lunedì 3 aprile 2023

Lettera aperta allo Stato italiano che tassa i piccoli scrittori!

 


Non tassate i piccoli autori. Lettera aperta allo Stato Italiano!



Eccoci qui, cari amici e compagni di strada. Siate o meno social, le urla di chi vuole comunicare al mondo vi giungeranno comunque, in qualche forma. Seduto davanti al mio portatile, fuori giornata di sole. Il grande Henry Miller definì l'atto di mettersi a scrivere “ una meravigliosa tortura”. Scrivere serve a molte cose. Innanzitutto a liberarsi dei pensieri, che se restano vaganti nella scatola cranica diventano a lungo andare molesti e in qualche senso innescano un'implosione emozionale. Scrivere vuol dire comunicare a se stessi e al mondo o agli amici o a chiunque voglia leggere e ritrovarsi nelle parole di chi scrive o perdersi definitivamente. Ma come diceva il buon Kerouac, a proposito del perdersi, se non sai dove stai andando come fai a dire che ti sei perso? Qualcuno potrebbe dire, ma quand'è che dici qualcosa di tuo? Quando la smetti di parlare con frasi di altri? Le frasi, cari miei, sono di chi le usa molto più che di chi le ha scritte. Ecco come stanno le cose. La filosofia non serve a niente, dicono in molti. Certo non dà risposte definitive, piuttosto semina dubbi. E noi dei dubbi abbiamo bisogno. Sono le certezze che poi quando si sgretolano ci mandano in pezzi. Chi non è sicuro di niente è in realtà più sicuro di chi è sicuro di tutto. E' questa la sua sicurezza. Ci sono filosofi e scrittori che dopo anni di anonimato sono diventati popolari. Popolari fra il pubblico dei lettori, chiaramente. Che è sempre più in diminuzione. Ma perchè dovremmo cessare di scrivere, se non scriviamo bestsellers? Noi parliamo ai noi stessi disseminati nel mondo e questa potrebbe essere una delle maggiori forme di libertà. Il successo, secondo Pasolini (altra citazione, tieh!) potrebbe essere l'altra faccia della medaglia della persecuzione. Vogliono tutti avere successo. Ma poi odiano le masse. Il successo nasce dall'odio delle masse che non si accorgono che chi scrive di esse le disprezza profondamente e usa il loro clamore per elevarsi su di esse. Personalmente credo che quando crei qualcosa con passione vera, autentica, senza pose e con l'ego che tira il freno a mano, beh, che dire...questa cosa arriva. Ma deve essere un processo spontaneo e sincero, non una tattica o una strategia. Spesso il senso dell'essere artisti viene dalle parole di artisti non ritenuti tali a tutto tondo o superficiali o mainstream e quindi , perciò, poco credibili. Sentii dire a Elodie, dopo aver cantato a Sanremo parole da incorniciare circa la sostanza dell'essere artisti, dell'essere creativi. Ho lavorato con passione, disse, e dato tutto, con molta serietà e dedizione. Tutto ciò che accade dopo è frutto dei maghi che truccano e dei pubblicitari e dei clown vestiti a funerale. Quello che importa è aver fatto un buon lavoro che soddisfa te stesso. Se soddisfa anche il pubblico va bene. Se non lo soddisfa , rispetti il pubblico, ma non cessi di rispettare te stesso. Non l'ha detto un filosofo, ma una cantante di musica leggera. La filosofia , ecco, potrebbe servire a isolare, in una nuvolaglia di parole e proclami senza senso, il senso compiuto dell'attività creativa. Perchè, in definitiva, creare è parte essenziale dell'essere felici. Tutto ciò che ne consegue in termini di allori e premi e riconoscimenti, sono contorni. Ma il piatto forte è e resta: creare. Burroughs disse che creare ,e, in definitiva, scrivere, determinava, nello scrittore, un senso di colpa. Perchè è come se scippasse il meccanismo della creazione al creatore per antonomasia, in altre parole a Dio. Scrivere è servito ai filosofi, per cercare di definire il mondo, agli scrittori per raccontarlo, ai comici per scrivere i testi che avrebbero recitato, agli attori di teatro, persino ai deejay, i cui più seri scrivono un canovaccio dell'intera trasmissione che deve andare in onda. Ma anche leggere serve e forse più che scrivere. E lo dice uno che scrive e che pensa che siano molti più quelli che scrivono di quelli che leggono. Ma scrivere senza aver letto e senza leggere non porta lontano. Avere mai visto un uccello senza coda? Un canarino muto? Un Pappagallo che dice cose originali? Un pesce che va in bicicletta? Puoi andare avanti quanto vuoi nella vita, e spesso succede, senza leggere. Ma arriverà un momento in cui quella cosa ti mancherà. E non potrai fare lo scatto e il balzo definitivo per compierti come essere umano. Non potrai per esempio dirmi a commento di quello che scrivo, ma che stai dicendo? Ecco, appunto, me lo puoi dire perchè mi hai letto. E' così che si sviluppa la mente. E forse si sviluppa meglio la mente di chi legge di quella di chi scrive più di quanto legga. Non lo so. E' un dubbio. E' una delle domande che pone l'essere filosofi...senza laurea ( sono molto modestamente laureato solo in Scienze Politiche e ho fatto un solo esame di Filosofia della Scienza). Senza la panoplia di
scrittori che ha scritto senza studiare e laurearsi, ma vivendo di stenti e di lavori precari, ingegni che hanno mosso l'economia di migliaia di stamperie, editori, Università, giornali , tv e internet, la cultura non esisterebbe. Vaglielo a dire a un paese che tassa i profitti derivanti dalla vendita di libri a un piccolo scrittore come me! Ci sono paesi in cui gli scrittori ricevono uno stipendio dallo stato. Io non anelo a questo, ma perlomeno, caro STATO ITALIANO, non tassare i pochi profitti che guadagno e che reinvesto in nuove pubblicazioni. Equivale ad una censura sulla circolazione delle idee. Equivale a dire, possono pubblicare solo quelli (raccomandati e non) autorizzati da editori ricchi che faranno scrivere solo ciò che conviene e chi ricco lo deve restare.

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