giovedì 23 aprile 2020

Vivere ai tempi del Coronavirus

Vita ai tempi del Coronavirus 2
Chiuso in casa. Abbiamo mangiato maccheroni con lenticchie. Piatto unico. Economia di guerra. Fuori c'è l'epidemia. Metto la testa fuori dalla finestra sull'esterno. Sulle case limitrofe. A 50 metri c'è una villetta a 2 piani. Anni fa dalle sue finestre uscivano voci che cantavano:” meno male che Silvio c'è”. Ora adagiata sul davanzale c'è una candela che si consuma. Come le nostre vite. Eppure più vive che mai. Costretti a pensare. Rimetto la testa dentro nella calotta della mia abitazione. Sono una tartaruga. Non prima di aver visto i bidoni della spazzatura mai così pieni. Involucri di pizze sono lingue che fuoriescono. Le teste delle bottiglie di plastica pinguini seminascosti. O presepi contemporanei. Mi stendo a letto e leggo. “Le navi”, di Antonio Lobo Antunes. Mi sembra di vederlo in Rua Conde Redondo, a Lisbona, mentre scrive per dieci ore al giorno , fumando le sue sigarette, nonostante abbia combattuto e guarito il cancro. Psichiatra in Angola, al seguito delle truppe coloniali Portoghesi (dal 1961 al '64). Ha già vissuto il suo inferno. E ne ha scritto e ne scrive da anni. O come dice lui, lascia che le sue voci interiori ne scrivano.
Leggo di un uomo seduto su un molo di Lisbona, in mezzo a gabbiani e nibbi di mare, seduto sulla cassa da morto del padre. Appena tornato dalla Guinea Bissau. In attesa di un baule su una nave, con le sue cose di quelle terre. Leggo di un meccanico che cedette sua moglie minorenne ad un uomo di ottant'anni, per un biglietto su una nave per Lisboa. Per partire da quelle terre perse per sempre. Leggo del suo cambiare idea prima di partire, quando vede sua moglie, una mulatta longilinea e felina, accudire quell'uomo che poteva essere il suo bisnonno, a letto con la malaria, come mai aveva fatto con lui. Vuole ritrattare lo scambio.
“E io vidi i quasi inesistenti mobili di sempre che si coprivano di sargassi negli angoli, le cornici di latta con cartoline di attrici in costume da bagno, le cianfrusaglie di artigianato africano che lui vendeva di caffè in caffè, di piazza in piazza, i galli di ceramica, il lavandino sbeccato e il mio compare che trasudava nel letto un odore di cuoio vecchio, con le papille sfuocate dalla miopia della febbre. Mi sono beccato una schifosa crisi di paludismo, è dall'altro ieri che mi trascino a vomitare. E mia moglie, rendetevi conto, figlia di un commerciante bianco, figlia del proprietario dell'unica cantina nel raggio di un chilometro che gli applicava compresse di garza fresche sul torace e sulla fronte, molto più sottomessa e sollecita di quanto non fosse mai stata con me in nessuna occasione, nemmeno l'inverno prima quando mi sono contorto di dolore per sei giorni nel letto prima di espellere pietruzze dalla vescica, mia moglie che asciugava maternalmente, a lui che poteva essere suo bisnonno, le gocce di sudore sul pizzo e sui baffi...”
Ricevo una telefonata da Lisbona. Un mio amico brasiliano andato da anni a stare nella capitale lusitana. Dalla sua finestra, dice, si vede una nave da crociera con 1600 passeggeri. E' bloccata. A bordo c'è un epidemia di Coronavirus. Lui dovrà riprendere a lavorare fra qualche giorno. Lavora in un catering che serve gli ospedali. In bocca al lupo, amico mio. Boa sorte, gli dico. Che si può fare, dice...non ho fatto il militare. Sto facendo la guerra. Lo saluto. Riprendo a leggere. Fuori è grigio. Piove. Ma Lobo Antunes mi delizia con la sua allegra malinconia barocca. Con la sua scrittura concentrica. Mi sembra di vederlo, seduto mentre scrive a mano. Ho visto cose che vuoi umani...pensa. Questa l'ho già sentita. Proviamo a dirlo diversamente. Come lo direi io:”quando era tornato nella stanza , la moglie, seduta sul bordo del letto, stava aggiustandosi la crocchia con una montagna di forcine. Allora le aveva annunciato, immergendo in una brocca il sacchetto del tè come digestivo. Tra dodici giorni ci imbarchiamo per l'Europa.”
Interrompo la mia lettura, vado in bagno. Apro la finestra. Un vecchio attraversa la strada. Solitario. Non indossa né mascherina di protezione, né guanti. Come tutti i vecchi deve anch'egli aver vissuto qualche inferno. E non gli importa più nulla. Ne' di sè. Ne'della pioggia. Ne' degli altri, c'è da dire.

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