel caos generale, le camminate non sono nipponiche, hanno l'aria di avere tutto il tempo del mondo, sembrano i padroni del mondo (Cit), camminano come i cowboys dei western di John Wayne, poi magari sono celiaci, allergici al lattosio, vegani, vegetariani, vegetaliani, ma cavolo, almeno hanno l'aria di chi, la produzione? Può attendere. A Milano no, la produzione non può attendere, il fatturato prima di tutto, poi tutto il resto. I treni della metropolitana romana sono anonimi, colori stinti, la gente seduta multietnica come in qualunque capitale europea. Scendo in Libia, e faccio qualcosa come sei piani di scale mobili, mi sento uscito da una catacomba, che a farle tutte a piedi, se fossero scale normali manderebbero in pensioni generazioni di maestre di zumba e chiuderebbero le loro palestre e i corsi e tutto il corredo di dinamico entusiasmo endorfinico che gli dura cinque minuti, prima di andare al supermercato. Esco da Libia e sta piovendo, avevo comprato un ombrellino da 5 euro in Termini da un cingalese che era stato due giorni a consultare Meteo sul cellulare per vedere se gli ombrelli dei bassi napoletani di cui era fornito si potevano vendere e quando. Con l'ombrello percorro a piedi strade del quartiere africano, asfalto sgretolato, edifici fatiscenti, graffiti insignificanti nei confronti dei quelli quelli primitivi sembrano leonardeschi. In via Ogaden c'è Lampo, negozio di import export con la Birmania di manufatti e argento e bigiotteria e il negozio è chiuso, con la saracinesca abbassata. Chiamo Ros al telefono e mi dice che espone la sua mercanzia, i suoi gioielli fatti a mano da lui medesimo in leghe di rame e argento 99, 99 per cento, al Centro sociale Brancaleone. Consulto Google Maps e vedo che è di lì a venti minuti sulla Nomentana a piedi. Mi dirigo da quelle parti. Pioviggina alla londinese e attraverso strade dove ci sono ancora fontane con il fascio scolpito e la fatidica scritta spqr, gli autobus rossi sono gravidi di ogni tipo di umanità persa ormai nei meandri dei propri cellulari di ultima generazione e non guardano ormai più fuori dai finestrini, e il traffico automobilistico è intenso. Arrivato in loco, scorgo un'abitazione a due piani, fuori bei graffiti, di una donna giapponese o giù di lì, ritratta di schiena, gigantesca, sulla facciata. all'ingresso le ragazze strappano biglietti per la consumazione dei vini-sembra di siano assaggi di cantine laziali prestigiose all'interno-per 10 euro. Mi salutano dandomi del lei e con deferenza....e questo perchè sono vecchio ma ancora non lo capisco perchè la mente è rimasta a quand'ero ragazzo e viaggiavo in sacco a pelo, non mi percepisco anziano, sindrome da Peter Pan, dicono si chiami, io la chiamo, sindrome di chi non s'arrende alla decadenza delle carni. Chiedo di Ros, alle ragazze al'ingresso, sulla destra dell'ingresso c'è scritto Anpi e altre cose che ricordano associazioni di sinistra che sono diventate industrie per fare soldi...Salì su, ed è sulla destra. Il palazzetto è a tre piani e giù nel seminterrato c'è l'area dove si dibatte e mangia e si beve, con tutta l'aria che il dibattito riguardi cosa si mangia e cosa si beve o su cosa si deve fare per incentivare l'artigianato o proteggere il verde pubblico, mentre cerchi di ricordarti dove hai parcheggiato l'auto a diesel che scaracchia fumo neanche Polifemo fumasse un sigaro. Salgo per le scale e sulla destra, vicino ad una finestra vedo Ros. Sono passati trent'anni ma lo riconosco pur dietro quel suo viso dimagrito, la lieve pelata al centro dei capelli, rimasti lunghi a mezz'altezza, come quand'era un figlio dei fiori e vendeva quadretti a Vienna e stava con una tedesca che una volta mi raccontò, doveva viaggiare e lo lasciò solo e lui stette tre giorni con un suo amico, tornando lei e vedendo il letto intonso lo accusò di essere stato fedifrago e per tutta risposta lui le disse, cosa credi di avere a che fare con un italiano tipico che viaggia con la valigia di cartone e mangia spaghetti e fuma nazionali senza filtro? Guarda che io non t'ho chiesto dove andavi e a fare cosa e adesso mi accusi di queste cose che non ho commesso. Dieci minuti dopo era in viaggio per qualche altro pizzo di  mondo, come ama dire lui intercalando in romanesco, romano magari si manesco mai. Sempre alto, magro, allampanato, giubbotto elegante e scarpe comodo, come di chi è abituato a camminare a piedi e le scarpe sono un suo strumento di lavoro-queste sono la mia macchina, dice di solito riferendosi alle sue scarpe comode ed eleganti, tipo da trekking ma più da jogging  ( non mi chiedete la marca perchè io non sponsorizzo nessuno nemmeno a pagamento). Ci abbracciamo e subito lui tira una boccata alla sua sigaretta elettronica. Non fumi più, gli chiedo. No, con questa ho risolto, posso pure scendere sott'acqua tre metri. E i chili persi, chiedo. Fa parte del mio lavoro. Il mio lavoro consiste nell'essere lucidi sempre, mangiare e bere molto appesantisce oltre che il corpo i pensieri e ricordato che ti ho detto che ho comprato un pezzo di terra in Costarica e ci andrò a vivere un giorno, costruendomi una casa, proprio lì, perchè il terreno è sul mare e a 94 anni comincerò a leggere sdraiato sul mare e comincerò indovina da cosa? Proprio dai tuoi libri , dal maresciallo Santoro, mi dice sorridendo. Poi mi presenta un ragazzo, uno della generazione z, vestito in jeans e corpetto di tutta con cappuccio che fascia la sua testa popolata da lungi capelli castano chiari, che gli fa da assistente non ci vuol molto a capire che lui al ragazzo gli fa da padre. Ne ho conferme poco dopo quando il giovane si allontana e mi racconta che è un ragazzo abbandonato dal padre e che canta e che ha anche fatto x factor e che non ce l'ha fatta perchè quando mai ce la fa un ragazzo senza padre che non ha santi in paradiso pure se ha una voce angelica sia pure da rocker? Poi, dato che si è fatta una certa e lo stomaco brontola, rimembrando una biografia di Che Guevara in cui si raccontava che il cubano mangiava tutto quello che poteva quando poteva, negli anni di studente e scapestrato, chiedo ad una ragazza dove posso mettere qualcosa sotto i denti e lei con accento salentino mi dice che con il biglietto d'ingresso posso assaggiare tutti i vini che voglio, dabasso e che lì giù, negli scantinati, nel seminterrato, c'è la cucina e posso gustarmi le delizie di qualche buon piatto casereccio alla modica cifra di 5 euro. Mi da un bicchiere a calice che io posso tenermi tutto il tempo che voglio e riempire senza soluzione di continuità. La ragazza è di Trepuzzi e si meraviglia che riconosce l'accento ma le dico che pure io sono di quelle parti pure se vivo a Milano e sono lì per incontrarmi con Ros e che non lo vedevo da trent'anni. Scendo al piano di sotto da scale trucide e lungo pareti abbrustolite dal carbone e subito noto un bar e un gruppo di tavolini e più avanti un largo spazio pieno di gente e davanti alla gente un palco dove un'intervistatrice , a turno, invita tutti i convenuti dell'arcipelago associazionista e degli espositori e gli pone le solite domande di rito cui seguono le solite risposte di rito, che il mondo cambia e nessuno li capisce e che alla gente non frega proprio niente dell'inquinamento e del riscaldamento globale, tutti lì intenti a seguire con il piatto in mano ricolmo di arrosto con patate al forno e il calice pronto in mano per brindare all'eterno esercito degli incompresi. Seguo la scia di gente con i piatti finchè non giungo ad una finestrella da dove escono senza soluzioni di continuità piatti con ogni ben di dio compresi fagioli al sugo, arrosti e persino tacos, che poi che cacchio so sti tacos, come dice uno lì in fila, na frittatina! Lì a fianco un signore di mezz'età raccoglie le ordinazione e strappa ricevute. Faccio la fila e chiacchiero con un pò di gente in fila. La donna dentro la cucina mi si rivolge, nel turbine dello spadellamento continuo a velocità supersonica neanche Chaplin in Tempi Moderni. Io dico che cì sono prima dei ragazzi da servire, prima di me e uno di questi, simpatico e con accento romano che pare d'antan ma rivisitato ad uso moderno, mi ringrazia in modo quasi eccessivo. Ma perchè, dico, non siete abituati da ste parti a simili risvolti educativi? No, dice lui, non è questo, è che queste cose migliorano il karma, poi ti ritornano indietro in beneficio moltiplicato pe dieci. A beh, dico, se è così. Qualche minuto dopo col mio piatto di arrosto misto e patate al forno e carote e una fetta di pane casereccio, ringrazio la signora di mezz'età che è lì dietro quelle finestrella a spaldellare in cucina, che sembra una vecchio stile feste dell'Unità e pure lei resta sorpresa del fatto che le dica, complimenti, molto celere e abbondante nel riempire i piatti. Torno su con il piatto non dimenticando un rabbocco di rosato di una qualche cantina di uno stand lì nei pressi. Ripercorro la scala e torno da Ros su di sopra. Lui è ancora lì, vicino al banchetto con i suoi gioielli di bigiotteria artigianale manufatti da lui e il ragazzo seduto a fianco che mangia un piatto di salumi e formaggi. La bionda di Trepuzzi è al suo posto, probabilmente una studentessa universitaria fuori sede che presta la sua opera al circolo chiamato centro sociale non certo per accezione extraparlamentare ma più fighetto-associazionistica tipo club, dispensare calici per gli assaggi. Ros mi mostra un video con il suo terreno in Costarica da cui è separato da una compagna e da un figlio liceale, perchè dice, non potevo abbandonarli, devo badare a loro, facendomi capire che che il concetto di famiglia può avere molteplici e non scontate definizioni, al di là delle abituali convenzioni sociali. Capisco che lui è lì anche per lavorare e dico che vado a farmi un giro per Roma, prima che faccia buio e così mi accompagna alla fermata dell'autobus, sulla Nomentana, il 66. Lungo la strada parliamo e anche vicino alla fermata dell'autobus che va in Termini-perchè io funziono così, devo avere un centro di gravità permanente da cui partire e a cui tornare e a Roma è Stazione Termini. Piove e non piove ci fermiamo alla fermata del 66 in attesa dell'autobus. Passa circa mezz'ora ma in mezz'ora un uomo può raccontarti una vita e un uomo come Ros che di vite ne ha vissute mille può fare questo ed altro. Lì sotto una pioggerella intermittente mi racconta che c'è fuoco sotto la cenere e che il problema di Roma e dell'Italia sono due: in primo luogo il Vaticano, che sugge da dovunque alla mammella dello stato e che impedisce qualsiasi sviluppo sotto il suo controllo e in secondo luogo la natura degli italiani che non capiscono il collettivo e giocano ognuno per se' e se possono fregarti ti fregano, è tutto lì il problema, la natura antropologica dell'italiano. Lui di Gaeta d'origine ma anche bolognese, con un padre ferroviere, non poteva non vivere come ha vissuto, in giro per il mondo, sempre con le valigie pronte, perchè è suo padre ferroviere che gli ha trasmesso il morbo e che lui nel dna c'ha le rotaie. Però a Roma è dove si è fermato a lungo perchè ha trovato l'amore e ora la paternità...quando meno se l'aspettava. E non far mancare nulla alla sua famiglia è il suo imperativo categorico come qualunque padre, anche uno che morde il freno è ha le rotaie che lo chiamano e scivolarci su come ruote di treni in movimento. Anche perchè, mi dice pindaricamente come suo stile e come lo stile dei grandi narratori orali cui lui appartiene, sti ragazzi del Centro Sociale lo hanno chiamato quasi pregandolo, per riempire le iniziative del Centro per quella giornata e lui non ha saputo dire di no, Mentre parliamo riceve una telefonata dal ragazzo che è rimasto lì a custodia della mercanzia al Centro e gli chiede quanto deve far pagare degli orecchini. Non meno di trenta euro, dice Ros, lì c'è lavoro per sessanta euro, fagli lo sconto, stiamo parlando i manufatti unici che non troveranno in nessun luogo mai perchè lì ho creati io, e chiude la telefonata, dicendo, vedi, Danì, devi sempre stare lucido, devo badare a tante cose, la notte stare al computer per ordinare l'argento che viene direttamente dalla Birmania, che per due anni col Covid siamo stati fermi e poi io più tardi devo stare con la mia compagna e mio figlio, perchè poverelli non mi vedono mai e forse stasera andiamo a  cena da quel regista, aspè, come si chiama, che ha insistito perchè andassimo ma non c'ho voglia ma ci devo andare, capisci, perchè così loro, si svagano un pò, ma proprio poi il regista mi ha chiamato che vuole che andiamo a tutti i costi, ma domani ci vediamo, dopo le quattro sto al negozio, dice...e io lo lascio parlare perchè so che è tutto vero quello che dice, anche se non sembra o anche se sembra che lo faccia apparire vero, ma lo so che è vero, perchè lo conosco e lui con me non ha bisogno di fingere...perchè, pure, dice, c'ho un sacco di cose da fare e pensa che Rocco Papaleo vuol venire da me e stare un mese in negozio perchè gli piaccio come vendo la roba e che vuole apprendere da me quel modo di fare e le mi espressioni gergali per una parte che vuol fare...ma mò io devo pure tenere questo fra i maroni. E mentre parlano passa una coppia su una moto di quelle moto chiamati scooteroni e la ragazza dietro si volta per salutarlo, dicendo ciao Ros, e io lì meravigliato di come in una metropoli come Roma lo riconoscano per strada e lo salutino, in mezzo a qualche milione di persone, incredibile...Poi arriva l'autobus e io sto per salire e lui mi fa, ci vediamo domani, che ci tengo e ricordati, non voltarti mai indietro, nella vita, quello che è passato è passato, devi guardare sempre avanti e pensare che a cent'anni te ne starai sul mare a leggere tutti i libri che non hai mai letto...

Scendo a Termini. Col mio zaino infilato in spalla, il giaccone verde di mio padre, prendo il primo viale sulla sinistra e scendo verso il centro. La stazione si presenta con il suo corredo di puttane, spacciatori e ambulanti, la solita corte dei miracoli che popola tutte le stazioni del mondo delle grandi città del mondo. Giornata variabile, 18 gradi e nuvole dietro cui capolina il sole, fra un rapido scroscio vaporizzato d'acqua, clima irlandese. Passo sotto degli alberi e incontro subito un corteo di studenti e cobas. E' una manifestazione contro l'invio di fondi per la guerra in Ucraina e per l'aumento dei salari. Le due cose sono collegate. Passo in mezzo allo spezzone in coda. Potere al Popolo, Rifondazione e altre organizzazioni della sinistra radicale. Sono giovani, alcuni megafonati e urlano slogan contro il governo Meloni. Intorno a guardia delle strade che potrebbero portare ai palazzi del  potere ministeriale, ci sono cellulari della polizia e poliziotti che fumano e chiacchierano, ridono. Una tranquilla giornata in cui non succederà nulla a parte una buona dose di straordinari in busta paga. Scendo ancora e dopo 100 metri a sinistra scorgo il colosseo. Percorro una stretta strada che mostra in fondo un ponticello metallico che la attraversa. Già da lontano vedo il ponte formicolante di innamorati che ci passano su sostando per il classico selfie con lo sfondo del Colosseo, che si staglia lì in fondo, imperituro e corroso dal tempo. Un monumento alla barbarie che potrebbe rappresentare l'antesignano simbolo dello sfogo popolare di una violenza conclusa all'interno di questa cerchia muraria e che oggi ha il corrispettivo degli stadi di calcio, lì dove la violenza verbale cerca di stemperare catarticamente tutto il disagio dell'esistere senza contare niente e che qualche volta sfocia nella medesima violenza gladiatoria. Penso dentro me che il corteo antagonista sfila per le strade di Roma mentre al Centro sociale si svolge la kermesse delle cantine sociali e le interviste sul palco di voci che sono venute a noia a se stesse  e che non sanno incidere più in niente, come invece sapeva fare Pasolini, un gigante della provocazione che era capace di scuotere un paese. Messo a tacere dal potere di cui aveva smascherato i meccanismi più di qualsiasi politico d'opposizione. Del resto uno che si dichiarava omosessuale negli anni '50 in un Italia che doveva parere il quotidiano Qatar, ne doveva avere di attributi. Che splendida contraddizione che gli attributi di un paese dovessero essere mostrati da un gay mentre i machos spaccaculi della sinistra lavoravano al loro futuro di fondazioni e club amatoriali e autoreferenziali. Che questo è ormai diventata la sinistra in questo paese, cortei di studenti che indossano scarpe da 200 euro col megafono in mano a inneggiare ad un proletariato che li odia profondamente, proteso com'è nel divenire piccolo borghese e a difesa della pizza il sabato sera e del calcio su Sky,  e Centri sociali che fanno festicciole per carbonari che schifano le carbonare. Ognuno da sè e avanti popolo alla rincorsa. Passo sotto il ponticello che sta proprio di fronte al Colosseo. Sopra c'è una bionda curvy vestita di nero lungo che si fa fotografare da una sua amica che scatta con una macchina fotografica che sembra d'altri tempi. Al termine si baciano in bocca. Prendo a destra per via dei fori imperiali, e mi immergo nelle vecchie rovine romane che rendono questa città un teatro a cielo aperto. Uno zigano suona il suo triste e malinconico violino e più avanti un cantautore irlandese suona cover di pezzi rockeggianti vendendo i suoi cd autoprodotti, mentre sorride alle turiste strizzadogli l'occhiolino. Pieno di gente, di turisti, anche a quell'ora del pomeriggio che volge ormai al tramonto di una giornata che si preannuncia corta di sole. Trovo il milite ignoto sulla sinistra e lo oltrepasso, voltandomi a guardare la scalinata piena di gente e di telefonini i cui flash fanno sembrare la scena natalizia e la scalinata un gigantesco albero di natale con le sue lucine intermittenti. Il balcone di Piazza Venezia è di fronte alla mia sinistra. Da lì Mussolini arringava le folle e dichiarava le guerre. Sembra tutto diverso dal vero, rispetto ai documentari in bianco e nero che ora ti sembra buffo che la piazza sia popolata di turisti che fanno foto e autobus a due piani e taxi e qualche auto blu con autisti di onorevoli che girano a vuoto per la città in attesa di essere chiamati per accompagnare le eminenze presenti e future. Prendo dritto e per intuizione topografica risalente alle mie precedenti visite romane, so che incoccerò nella Fontana di Trevi. E di fatti, poco dopo, entrando da una stradina laterale colma di gente che si fa selfie persino con un cornetto in mano, ecco che improvvisamente come un'apparizione, che tale è la sensazione quando vedi qualcosa di bello che non scorgi da lontano avendo il tempo di assaporarla ma ti si para davanti come un flash abbagliante e abbacinante, la Fontana di Trevi mi appare in tutto il suo splendore e il rumore di fondo degli scrosci d'acqua...Intorno una marea di gente, molti stranieri, tutti senza mascherina perchè il covid è sconfitto nella paura di morire là dove prima prevaleva la paura di vivere, che sembra improvvisamente soppiantata da questo vitalismo di reazione. Troppa gente, quasi non ci riesce ad avvicinare alla fontana, in quella stretta piazza piena di pizzerie da pizze al trancio...Osservo la Fontana e ricordo la scena del film in cui Totò vendeva la Fontana ad un malcapitato turista italoamericano mentre Peppino sulla balaustra si godeva la scena dell'ambulanza che portava via il turista come pazzo. Indosso la mascherina, l'aria è rarefatta, l'anidride carbonica batte l'ossigeno 10 a 0 , questi turisti che a migliaia, centinaia di migliaia, affollano Roma, nonostante possa sembrare assurdo, rappresentano un problema di impatto ambientale che mi fa apparire non così tanto assurda la politica del numero chiuso di turisti a Venezia. E forse sarebbe il caso di introdurlo anche in certe spiagge estive dove la massa sconsiderata di lettini su cui sono distese signore impomatate di oli solari allarga il buco nell'ozono più degli scappamenti delle auto in coda sulle tangenziali. Lascio Fontana di Trevi e faccio un pezzo indietro. Passo in alcune stradine laterali piene di baracche dove vendono libri usati. Do una rapida occhiata. Vedo dei libri di Hemingway che non ho. Ne chiedo il prezzo. 4 libri dieci euro, dice l'indiano che gestisce la baracca. Probabilmente non sa neanche chi fosse Hemingway. Prendo Isole nella corrente, Morte nel pomeriggio, Di là dal fiume e tra gli alberi, Avere e non avere. E probabilmente Hem è uno scrittore che mi assomiglia se non altro per il suo background di machismo derivante dalle mie lontane escursioni di caccia con mio padre. Camminare e osservare tutto il circostante, isolarne i particolari deriva probabilmente dall'abitudine alle cacce seguendo mio padre. Infilo i libri nello zaino e proseguo col mio piccolo tesoreo letterario al sicuro, come un talismano che mi porto dietro, verso Piazza di Spagna. Percorro via Condotti, piena di negozio di lusso aperti e di gente e qualche mascherina si scorge , sia pure presa in giro allegoricamente assimilata a museruola per cani, dalla massa dei covidfree. Piazza di Spagna mi si apre davanti e la Barcaccia appare circondata da orde di turisti per la foto di rito. Sulla scalinata bagnata dalla recente pioggia tutti in piedi per la foto di gruppo, scolaresche e gite scolastiche e gruppi di amici. Alcuni ciclisti si sono fermati ad osservare tutto intorno e sono andati a bersi il caffè in un bar lì nei pressi per mostrare le gambe depilate e le forme e le silouette che non cessano di lasciar sporgere pance debordanti di amatriciane e carbonare e cacio e pepe, come tanti buffi omini michelin. La scalinata di Trinità dei Monti si staglia davanti a me in tutto il suo geometrico splendore. Si sta facendo buio e non ce la faccio a vedermi alla luce del sole anche Piazza Navona, per concludere in poco meno di un'ora questo giro classico del centro di una delle più belle città del Mondo. Ci tornerò domani, perchè mi ricordo che non ho prenotato alcun albergo, per la notte e il cellulare mi si è scaricato a girare video e a scattare foto. Per cui torno indietro verso Piazza Venezia. Di lì, a sinistra risalirò in direzione Termini: il mio centro di gravità permanente. Solo, cammino col mio zaino, la mia compagna in viaggio in Venezuela a rivedere sua madre dopo sei anni...e probabilmente ho bisogno di questi due giorni per starmene da solo con i miei pensieri e rivedere amici e rivedere il mondo, vedere come cambia, come si trasforma, perchè un uomo ha bisogno di quando in quando di mettere a riposo le interazioni vieppiù affettive per dedicarsi alla comprensione delle cose del mondo e in definitiva di se stesso. Noi siamo un mondo inesplorato e fino alla morte  ci saranno regioni nascoste di noi stessi che non saremo riusciti a raggiungere e scoprire. Ma come fai a farlo, a scoprirle, presi come siamo dal lavoro, dalla vita e persino dagli affetti? Verso Stazione Termini, sulla destra incontro il Teatro Eliseo, che è ormai definitivamente chiuso. Davanti una casetta di cartone abbandonata di un clochard che probabilmente si è assentato dalla sua dimora di elemosiniere per un caffè o un panino. Ognuno ha il cinema nel palmo di una mano, con il telefonino e l'abbonamento a Netflix e un futuro corredo di visite oculistiche e psichiatriche...se non ha memoria neanche delle soste in un cinema prima e dopo a commentare film con spettatori incocciati per caso con cui iniziare storie d'amore che non inizieranno mai più. Una volta in Stazione mi do da fare per cercare un alberghetto. A sinistra della stazione mi sembra ce ne siano un pò e con il telefonino scarico spento aziono il mio radar sociologico, l'intuizione maturata in anni e viaggi che ho alle spalle, da cui intuisci la strada giusta per trovare quello che cerchi. Nelle stradine laterali entro in un tre stelle. Alla reception c'è un tizio che scartabella documenti annoiato  morte. Gli chiedo se ha una camera per la notte. Siamo pieni, fa e non dice nemmeno mi dispiace. Uscendo incoccio in un gruppo di clienti dell'albergo ageè che stanno rientrando per un pò di pioggerella e probabilmente andranno a dormire senza godersi la sera romana, così come non si sono goduti la vita in vita. Al secondo albergo entro dentro. Al desk c'è una cinese. Dice che ha una camera, anche singola. 55 euro se pago in contanti, 60 col bancomat, per la commissione, capisce? Certo che capisco, dico, ma non comprendo. Pago con il bancomat. La cinese (carina e giovane) prende un mazzo di chiavi dell'albergo Marylin, recitava il cartello fuori e saliamo su un ascensore. Chiacchieriamo un pò nella salita dell'ascensore. Mi informo se c'è il bagno in camera. Lei dice di si e aggiunge che c'è pure il televisore. Ah, aggiunge, il letto è a una piazza  e mezza. Io lascio chiavi a lei di poltone e stanza e così lei potere tornare di notte quando vuole...mi strizza l'occhio complice lasciandomi intendere che di notte non controlla nessuno e che se voglio posso anche avere ospiti. Incasso l'informazione e dico, del televisore non mi importa. Vorrei fare una doccia calda. C'è doccia calda caldissima lì dendlo stanza. E che ci posso fare se i cinesi in italiano parlano così? Volete denunciarmi alle associazioni antirazziste internazionali? Mi spiega le chiavi cosa aprono cosa, dopo che siamo entrati dalla porta di un appartamento al terzo piano. Dentro l' appartamento è stato ristrutturato e ci sono 4 o 5 stanze numerate. Apre la mia. E sorridendomi mi lascia lasciva le chiavi. E adesso denunciatemi all'associazione internazionale antimachista. C'ho quasi sessant'anni, lo capisco con certezza quando una donna ammicca. Dentro la stanza è piccola, ma pulita e carina. Il bagno piccolo anch'esso ha una doccia e un water e un lavandino. Il letto è a una piazza a e mezza. Apro la finestra che dà su un cortile e di sotto ci sino delle piante tropicali, come un piccolo giardino dell'eden nascosto dietro le mura e fuori il corredo di puttane e magnaccia e spaccia. Tutta gente che non mi fa paura e che come un Pasolini postmoderno sento amica molto più degli onorevoli che attendono di salire sulle auto blu dei loro autisti a zonzo per Roma, in attesa di relazionarsi con quel popolo della notte che disprezzano di giorno e pregano in ginocchio di notte. Mi faccio una doccia.  Dalla finestra a torso nudo, guardo fuori, nel cortile e sta piovendo, tuoni e fulmini e la notte non consiglia di uscire. Del resto sono alquanto stanco dopo la scarpinata. Per cui mi stendo sul letto adamiticamente, tiro fuori dallo zaino Isole nella corrente e mi lascio ammaliare dalla splendida introduzione al libro della grande e immortale Fernanda Pivano.  Grande quanto gli scrittori di cui ha raccontato le storie. E che probabilmente senza di lei non sarebbero neanche esistiti per la maggior parte dei lettori e degli esseri umani....

Secondo giorno a Roma. Esco abbastanza presto, dopo aver fatto un pò di ginnastica e zaino in spalla ripercorro l'itinerario del giorno prima. Prendo a sinistra dopo Termini e scendo verso via dei fori imperiali. La notte ha piovuto e l'Argentina ha eliminato l'Australia al mondiale. La notte ho dormito bene e non mi è passato per l'anticamera di uscire con quella pioggia a dirotto e quel temporale tragico. Solo con i miei pensieri attraverso Roma capitale e pochi se non turisti e stranieri rispettano lo stop pedonale ai semafori e come si dice cum Romae facias romani. In pochi minuti giungo in Piazza Navona. Che trovo gremita, con le solite baracchette natalizie per i souvenirs e turisti dappertutto a farsi selfie sullo sfondo della Fontana dei quattro fiumi raffigurati da quattro giganti marmorei. Compro delle caldarroste e me le mangio per avere un pò di calore in corpo in questa giornata di inizio dicembre in cui il freddo umido penetra nelle ossa. Intorno alla piazza, a corona, ci sono vari ristoranti per pizze e piatti tipici romani e improvvisamente mi viene voglia di un piatto di tonnarelli cacio e pepe, memore del mio eroe investigativo Rocco Schiavone, interpretato mirabilmente da quel romanaccio doc di Marco Giallini. I prezzi sono accessibili, ma devi limitarti al piatto unico e ad un calice di vinello sennò mollami.

Nel pomeriggio alle 4 , con la metropolitana, da Termini dove sono tornato a piedi da Piazza Navona di buon passo fendendo la marea di turisti che cominciano ad affollare le strade del centro ad iniziare la mattanza di questo lungo ponte dell'Immacolata. In via Ogaden il negozio di Ros è aperto e io do di nocche alla vetrata chiusa sbarrata con un paletto di legno. Ros che sta tramestando dentro mi scorge e viene ad aprirmi. Davanti c'è il bancone e alle spalle molta bigiotteria ma non scontata. Parlo dello stile. Roba che fa lui con le sue mani da artigiano indefesso. Intorno sulle pareti pieno di arazzi che raffigurano Buddha e un mucchio di scaffali pieni d borse indiane e arazzi piegati e magliette con l'effige di un elefante indiano che simboleggia Ganesha, divinità della saggezza  e dell'acume che rimuove gli ostacoli, difende le buone azioni e semina difficoltà sul cammino dei malvagi. Alle spalle un comodo divano di fronte a cui si apre un piccolo spazio con un tavolino: il laboratorio dell'artigiano. Ros mi mostra i suoi capolavori con vetri di bottiglia, rame, argento e antimonio anodizzato, che combina insieme come un alchimista. Sai, qui lavoro e faccio dei corsi per chi vuole destreggiarsi con la manualità, dice. Qualche studente nervoso per gli esami, manager in crisi, gente così: si calmano. Usare le mani calma molto. A settant'anni non usa gli occhiali, Ros e in quattro e quattr'otto mi fa un orecchino di piercing finto contorcendolo ad arte con una piccola pinza. Mi chiede se voglio un caffè. E' sempre il solito, una gragnuola di parole gravida di racconti misteriosi e affascinanti. Il caffè che lui fa in una macchìnetta , dice che viene da Capo Verde. L'unico che ce l'ha a Roma è Trombetta, fa, ma non è così buono. Caffè arabico puro. E in effetti-io lo bevo senza zucchero-è buonissimo. Mi mostra dei bracciali appena realizzati. Fatti in rame fuso con l'argento, di modo che non diventano mai verdi e restano luccicanti a vita, non annerisce mai. Un gioiello deve essere per sempre, dice, nonostante la cosa possa danneggiarmi commercialmente. Sai, dice, oggi sono tutti lì sul computer e nessuno più usa le mani, be', è una cosa che fa male al cervello. La manualità ti connette direttamente alle origini dell'uomo e al piegare gli elementi a proprio beneficio. E'una cosa che resta nel cervello. Per questo porto avanti la tradizione manuale. Gli artigiani dovrebbero essere protetti. Fra un pò dobbiamo iscriverci tutti al WWF, siamo in via d'estinzione. Finisco di bere il magnifico caffè. L'altro giorno, attacca con un altra storia, è venuta una ragazza ucraina. Ventun'anni, una ragazza stupenda. Voleva che le aggiustassi un bracciale a cui teneva molto. Cercava lavoro e un posto dove stare. Ci vuole poco a capire i rischi che corre una così. Altro che aiuti al popolo ucraino. Questa qui ci vuol poco che finisce per strada. Non mi sono preso niente per la riparazione e le ho dato un numero di telefono di un'altra tizia conosciuta da me in negozio giorni fa. Gestisce un'associazione , Civico Zero. Danno una mano agli sfollati. Le ho subito dato il suo numero. Pure lei è ucraina, capito che cos'è? 21 anni c'aveva. Una fotomodella, capito che cos'è? Poi si ricorda che da qualche parte ha un amaretto abbruzzese che gli han portato un amico e che fanno casereccio da quelle parti. Tira fuori da in mezzo alle cianfrusaglie una bottiglia che è a metà. Mi serve in un altro bicchiere di carta, come quello piccolino de caffè. Brindiamo al rinnovato incontro: dopo 30 anni. Prima di morire voglio incontrare tutti i miei amici, dico, sdraiato su quel magnifico divano soporifero. Dopo la morte non finisce tutto, dice. Ci sarò io che organizzo un colpo di stato contro Dio. Poi però al suo posto ce metto n'artro, capito che cosè? E io per la mia strada. Perfetto, penso, anarchia pura, come Buenaventura Durruti, che dopo l'instaurazione del governo anarchico a Barcellona, negli anni '30, tornò a fare l'operaio. Poi ride. Anch'io rido. E' un idea così assurda, quella dello spodestare Dio dopo la morte che può essere persino credibile. L'amaretto scende che è uno spettacolo e il sapore delle mandorle mixato con l'alcol rende la bevanda quasi lisergica. Stano aspettando un passito, dice. Viene dalla Sicilia. Non mi ricordo da dove esattamente. E' fermo in un camion sequestrato dalla Finanza. Una storia di mancate bolle d'accompagnamento, capito che cos'è? Me lo manda tutti gli anni il padre di uno che una volta è venuto qui a piangere che non c'aveva quattrocento euro per l'affitto e io gliel'ho date. Che problema c'è? C'è zio Ros che te dà na mano. Da allora il padre, quando l'ha saputo , tutti gli anni mi manda questo passito che non mi ricordo di che pizzo della Sicilia è, capito che cosè? Mi alzo e do un'altra occhiata al negozio. Su una colonna proprio di fronte all'ingresso c'è una statua lignea che assomiglia a un demone buddhista da me visto alla permanente del Mudec a Milano. Gli chiedo se effettivamente si tratti di un demone buddhista. No, dice, quello è un Garuda. Una specie di Caronte birmano. Un pezzo raro. Me lo chiedono tutti, può valere fino a cinquemila euro, capito che cos'è? Si ho capito che cos'è, dico io canzonando il suo tipico refrain. Ridiamo a crepapelle. Vale molto perchè è proibito far uscire dalla Birmania immagini sacre o oggetti che raffigurino deità e simili, capito che cos'è? Osservo la statua, effettivamente mostruosa, e penso che c'è un inferno in ogni cultura e in ogni cultura un traghettatore di morti. Penso anche che Ganesha sia il Dio di Ros, perchè rimuove ostacoli e favorisce le buone azioni. A proposito, fa, l'altro giorno è venuto quell'attore comico, aspè...mi dice il nome. Be', da quando ha detto una cosa sul Vaticano ha finito di lavorare in televisione. E mi chiedete, penso e scrivo, perchè il Dio del Vaticano non sia il nostro Dio e ce li andiamo a cercare altrove? Poveretto...e dire che lui è bravissimo, fa un sacco di iniziative benefiche. Ogni volta che viene qui mi rivolta il negozio. Ho dovuto vendergli uno di quei ritratti di Buddha dorati, capito che cos'è? Capito, dico io. Ridiamo. L'amaretto è quasi finito e pensare che la gente si droga, per ridere e divertirsi, quando basta un amaretto abbruzzese, dopo un caffè e due chiacchiere con un amico di vecchia data. Il tempo scorre ma in quel luogo magico non sembra passare. Mi fa venire il mente un altro luogo , incocciato nel pomeriggio, mentre andavo a Piazza Navona, sul Lungotevere Mellini, appena superato un ponte sul Tevere. Un'edicola, che sul retro aveva un bancone bar per servire caffè e prima colazione e davanti aveva dei cubi di marmo su cui sedersi, con lo sfondo di musica jazz che andava a manetta senza soluzione di continuità. Mi fa venire in mente che un luogo del genere potrebbe esistere solo a Roma. Quando la mattina, traffico infernale, dopo esserti comprato il giornale, con calma, molta calma, sorseggi un caffè e il jazz come aureola acustica. La filosofia del take it easy, la chiamo io. La conversazione continua e i racconti anche. Siamo passati alla politica. Ci sono quelli di destra destra e quelli di sinistra sinistra che sono incazzati neri con i rispettivi politici che si sono imborghesiti, dice, capito che cosè? Per me prima o poi qualcosa succede. Da qui passano tutti e parlano un sacco. Non mi giunge nuova, dico, quest'alleanza tattica. Pensa che uno scrittore Russo, Eduard Limonov, ha fondato in Russia un partito unendo l'ideologia di destra con quella bolscevica. Il meglio delle due ideologie, dico. Visto? Chi l'ha detto che non si può fare? Si può fare, dice Ros. Poi ride. Ridiamo entrambi. E' bello vedere che non è cambiato, a parte i segni sul viso e sul corpo del tempo che passa. Ma la mente è sempre lucida, ironica, terribilmente ironica. E terribilmente saggia, tanto saggia da non prendersi mai sul serio. Guardiamo alle persone che si prendono maledettamente sul serio. Sono dittatori.  Il tempo di agguantare qualche maglietta, delle borse qualcos'altro per fare dei regalini di Natale che ecco che devo andare via. Devo prendere la metropolitana per tornarmene a Milano. Difficile trovare qualcuno che ha tempo per te, mentre lavora. Non è entrato nessuno, in negozio, mentre ce ne stavamo tranquilli lì a parlare. Tranne un amico di Ros che di solito sta in Spagna e che è tornato per stare a fianco al padre, che è malato. L'ho convinto io, dice Ros e restare. Il padre è il padre e poi quando non c'è più vivi di rimorsi, capito che cos'è? Mi accompagna alla metropolitana, fermata Libia. Devo prepararmi per il Natale, dice, che poi il negozio in quei giorni si riempie. Quest'anno vanno molto i gioielli antichizzati che riproducono modelli etruschi...e zio Ros si è studiato i modelli e li riproduce, capito che cos'è. Sono passati trent'anni e mi sembra ieri, che in quel di Ostuni, dove aveva aperto un negozio di bigiotteria, raccontava alle signore un pò sovrappeso, davanti ad un enorme specchio deformante, cose tipo, "che poi questa collana oltre ad essere elegante snellisce molto". E io lì vicino a lui a trattenere il riso, uccidendolo sul nascere, da farsi venire l'ulcera. Saluto Ros, saluto questo mago, perchè solo un mago, un illusionista può renderti il passare del tempo dilatato e senza tempo. Parlando di tutto o di niente. Lo zio di tutti, il papà di tutti, la speranza di tutti verso la libertà da confini, ideologie, convenzioni sociali, verso la vita eppure nella vita. Aoh, devo passà dar supermercato, pe' fa la spesa . Quello mio figlio magna che è un piacere. Ma lui non ne vuole sapere del mio lavoro. Lui in bottega nemmeno ci vuole entrare. Vuole fare il giornalista. Ebeh, che ce voi fa, lasciamolo far, capito che cos'é?. Prima di scendere nella metropolitana, mi chiama e dice: marsalato. ecco che cos'era il passito...era de Marsala...












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